Quando si fece prossima la passione di Gesù, Giovanni ci racconta che egli disse: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 23-24). Il Sinodo sulla sinodalità, processo triennale di ascolto e dialogo che raggiungerà il suo apice a Roma il prossimo ottobre, sarà fruttuoso solo se si rivelerà anche un tempo in cui morire un po’. Dopo la conclusione della prima assemblea del Sinodo, lo scorso ottobre, si alzarono proteste secondo cui non era stato realizzato granché. Dopo tutto il gran clamore, il documento finale, la Relazione di Sintesi, dichiarava che la questione delle donne diacono doveva essere “studiata” — per la terza volta! Il documento pareva anche arretrare rispetto al documento preparatorio sull’apertura alle persone Lgbt. La parola non vi è neppure menzionata. Molti considerarono tutto ciò come un fallimento.
Il Sinodo aveva anticipato questo fraintendimento. Quando i semi cadono nel terreno, non sembra accadere molto. Essi germinano tranquillamente fino alla primavera. Papa Francesco ha insistito più e più volte che il Sinodo non è un organo parlamentare, radunato per prendere decisioni rapide. Protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo. Ogni cambiamento è profondo, organico e a malapena percettibile. È il modo di agire di Dio. Quando Gesù morì sulla croce e fu risuscitato la domenica di Pasqua, il mondo sembrava andare avanti come al solito. L’Impero pareva immutato. Ma il Regno era arrivato.
Vedo lo Spirito all’opera nel Sinodo in almeno tre modi, e ognuno di questi ci invita a una sorta di morte affinché possiamo vivere. Il primo modo si verifica apprendendo a condividere nell’amicizia divina. Può apparire strano dire che il primo passo del cammino sinodale, che sia a Roma o in una parrocchia locale, consista nell’essere aperti ad amicizie nuove e inaspettate. Ma il Regno di Dio ha fatto irruzione nel mondo duemila anni fa quando Gesù iniziò a offrire la sua amicizia a ogni tipo di peccatore, anche il più emarginato o balordo. Gesù mangiò e bevve con le prostitute, con gli esattori delle tasse, corrotti e disprezzati. Questa era condivisione nella vita di Dio, che Tommaso d’Aquino riteneva essere l’eterna e uguale amicizia di Padre, Figlio e Santo Spirito.
Durante la prima sessione del Sinodo, lo Spirito Santo operò tramite l’incontro con gli altri. Caddero barriere e nacquero amicizie. Tempi addietro ho partecipato a tre Sinodi. Essi erano caratterizzati da ciò che definisco l’“ecclesiologia dei cappelli”: al centro stava un cappello bianco; poi un paio di cerchie di cappelli rossi; quindi molti cappelli color porpora; e alle estremità quelli senza cappello, come me. Ai tempi, ognuno di noi fu chiamato a pronunciare un discorso di otto minuti preparato a casa e poi dovemmo andarcene. Complessivamente, piuttosto noioso. Ma questa volta eravamo tutti seduti attorno a tavoli rotondi. Cardinali e vescovi sedevano accanto a giovani, donne dall’America Latina, religiosi e religiose. La persona più giovane aveva 19 anni e veniva dal Wyoming.
Tutti i membri del Sinodo erano coinvolti in “conversazioni nello spirito”. A tutte le persone al tavolo veniva chiesto di parlare per quattro minuti. Nessuno poteva interrompere. Poi, dopo un breve momento di silenzio, un giro di reazioni e, infine, una valutazione su dove si concordava, si discordava o si sarebbe potuti convergere. Ogni tavolo aveva un facilitatore, spesso una donna, che fermava chiunque — cardinali inclusi — parlasse troppo a lungo. Un arcivescovo del Vaticano mi disse: «Guardi quei cardinali romani. Sono costretti ad ascoltare i battezzati in rispettoso silenzio. Non saranno mai più come prima».
