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La testimonianza di suor Vytvytska, vice capo della Commissione per i religiosi della Chiesa greco-cattolica ucraina

Coraggio e sacrificio

 Coraggio e sacrificio  QUO-235
16 ottobre 2024

Continua preghiera privata e liturgica per la fine della guerra e per la pace giusta e duratura, supporto spirituale e psicologico a chi vive i traumi e i lutti, instancabile impegno per provvedere ai bisogni di base a chi ha perso tutto, appelli alle comunità cattoliche in tutto il mondo per non rimanere dimenticati: tutto questo e ancora di più fa la Chiesa in Ucraina da quando è scoppiata la guerra su larga scala. Vescovi, sacerdoti, consacrati e laici rimangono, soprattutto, “il sale e la luce” che contrasta la disperazione che vuole insinuarsi nelle anime della gente che soffre ormai da più di due anni e mezzo.

«Entrando in un convento, una persona compie un passo abbastanza radicale. Con questa esperienza alle spalle, nel momento il cui Paese affronta una grande sfida come la guerra, il religioso o la religiosa sente di volerlo farlo un’altra volta: servire in modo radicale. Poi ognuno decide esattamente cosa fare», afferma suor Maddalena Vytvytska dell’Ordine di San Basilio Magno, vice capo della Commissione per i religiosi della Chiesa greco-cattolica ucraina, in un’intervista ai media vaticani. La religiosa racconta delle attività della commissione in questo periodo, richiamando l’attenzione sull’importanza della preparazione al dopoguerra. Parla anche dell’equilibrio tra aiutare gli altri e prendersi cura di sé stessi.

«Più di due anni fa, quando è scoppiata la guerra — racconta — c’è stata tanta incertezza e preoccupazione. I consacrati come tutti gli altri hanno avuto reazioni differenti: chi ha avuto paura, chi è andato all’estero per aiutare i profughi, e chi, invece, ha cercato di avvicinarsi al fronte per servire come cappellani o stare accanto alla gente nei rifugi». La suora aggiunge che oggi le comunità religiose hanno ritrovato un certo equilibrio. Anche la loro commissione sta tornando ai progetti che avevano lanciato prima della guerra. Tra i nuovi intrapresi, c’è anche “Le ali”, un progetto che mira al rinnovamento spirituale, fisico e mentale dei consacrati che svolgono il loro servizio vicino al fronte. «Ci sono molti consacrati — spiega suor Maddalena — che dall’inizio della guerra sono costantemente lì, a prestare servizio con la gente in difficoltà, con i militari, con gli sfollati, con gli anziani e i disabili. Inoltre, sono esposti a stress, stanchezza, ansia, mancanza di sonno. Tutto questo ha un impatto sulla salute e per questo la commissione ha deciso di organizzare per loro una sorta di ritiro di sette giorni in una zona vicina alla natura, lontana dai rumori della guerra».

Un altro progetto formativo è la Scuola per i novizi che «ha aiutato novizie e novizi a resistere nei primi anni di guerra. I nuovi arrivati sono già sul punto di dover compiere una scelta — prosegue — e in questo contesto, quando tutto è instabile, sorgono domande ed esitazioni. Nella Scuola per i novizi si ha la possibilità di incontrare persone che si trovano nella stessa situazione, di sostenersi a vicenda, di condividere le difficoltà, le paure e le preoccupazioni. Hanno incontri con uno psicologo e lezioni su come affrontare le situazioni».

Durante i loro incontri la commissione ha riflettuto su ciò che attende il Paese dopo la guerra. «La popolazione sta cambiando: ci sono meno uomini, più vedove e bambini. Siamo consapevoli che dobbiamo prepararci al dopoguerra, ed è allora che la Chiesa e le persone consacrate avranno tanto da fare, perché allora dovremo curare le ferite e aiutare la gente a tornare alla normalità. E i bambini, in particolare, hanno bisogno di aiuto in questo senso, perché sono il nostro futuro e, anche se adesso giocano e ridono, dentro soffrono per quello che sta accadendo».

Chi vuole curare le ferite degli altri deve avere la forza interiore e prendersi cura anche di se stesso. In situazioni estreme come la guerra, non è facile trovare un equilibrio tra servire gli altri e prendersi cura di sé. «Per noi religiosi — spiega suor Maddalena — funziona come per tutte le altre persone. Ognuno ha bisogno di un sostegno spirituale, che riceviamo nella preghiera, e umano, che per noi religiosi è la comunità in cui viviamo. La guerra è diventata un indicatore di quanto siano forti le nostre comunità: lì dove le persone consacrate tornano volentieri nella casa comunitaria, dove hanno la forza di lavorare con le sfide della guerra, di aiutare a guarire le ferite, vuol dire che ricevono sostegno. Invece, i religiosi che spendono molte risorse a causa dei problemi nelle comunità, dove non c’è vicinanza, comprensione e sostegno, non hanno più risorse per lavorare all’esterno».

Durante la guerra, gli istituti religiosi in Ucraina si sono trovati di fronte a sfide mai viste prima. «Nei momenti di prova, tutto diventa molto intenso. Sin dai primi giorni di guerra c’è stato chi era pronto a lasciare il convento per arruolarsi nell’esercito o per servire come cappellano accanto ai soldati in prima linea. Potremmo tutti o la maggior parte di noi, diventare cappellani. Ma poi chi lavorerà con i veterani che sono tornati dalla guerra? Chi starà con gli sfollati interni? Anche loro hanno bisogno di sacerdoti, suore, frati, assistenza spirituale e psicologica, hanno bisogno — conclude — di sentire la preghiera in chiesa e questo è il nostro primo compito».

di Svitlana Dukhovych