
«Vorrei dare speranza alle persone. So che è un progetto pilota... Ma questa è la nostra prima volta e la Chiesa è seriamente impegnata nella salvaguardia» delle vittime. Così la segretaria aggiunta della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, Teresa Morris Kettelkamp, ex colonnello della Polizia di stato dell’Illinois che ha gestito uno degli uffici nazionali di tutela più grandi della Chiesa negli Stati Uniti d’America, inquadra il primo Rapporto annuale sul tema, presentato il 29 ottobre. A colloquio con i media vaticani, la donna illustra il metodo utilizzato per la stesura del documento, auspicando che esso possa diventare “strumento” in mano alla Chiesa perché chi ha subìto abusi, possa «farsi avanti senza ulteriori danni» ed evidenziando la piena collaborazione di tutta la comunità ecclesiale nelle diverse aree del mondo.
Quali sono gli obiettivi e le intenzioni di questo “report“ annuale”?
Penso che siano diversi. Il principale è che il Rapporto è uno strumento. È un’istantanea dello status della Chiesa in relazione alla salvaguardia dei sopravvissuti e all’andare loro incontro. Il Papa ci ha chiesto di dargli un’idea di come si sta comportando la Chiesa globale nel contesto della tutela dei minori e nel tendere la mano ai sopravvissuti. Questo è avvenuto nel 2022, e noi abbiamo intrapreso questo compito molto seriamente, ma non avevamo un programma da seguire e dovevamo pensare: «Come si fa a farlo?».
Qual è il metodo? Come si raccolgono le informazioni?
Le informazioni a nostra disposizione e che raccogliamo devono essere scientificamente solide. Abbiamo quindi elaborato una metodologia, e speriamo che questo Rapporto annuale possa servire come strumento per il Papa e la Chiesa nel suo complesso per esaminare come si sta comportando nel mantenere i suoi bambini, i suoi vulnerabili, al sicuro.
Ci sono delle misure di salvaguardia? Come stiamo procedendo?
Abbiamo esaminato diverse modalità per questo progetto «pilota» (si tratta di questo, non va considerato come qualcosa con anni e anni di messa a punto). All’inizio, abbiamo pensato a come avremmo raccolto le informazioni. Quindi quello che potevamo fare è stato esaminare le visite “ad limina”, dove i vescovi vengono a Roma e incontrano il Papa, per preparare un questionario in aggiunta a quello che il Dicastero per i Vescovi propone per raccogliere informazioni. Così abbiamo incontrato i vescovi dopo le loro udienze con il Santo Padre. Erano spesso le quattro del pomeriggio, faceva caldo, loro erano stanchi e probabilmente anche affamati. Ma parlavamo delle risposte ai loro questionari quinquennali e di come potevamo aiutarli a sviluppare risorse, che sono le fondamenta per la creazione di un ambiente sicuro in una Chiesa accogliente verso chi ha subito abusi. Questa è una parte delle informazioni. Per l’altra, siamo ora divisi in commissioni suddivise per regioni: Asia, Africa, le Americhe e l’Europa. Abbiamo esperti per ogni area e abbiamo chiesto loro di fare una valutazione locale e personale su quali siano le sfide, le buone notizie, quelle cattive. Cose del genere... Per la terza area [di informazioni] abbiamo scelto, quest’anno, i Dicasteri per il Clero e per la Dottrina della fede, collaborando e valutando quello che possiamo imparare da loro sul nostro obiettivo comune di mantenere la Chiesa sicura, aperta e trasparente. Non potrò sottolineare mai abbastanza la necessità di mettere in atto misure di salvaguardia, così come lavorare come Chiesa in maniera olistica. Per l’ultima sezione, abbiamo guardato alla Chiesa al di fuori dalla Chiesa. Ovvero la Caritas e altri ambiti nell’ambiente ecclesiastico che aiutano i bisognosi. E dove sono le misure di salvaguardia? L’apertura all’accoglienza dei sopravvissuti? Questo è il quadro che abbiamo sviluppato nel primo round. Abbiamo appreso molto sulle statistiche. Come Chiesa, nell’area della salvaguardia, non abbiamo una base statistica solida e su questo dobbiamo lavorare. Ma in molti posti non hanno le risorse per raccogliere dati del tipo: Quante sono le accuse? Quanti sopravvissuti si sono fatti avanti?. Stiamo andando incontro ai sopravvissuti? Abbiamo una Chiesa accogliente e sicura? Speriamo che questo Rapporto possa servire come strumento da utilizzare come documento di base. Migliorare la metodologia e la raccolta dei dati e poi, l’anno prossimo, dare una prospettiva più nitida della Chiesa. C’è una cosa che volevo menzionare in relazione alle visite “ad limina”: speriamo, durante il mandato della Commissione, di riuscire ad occuparci di tutte le Conferenze episcopali entro il 2027.
Il documento è abbastanza lungo e comprende l’intera Chiesa nel mondo. Potrebbe indicare qualche punto chiave delle vostre scoperte e raccomandazioni per il futuro?
Un dato che emerge — e sarò onesta, ne sono davvero felice — è che il desiderio di sviluppare meccanismi di salvaguardia per la Chiesa è universale nonostante le sfide, le culture e risorse diverse e la mancanza di metodologie. Non abbiamo ancora una cultura della salvaguardia e abbiamo bisogno di politiche e procedure. Abbiamo anche qualche lacuna per quanto riguarda i centri dove i sopravvissuti possono recarsi e trovare conforto. Ora, vari Paesi hanno definizioni di conforto “differenti”. Negli Stati Uniti, ad esempio, il conforto può essere equiparato al denaro, ma questo non corrisponde alla realtà. Le vittime vogliono essere ascoltate, vogliono giustizia. Ciò che significa per me giustizia può essere diverso da quello che significa per te. Ma vogliono quella, vogliono indietro la loro integrità. Questa è una delle sfide che abbiamo riscontrato nella Chiesa: non abbiamo i meccanismi, al momento, per fare questo. Tuttavia abbiamo un progetto all’interno della Pontificia Commissione che è l’iniziativa «Memorare». Questo tipo di iniziative sono modi in cui la Chiesa locale può lavorare sul territorio, e noi la aiuteremo formandola e fornendo risorse. Ci saranno centri di implementazione per la salvaguardia e accoglienza dei sopravvissuti al fine di stabilire una capacità sostenibile a livello locale. Passo dopo passo, ci stiamo muovendo anche in quella direzione. Ma il mondo è grande!
Cosa vorrebbe dire alla Chiesa, alle vittime, a tutti i fedeli, riguardo al suo lavoro?
Vorrei dare speranza alle persone. So che è un progetto pilota, un’istantanea. Ci sono lacune. Ma questa è la nostra prima volta e la Chiesa è seriamente impegnata nella salvaguardia. Anche se mancano risorse, nella mia esperienza non ho trovato un solo leader ecclesiale che abbia ignorato la salvaguardia. Nemmeno uno. Ci sono le risorse? Le capacità? Una conoscenza di base? No, ma possiamo essere di aiuto. Dobbiamo fare di più per far sentire ciascuno accolto e perché le vittime di abusi possano farsi avanti, senza che ulteriori danni siano loro inflitti.
di Christopher Wells