· Città del Vaticano ·

Il “Sinodo dello sport” promosso da Athletica vaticana a San Calisto

Messaggeri di un mondo (buono) alla rovescia

 Messaggeri di un mondo (buono)  alla rovescia   QUO-244
26 ottobre 2024

Un originale canale diplomatico per saltare ostacoli insormontabili, un potente strumento educativo, un allenamento alla staffetta fra generazioni nella maratona della storia, una palestra di empatia; il “diporto” come lo chiamavano i nostri bisnonni può essere tutto questo, come ha dimostrato il primo incontro del “sinodo dello sport”, che si è svolto il 25 ottobre a San Calisto, nel palazzo che ospita la sede operativa di Athletica vaticana (Av).

Un assaggio di mondo alla rovescia — in senso buono — dove giovanissimi (e attenti) uditori erano seduti al tavolo dei relatori, i moderatori dell’incontro — Eva Crosetta, conduttrice del programma tv Sulla via di Damasco e Giampaolo Mattei, presidente di Av — stavano in piedi e gli atleti in platea. Ognuno in un posto diverso da dove ce li saremmo aspettati, per educarci alla legge della vita, che non coincide con il piatto pensiero binario a cui vorrebbe abituarci l’asfittico razionalismo contemporaneo.

La vera legge della vita, come ben sapeva Chesterton, molto amato e spesso citato nelle colonne del nostro giornale, è la legge del paradosso che regala continuamente sorprese. “Trappole” dove è bello cadere, inganni che è bello trasformare in energia positiva.

Ognuno al suo posto di combattimento, atleti, conduttori e ascoltatori dell’incontro, ognuno in lotta più con se stesso che con gli altri, cercando di evitare i colpi bassi della passività, del pessimismo, di quell’autocommiserazione che impedisce di vedere ogni possibilità di futuro.

Crosetta scherza sui suoi 186 centimetri di statura, «utili solo per prendere le confezioni sugli scaffali alti, al supermercato» e non impiegati in nessuna disciplina sportiva; gli ospiti in sala si raccontano colorando di ironia vittorie e sconfitte, i bambini, al posto dei relatori, ascoltano, seri e concentrati.

Tra i presenti all’incontro — sostenuto dai Dicasteri per la Cultura e l’educazione e per la Comunicazione — alcuni padri sinodali (in particolare il vescovo argentino di La Rioja, monsignor Dante Gustavo Braida) e molti rappresentanti del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, con autorità e protagonisti dello sport, di alto livello e sociale.

Un’opportunità concreta per abbracciare (e lasciarsi abbracciare) da storie, solo apparentemente lontane, di Olimpiadi, Paralimpiadi, lotta — non greco-romana ma quotidiana — per la sopravvivenza in Paesi travolti dalla guerra o dalla povertà estrema, forma di sopraffazione ancora più subdola di un mitra spianato. Paesi oppressi da regimi totalitari che fanno morire sul nascere ogni progetto a lunga scadenza e regalano solo la voglia di scappare.

Erano presenti a San Calisto, con i loro nutriti medaglieri materiali e immateriali, Amelio El loco Castro Grueso, atleta paralimpico a Parigi 2024 nella scherma con il Team dei rifugiati; Monica Contrafatto, medaglia di bronzo nei cento metri alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016, Tokyo 2021 e Parigi; Andy Díaz, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Parigi nel salto triplo, con il suo allenatore ma anche amico, mentore e, in un certo senso, padre adottivo Fabrizio Donato, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra 2012, medaglia d’oro agli Europei 2012 e agli Europei indoor 2009 sempre nel salto triplo.

Nella delegazione femminile c’erano anche Alice Mangione, atleta olimpica velocista e staffettista ai Giochi di Tokyo e Parigi, medaglia d’oro alle World Relays 2021 e ai Giochi europei 2023, e Antonella Palmisano, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo e agli Europei 2024 nella marcia. Last but not least la testimonianza, tanto discreta quanto commovente di Mahdia Sharifi, atleta afghana del Team dei rifugiati per il taekwondo.

