Chi è un capitano? Nella pellicola di Matteo Garrone è un giovane senegalese partito da Dakar con un amico per realizzare un sogno: raggiungere l’Europa e sfuggire alla miseria. Dopo una serie di drammatiche vicende, che si snodano attraverso il deserto e la prigionia, Seydou viene messo alla guida di un barcone e porta tutti i migranti a bordo dell’imbarcazione sani e salvi in Sicilia. È una storia di disperazione e speranza, che si conclude con la traversata nel Mar Mediterraneo senza vittime e dispersi, quella raccontata nel film Io Capitano, vincitore del Leone d’Argento all’80o Festival di Venezia e candidato nel 2024 al Premio Oscar nella categoria “miglior film internazionale”.
L’intenso lungometraggio è stato proiettato ieri pomeriggio, martedì 15 ottobre, in Vaticano, nell’ambito del Sinodo sulla sinodalità. Organizzata dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, la proiezione nell’Aula nuova del Sinodo è stata introdotta dalle parole del regista, Matteo Garrone, e di Mamadou Kouassi, il migrante che ha ispirato l’opera cinematografica. Al dialogo, che ha anticipato la visione del film, hanno preso parte il gesuita Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero organizzatore, e monsignor Davide Milani, segretario generale della Fondazione pontificia Cultura per l’educazione e presidente di Fondazione Ente dello spettacolo. È stata l’occasione per una meditazione sulle sfide, tra cui quelle legate alle migrazioni, alle quali la Chiesa cerca di rispondere in tutto il mondo con opere di solidarietà e anche ricordando le priorità, in questo ambito, indicate in più occasioni da Papa Francesco: accoglienza, protezione, promozione e integrazione.
Il dialogo che ha preceduto la proiezione si è articolato attraverso voci cariche di emozione. Don Milani ha ricordato che Io Capitano ha ricevuto un apprezzamento trasversale. Il tema delle migrazioni, ha aggiunto, viene raccontato in questa pellicola con una visione integrale partendo dalle premesse, dalle terre da cui hanno origine i viaggi della speranza verso l’Occidente, verso l’Europa. Lo stile della fiaba e la trasfigurazione della realtà sono alcuni degli aspetti dell’opera.
Per parte sua, Garrone ha spiegato che «il film nasce dall’ascolto e dal desiderio di poter dar voce a chi di solito voce non ha». Il racconto vuole far «vivere in soggettiva il viaggio». La struttura dell’opera è quella omerica «del viaggio dell’eroe». L’obiettivo è mostrare ai giovani una pagina buia dell’era contemporanea, non solo a quelli europei, ma soprattutto alle nuove generazioni che vivono in Africa. Attraverso questo film, ha detto il regista, non si vuole dare una risposta ad un problema così complesso, ma «trasmettere un’esperienza».
«Quest’opera mi ha fatto crescere», ha quindi detto uno degli attori, Seydou Sarr. «Quando siamo andati in Marocco ho conosciuto le persone che realmente hanno viaggiato dall’Africa verso l’Europa. Ascoltando le loro storie, ho sentito qualcosa. E ho voluto recitare in questo film per dare voce a loro». Mamadou Kouassi, altro protagonista del film, ha detto che Io Capitano ha creato una consapevolezza sul vero volto delle migrazioni anche in Africa. Si mette in luce il desiderio dei giovani africani di scoprire il mondo. Molte persone «credono che arrivare in Europa sia facile». Nel deserto e in mare, invece, molti uomini, donne e bambini muoiono. Questa è la verità, ha detto il giovane, che si è definito «un sopravvissuto». Quest’opera, ha concluso, è perciò uno strumento per dare una testimonianza nelle scuole e per «parlare alle persone che non vedono tutta la sofferenza» dei migranti.
Padre Spadaro ha sottolineato che la pellicola ha la capacità, con il suo linguaggio sconvolgente, di coinvolgere e di non anestetizzare lo sguardo dello spettatore. Ai Media Vaticani, a margine dell’evento, lo stesso ha spiegato che all’assemblea sinodale — alla quale partecipa come membro — «c’è una forte sensibilità per il tema delle migrazioni del quale il Papa parla tantissimo» e «il film è in grado di parlare in maniera energica di questo tema, ma con uno stile diverso rispetto a quello che noi siamo abituati a vedere». Io Capitano è, insomma, un viaggio in prima persona che ha toccato il cuore di tutti i partecipanti al Sinodo presenti nell’aula.
di Amedeo Lomonaco