· Città del Vaticano ·

L’intervento del vicario generale per la diocesi

Quando nacque la Chiesa locale postconciliare
e contemporanea

 Quando nacque la Chiesa locale  postconciliare e contemporanea  QUO-244
26 ottobre 2024

Questo l’intervento del cardinale eletto Baldassare Reina, vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma.

Santo Padre, grazie per la Sua presenza in mezzo a noi per questa Assemblea Diocesana allargata a tutta la città, rappresentata dal Sindaco e dalle altre autorità civili e militari che ringrazio cordialmente per la presenza. Brevemente riassumo i passaggi che ci hanno portato al momento che stiamo per iniziare.

Cinquanta anni fa, il Suo predecessore — San Paolo vi — insieme al suo Vicario, il cardinale Poletti chiamò a raccolta l’intera comunità diocesana attorno al tema: “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e giustizia nella città di Roma”, meglio noto come convegno sui “Mali di Roma”. Dopo le giornate tra il 13 e il 15 febbraio 1974 qualcuno disse che il Concilio era arrivato a Roma.

Di mali allora c’erano tanti. Le periferie, piene di immigrati del Sud, senza lavoro e con tante baracche (oltre centomila), erano la parte dolente della città. Roma aveva una mortalità infantile come il Marocco.

Per il Vicario era una città malata: bisognava identificarne i mali e agire. Il cardinale si chiedeva: «Ha la Chiesa qualcosa da dire alla società di oggi?». Rispondeva: «Ha da dire che il mondo attuale è inaccettabile, e che l’uomo ha la vocazione di trasformarlo…». Roma era una città povera e conflittuale e il convegno del ‘74 fu una di quelle pietre miliari che diede forma alla vita diocesana, chiamando a raccolta tutto il popolo, creando un soggetto ecclesiale forte, parlando francamente dei dolori di Roma. Potremmo dire che in quel momento nacque la Chiesa locale, postconciliare e contemporanea. Il cardinale Poletti così lo definì: «La comunità cristiana di Roma, per essere segno profetico, si mette nelle condizioni del suo Maestro: condizioni di povertà e di servizio».

Un’indicazione che tanti, preti e laici (pensiamo per tutti a Monsignor Luigi Di Liegro tra i principali protagonisti del Convegno) hanno successivamente seguito nelle periferie.

In tantissimi parteciparono al convegno, furono preparati 320 documenti dalle diverse realtà romane e vennero fatti 740 interventi nelle cinque assemblee. Una riflessione e una partecipazione uniche nella Roma novecentesca dalla quale emergeva una Chiesa di popolo, soggetto vivo, eloquente nella città a partire dalle periferie e dai poveri.

Il convegno ebbe il genio di leggere Roma con realismo e propose la speranza di una città diversa, soprattutto mostrò che non si doveva essere inerti ma si poteva fare molto per cambiare.

Ci è sembrato giusto nell’arco di quest’anno ritornare a quell’evento. Sono passati 50 anni e fare memoria di quelle giornate ci è sembrato un atto doveroso per recuperare la spinta di profezia e di speranza che è emersa da quel confronto.

Proprio in questi giorni si sta per chiudere la ii Assemblea generale sulla Sinodalità e fra due mesi esatti inizierà il Giubileo. Una Chiesa chiamata a scommettere sullo stile della sinodalità e a vivere l’incontro con la misericordia di Dio per dare speranza a chi l’ha perduta: dentro questa cornice abbiamo pensato di ritornare al Febbraio ’74 non per guardare indietro ma per osservare evangelicamente il tempo che viviamo. Così lo scorso mese di febbraio abbiamo ripresentato i grandi temi affrontati 50 anni fa chiamando alcuni che ne furono i testimoni diretti: il prof. De Rita e il prof. Riccardi (che ringrazio per il loro contributo di pensiero e per la lucida analisi che ci hanno offerto).