Presentando il suo amico Andy, Fabrizio Donato ha citato il film Fuga per la vittoria, girato da John Huston nel 1981, con un cast stellare (tra gli altri Michael Caine, Sylvester Stallone e Pelè che, ovviamente, interpreta un fuoriclasse del calcio). Una metafora per far capire che cosa significa vivere “davvero” i valori dello sport, e togliere al celeberrimo e talvolta frusto slogan “l’importante è partecipare” ogni traccia di retorica. Il mix di passione, paura, fatica, costanza, cadute e ripartenze che vive chi si misura ogni giorno con i suoi limiti “corporei” assomiglia molto a quell’amore totale e apparentemente irragionevole di chi investe tutto su Dio.

«Quando riflettevo sulla mia vocazione — scriveva qualche giorno fa su Facebook don Carlo De Marchi, parlando del percorso della sua fede — mi tornavano in mente alcune scene di Momenti di gloria, uno dei più bei film di sempre». Alcune frasi della pellicola sono diventate cartine di tornasole anche per la propria vita. «“Dio mi ha fatto per uno scopo” dice il protagonista. Intuivo anch’io di essere all’inizio di un’avventura — chiosa il sacerdote — “Dio mi ha fatto per uno scopo, ma mi ha fatto anche veloce” (le cose che mi appassionano non sono in concorrenza con la chiamata di Dio. Lui mi vuole felice e realizzato, non mi tarpa le ali) e quando corro io Lo sento compiaciuto (e quindi sciare, stare con gli amici, leggere Tolkien e Agatha Christie, dormire, fare volontariato, pregare, ridere e mangiare la focaccia sono parte essenziale della mia vocazione!). Dopo tanti anni e tante sorprese, tra cui il sacerdozio, viene da dire solo grazie a Dio e a tante tante persone che ho incontrato e che mi hanno accompagnato lungo la strada (The Road goes ever on and on…)». Un commento corredato dagli hashtag #Chariotsoffire #avventura #vocazione #focaccia #thanks.

A San Calisto c’erano anche l’ironia, la simpatia e l’understatement di Rigivan Ganeshamoorthy, medaglia d’oro alle Paralimpiadi di Parigi e uomo-record nel lancio del disco. Non a caso, di Dragona come Enrico Brignano; evidentemente nel decimo municipio il senso dell’umorismo è più diffuso che nel resto dell’Urbe. Alle Paralimpiadi era diventata virale l’intervista di RaiSport all’atleta romano di genitori cingalesi. «Che devo di’?» replica “Rigi”, come lo chiamano i suoi amici, ad Elisabetta Caporale che lo investe con una raffica di domande. «A chi dedichi questa vittoria?» gli chiede la giornalista. «A mia madre, a mia sorella, al team, a tutta Dragona, a Roma, ar decimo municipio. Al mio vicino che è venuto a casa a darmi la bandiera italiana. Sai, questo vale tanto, vale più di una medaglia d’oro. L’amicizia, chi ti viene a trovare. Questo è per tutta la nazione italiana e per i disabili che stanno a casa».

Alla lista dei grazie manca ancora un nome importante: «Ah, me so’ scordato. La dedico ad Alice, la mia ragazza». Poi, per evitare retorica e sdolcinature, ancora tanta sana ironia. «Ma non vuoi dirci nulla di questi tre record? Allora, domani vieni con la medaglia e ci racconti qualcosa» insiste la giornalista. «Domani mi preparo un discorso e dirò qualcosa» scherza ancora Rigivan. «Questo mondo inizia a piacerti?» aggiunge la cronista. Un difetto però ce l’ha, ribatte lui, con tempi comici perfetti e un sorriso radioso Made in Dragona: ci sono, oggettivamente, «un po’ troppi disabili».

di Silvia Guidi