
Al termine dell’Anno santo della misericordia, Papa Francesco ci ricordava che «la Chiesa è chiamata a curare le ferite impresse nella carne di tanti, a lenirle con l’olio della consolazione, a fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta».
E la misericordia della Chiesa, con la sua solidarietà verso «le periferie esistenziali» — sembra dire il Papa — scattano quando con occhio attento si guarda il mondo e le persone che lo abitano.
Torino è particolarmente famosa per l’abbondanza di questi «santi sociali» — persone con l’occhio attento e il cuore grande — che, tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, donarono anima e corpo per combattere le piaghe sociali dell’epoca, difendere i diritti dei più fragili e far nascere opere che continuassero questa attenzione agli ultimi della società.
I loro nomi sono noti ed è una felice sorpresa vedere come la «bibbia moderna dell’informazione on line», cioè Wikipedia, inserisca nella lista dei santi sociali pure Giuseppe Allamano (1851-1926), anche se solo con un rapido flash: «Fondatore dei missionari della Consolata a favore dei più sfortunati nel mondo».
Un prete umile e senza apparenza, Allamano, che ora viene proclamato santo: per la fedeltà eroica con cui ha cesellato la sua vocazione cristiana e sacerdotale e, soprattutto, per avere spinto il suo sguardo attento non solo alla città in cui ha trascorso la vita, ma molto più in là, in Africa. E con la fondazione di due istituti missionari è riuscito a raggiungere altri popoli e continenti.
Ancora ragazzo, guardava alle missioni con passione e curiosità. Superando le idee ristrette del suo ambiente e i confini limitati della sua terra piemontese, Allamano allargò i suoi orizzonti e sentì l’urgenza del mandato di Cristo di portare a tutti il Vangelo.
Trovava innaturale che nella sua Chiesa torinese, feconda di tante istituzioni di carità, ne mancasse una dedicata alle missioni. Decise di rimediarvi. L’idea di un istituto esclusivamente missionario non sorse all’improvviso nella sua mente, ma maturò nel suo spirito attraverso una lunga preparazione spirituale e non si attuò che superando prove e contraddizioni.
Con l’approvazione del suo arcivescovo, Agostino Richelmy, e della Conferenza episcopale subalpina, il 29 gennaio 1901, fondava l’Istituto dei Missionari della Consolata.
Nel 1902 partiva il primo gruppetto di pionieri per il Kenya, presto seguito da molti altri che, sorprendentemente, riuscirono ad adattarsi alla nuova vita e a costituire, con testarda tenacia e duro lavoro, giovani e numerose comunità cristiane.
Ma Allamano subito sentì l’urgenza della presenza di donne, consacrate a tempo pieno per l’evangelizzazione. Dapprima ottenne la collaborazione preziosa delle Suore del Cottolengo di Torino, finché Papa Pio x , in un’udienza privata, l’aiutò a capire la volontà di Dio nel bisogno concreto di missionarie, che si stava manifestando in Africa. Così, il 29 gennaio 1910, il sacerdote fondò un secondo Istituto, quello delle Suore Missionarie della Consolata.
Moriva serenamente, presso il Santuario della Consolata, il 16 febbraio 1926, lasciando dietro di sé un rimpianto nella Chiesa locale, di cui era sempre stato presbitero, e nelle sue due famiglie missionarie.
Il lungo cammino della sua Causa di canonizzazione, con la tappa intermedia della beatificazione (7 ottobre 1990), si è concluso quest’anno con il riconoscimento di un secondo miracolo attribuito alla sua intercessione: l’inspiegabile guarigione di un indigeno dell’Amazzonia brasiliana, Sorino Yanomami, che, assalito e gravemente ferito da un giaguaro, non solo scampava dalla morte, ma, in breve tempo, poteva tornare alla sua vita e attività normale nella foresta, senza alcuna conseguenza dell’incidente.
La «salvezza» di Sorino è diventata così un segno visibile della presenza di Dio, Padre di tutti, nella vita del popolo Yanomami, confermando il carisma della missione ad gentes lasciato in eredità da Allamano ai suoi missionari e missionarie, nello stile da lui indicato: «Scegliete la mansuetudine come cammino di trasformazione» e sempre «in unità d’intenti».
«Io capisco che — essendo voi [Missionari della Consolata] religiosi e conoscendo Dio — Lui vi ha mandati per difendere la vita del nostro popolo Yanomami e del pianeta. So che, da molti anni, la Chiesa si è posta lungo il sentiero dell’incontro con i popoli indigeni. La Chiesa sa che l’indigeno non è un “animale”, sa che è persona, che è stato creato dall’autorità del cielo, così come sono stati creati i non-indigeni. Il compito della Chiesa è di non lasciare far guerre, di portare la pace, mentre, dall’altro lato, esistono nemici molto forti, alleati a politici, che vogliono impossessarsi delle ricchezze della Terra. La Chiesa deve essere differente, pensare come pensa Dio: desiderare la nostra vita! Voi avvicinatevi, con attitudine di amicizia e simpatia, senza la diffidenza di chi dice che l’indio deve rimanere lontano, al suo posto!» (Davi Kopenawa, leader e portavoce del popolo Yanomami del Brasile).
I due Istituti adattano oggi il passo alla nuova andatura, camminando nel solco tracciato dal fondatore e portando con loro il ricordo di una persona cara e «santa», con l’impronta di una pedagogia adatta ad ogni forma di evangelizzazione.
La concezione missionaria di Allamano è aderente, nella forma e nei contenuti, alle persone e alle loro culture, e si adatta ai ritmi di vita che incontra nel suo cammino. Egli ha insegnato ai suoi missionari e missionarie ad entrare in casa altrui in punta di piedi e a sedersi alla mensa comune, senza pretese o condizionamenti, contenti di condividere con gli altri il pasto comune. Soleva dire che «il bene non fa rumore», che va compiuto con discrezione e nel miglior modo possibile.
Presenti, oggi, in 35 Paesi d’Africa, America e Asia, i Missionari e le Missionarie della Consolata continuano a percorrere le strade mondo, chiedendo ogni giorno al Signore di mantenere acceso nel cuore «quel fuoco di carità che infiammò Giuseppe Allamano, perché, con Maria Consolata, nostra Madre, portino al mondo la vera consolazione e, con mite fortezza, annuncino la sua gloria alle genti».
di Giacomo Mazzotti
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