«Questi nostri fratelli, i frati minori e i fratelli Massabki, hanno dato il sangue per Gesù, non per eroismo, ma per amore». Con queste parole il patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha riassunto il senso del sacrificio dei “martiri di Damasco”, nell’omelia della messa di ringraziamento per la loro canonizzazione, che ha presieduto questa mattina a Roma nella basilica di sant’Antonio da Padova.
Durante la celebrazione — a cui ha partecipato anche il Custode di Terra Santa padre Francesco Patton, insieme ad una folta delegazione di religiosi — Pizzaballa si è soffermato sul significato del martirio che «non è espressione di un desiderio di morte, ma una scelta che esprime un amore profondo e una fedeltà suprema a ciò che ci sta più a cuore. È per questo — ha detto — che è la più alta testimonianza di fede. I martiri ci mostrano, attraverso la loro vita, la forza della fedeltà a Dio, che resta incrollabile anche di fronte alla morte». Il martirio, però, è anche profezia, perché «indica un modo nuovo e altro di stare in mezzo alla violenza e al male»: «Il modo cristiano di affrontare la potenza del male nel mondo, è la croce. Stare con Cristo sulla croce, significa non avere paura della morte, ma tenere vivo il desiderio di dono di sé, di amore gratuito, di perdono».
Richiamando il gesto di uno dei fratelli che, prima di essere ucciso, cercò di salvare le specie eucaristiche del tabernacolo, Pizzaballa ha aggiunto che «il martirio può essere inteso anche come atto eucaristico. Se l’Eucarestia è la celebrazione del comandamento dell’amore, è memoriale della morte e risurrezione di Cristo, il martirio ne mostra il suo compimento nella realtà del mondo». Coloro che hanno dato la vita per il Vangelo, aiutano «a tenere sempre viva l’originalità cristiana», che di fronte alla logica del mondo, dominata da forza, senso di superiorità, vittoria, ricchezza e potere, «risponde con il dono di sé, il desiderio di bene, il coraggio del perdono, la fedeltà alla verità e alla giustizia, amore gratuito».
«È la forza dei miti che ereditano la terra — ha osservato il porporato —. Per il mondo i martiri sono dei perdenti, così come perdente era Gesù sulla croce. Ma per noi credenti essi rendono visibile la potenza di Dio (Cfr. 1 Cor, 2, 5)».
Il cardinale Pizzaballa ha riservato poi un pensiero al Medio Oriente di oggi, «invaso dall’odio, dal fanatismo religioso, dal desiderio di vendetta e di ritorsione, che sono causa di una violenza brutale non solo fisica, ma in tante altre forme», «un contesto in cui a tanti cristiani sono negate opportunità, vengono negati diritti, sono maltrattati o semplicemente dimenticati, solo perché continuano a seguire Cristo. In un certo senso — ha sottolineato — anche questa è una forma di martirio».
In questo tempo, ha aggiunto il patriarca, «assistiamo all’illusione di credere che si possano costruire prospettive di pace con l’uso delle armi. Abbondano senso di sfiducia, mancanza di speranza, indifferenza rispetto alla morte e al dolore degli altri. Abbiamo visto cosa tutto ciò ha prodotto: macerie ovunque. La distruzione prima di essere materiale, è morale, umana». Se «le ingerenze esterne, sia politiche che di altro genere, hanno certamente avuto un ruolo importante in questa deriva, come al tempo dei nostri martiri», non possono, però, giustificare tutto l’accaduto. «Dovremmo davvero fare penitenza — ha detto il patriarca — e chiedere perdono a Dio per tutto questo. E riconoscere che anche le religioni, nelle loro forme istituzionali, non hanno mostrato grande libertà e capacità di profezia».
In tale contesto, la piccola comunità cristiana del Medio Oriente è continuamente provata, come lo fu al tempo dei “martiri di Damasco”, ha ricordato Pizzaballa: «Da Gaza al Libano, dalla Siria all’Iraq, dall’Egitto al Sudan, sono tanti i nostri fratelli e sorelle nella fede che soffrono ogni giorno. Ma insieme a quelle tragedie, dobbiamo anche ricordare la meravigliosa fedeltà a Cristo che essi sanno dare. Dobbiamo riconoscere la forza e la bellezza della testimonianza di non pochi giovani cristiani, ad esempio, che sulle mura delle chiese distrutte dalle bombe, non molti anni fa, hanno voluto scrivere: “Ma noi vi perdoniamo!”. È il modo cristiano di stare in Medio Oriente».
Anche oggi, dunque, la forza della croce può essere «luminosa» e dare conforto: «Non permetteremo alla logica della violenza di avere l’ultima parola — ha esortato il patriarca — o di essere l’unica voce in Medio Oriente. È questa, dunque, la bellezza della testimonianza cristiana e il senso della sua presenza in queste terre, segnate dalla vita di Gesù, e bagnate in ogni tempo dal sangue dei martiri cristiani, presenza luminosa di Cristo: essere con la parola e con l’azione, forza di vita, offerta di fraternità e di accoglienza, desiderio di bene per tutti, coraggio del perdono».
Il porporato ha dunque ricordato e salutato i fedeli della Siria, ringraziandoli «della loro serena tenacia in tutti questi difficili anni di guerra e di povertà. Il sangue dei martiri di Damasco è stato per voi un seme che ha rafforzato la vostra comunità cristiana che, nonostante tutto, oggi non si arrende, ma continua a dare testimonianza di vita e di fraternità».
Una preghiera è andata anche «ai fratelli libanesi che in questi giorni hanno perso la vita sotto le bombe» e «ai fratelli e sorelle di Terra Santa, da Gaza a Betlemme, fino a Nazareth»: «Come nel passato — ha concluso Pizzaballa — sono certo che anche oggi, nonostante l’infuriare della tempesta della guerra, la nostra piccola comunità cristiana saprà operare per la verità e la giustizia, collaborando con quegli uomini e donne di ogni fede che non temono di impegnarsi per costruire insieme prospettive di pace».
di Beatrice Guarrera