Alla luce della storia ci siamo chiesti: quali sono i mali della città di Roma oggi? Consapevoli che fosse difficile arrivare ad una analisi completa abbiamo individuato nelle disuguaglianze il denominatore comune. Constatiamo come tanti, tantissimi, nella nostra città rimangono indietro; è come se per loro i diritti non valessero pienamente. In particolare, ci siamo soffermati su quattro gravi forme di povertà che penalizzano molte delle persone che vivono a Roma.

1. La povertà educativa che interessa bambini e ragazzi; 2. La povertà sanitaria. Nonostante il sistema sanitario pubblico molti non hanno accesso alle cure mediche 3. La terza forma di povertà alla quale ci siamo accostati è quella della casa. Chi pensa di prendere una casa in affitto a Roma deve disporre di cifre molto importanti. Migliaia di persone sono in attesa di un alloggio popolare e tantissimi giovani non riescono a trovare nemmeno una stanza per vivere a Roma durante gli anni di università. 4. L’ultima forma di povertà è quella del lavoro. Il lavoro apparentemente c’è ma non sempre è pagato bene con tutti i diritti che garantiscono al lavoratore una giusta retribuzione con cui pensare alla propria famiglia e al proprio futuro.

Queste forme di povertà sono rese ancora più gravi dalla solitudine che avvolge come un triste mantello tante persone e da un’indifferenza diffusa che è parte del clima culturale che respiriamo e che ci preoccupa moltissimo.

Di fronte a tutte queste problematiche ritorna la domanda del cardinale Poletti che stasera facciamo nostra: «Ha la Chiesa qualcosa da dire alla società di oggi?».

Santo Padre questa sera, dopo aver ascoltato la Parola di Dio, le faremo ascoltare alcune testimonianze e una sintesi del lavoro fatto, realizzata da Marco Damilano che ringrazio per la preziosa collaborazione. Dietro le parole di chi parlerà coglierà il grido di dolore che si innalza ogni giorno dai diversi angoli della città. È un grido che non può lasciarci indifferenti. Il Signore attraverso quel grido ci parla e ci interpella. Come nella parabola del buon Samaritano non vorremmo mai essere tra quelli che vedono qualcuno a terra mezzo morto e si girano dall’altra parte. Sappiamo di essere chiamati ad essere Chiesa che si china, si prende cura, si carica sulle spalle.

Il nostro convenire questa sera vuole essere occasione perché tutti prendiamo coscienza dei problemi che ci sono. Tutti. Perché come lei ci ha detto più volte “nessuno si salva da solo”. I problemi della città sono problemi che sentiamo nostri e rispetto ai quali vogliamo innanzitutto sentire giusta compassione. La Chiesa è parte integrante della città e la città, questa città, è il luogo in cui siamo chiamati ad annunciare il Regno. Attorno a queste problematiche vorremmo chiamare a raccolta tutti e ciascuno con la propria responsabilità. Ci piacerebbe creare delle occasioni stabili di confronto e di collaborazione con le istituzioni, con il vasto mondo delle associazioni, con gli uomini e le donne di buona volontà a cui sta a cuore il bene della persona umana e insieme lavorare per seminare speranza.

Questo è l’obiettivo che ci ha mossi e che ci porta stasera davanti a Lei. Sì, perché anche in questi anni difficili, abbiamo sperimentato che quando si lavora insieme si riesce a seminare la speranza.

Abbiamo tanti segni di speranza in questa nostra meravigliosa città: ci sono migliaia di volontari che ogni giorno si danno da fare per preparare un pasto caldo, per soccorrere i senza tetto, per garantire un posto di lavoro, per soccorrere chi è rimasto indietro. Abbiamo dei mali in questa città — è vero — ma abbiamo anche tantissimo bene da condividere e da contagiare.

Grazie Santo Padre, sin da adesso per quanto vorrà dirci e per come ci sosterrà nel cammino che abbiamo davanti. Ci mettiamo in ascolto di quanto lo Spirito dice alla Chiesa e di quanto Lei vorrà comunicarci con il Suo Magistero. Ci accompagni perché possiamo camminare insieme come pellegrini di speranza.