Nell’amicizia, non solo puoi avvicinarti agli altri, ma tu stesso sei trasformato. Devi morire un po’, lasciare andare la persona che sei. Ogni amicizia profonda ti porta fuori di te. Diventi una persona nuova, anche solo per un tuo piccolo aspetto. Di recente ho avuto un grave problema di cancro, per la seconda volta. Mentre scendevo a patti con la mia essenza mortale, cominciai a scrivere degli appunti sulla mia vita, rendendomi conto che io sono il frutto di tutte le amicizie e gli amori che ho creato, e talvolta anche del mio fallimento nell’amare.
Chi noi siamo, come cittadini del Regno, deve ancora essere pienamente svelato. San Giovanni, nella sua prima lettera, scrive: «…ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). La nostra identità è nascosta in Cristo. Essere aperti all’amicizia richiede che non ci si interessi troppo della propria identità. Come diceva Iris Murdoch: «Il requisito principale per una buona vita è vivere senza un’immagine di sé».
Così, la sfida, per la Chiesa, è di diventare la comunità degli amici di Dio. E ciò è incompatibile con il “clericalismo”, l’elevazione degli ordinati in una casta superiore al di sopra dei battezzati. Non sorprende che alcuni preti e vescovi siano stati i più resistenti, tra i gruppi dentro la Chiesa, al cammino sinodale. Può sembrare come un rifiuto della loro identità sacerdotale. Ma senza il supporto del clero il processo sinodale non potrà decollare. È urgente che elaboriamo una visione affermativa dell’identità sacerdotale che custodisca la propria vocazione come una magnifica chiamata al cuore della Chiesa. Come debba essere questa nuova identità sacerdotale non mi appare ancora chiaro, benché sicuramente implichi essere ordinati, ordinati in ogni singola fibra del proprio essere, nell’amicizia, come lo fu Nostro Signore. In visita presso un raduno di popoli tribali nel nord del Pakistan, individuai il loro sacerdote, un domenicano americano, che sedeva a terra in mezzo alla gente, e indossava i suoi abiti e senza dubbio aveva l’“odore delle sue pecore”, come a Papa Francesco piace dire. E pensai: sì, così deve essere il sacerdozio.
Siamo tutti invitati a una specie di Venerdì Santo per morire alle identità ristrette e difensive che ci costruiamo per consolidare il senso di chi noi siamo. La nostra società è ossessionata dall’identità. Identità di genere, etnica, o di classe (specialmente per i britannici), sessuale, politica. L’identità va scelta e costruita. Durante un viaggio verso l’Australia, ho avuto l’occasione di vedere il film Barbie, e l’ho trovato sorprendentemente profondo. Barbieland, il mondo di Barbie, abbraccia l’American dream, e cioè che si può essere qualsiasi cosa si scelga di essere. Assurdo. Non potrei mai essere un matematico o correre un miglio in quattro minuti. Per i cristiani, l’identità non è scelta o costruita. È scoperta o anche abbandonata come diciamo, Gesù è il Signore.
A Barbieland, la morte non deve neanche essere nominata. Ma i cristiani abbracciano il Venerdì Santo, quando il seme solitario cade nel terreno e muore perché possa moltiplicarsi. Questo cominciò ad accadere al Sinodo quando le barriere hanno iniziato a cadere e fummo invitati a fare un passo oltre le ristrette identità di sinistra e destra, nord e sud e anche, spero, giovani e vecchi per diventare uno nel Signore, come sono uno il Figlio e il Padre. È un segno di speranza in un mondo sempre più diviso da guerra e violenza.
E ciò mi conduce al secondo modo in cui penso che lo Spirito sia all’opera nel Sinodo. Lo Spirito Santo ci invita ad abbandonare le nostre comfort zone in quanto persone occidentali. A Pentecoste lo Spirito discese sulla comunità riunita a Gerusalemme, inviando poi ognuno ai confini della terra. Ma gli apostoli non volevano andare. Desideravano rimanere nella Città Santa, gustando l’amicizia gli uni degli altri, una piccola comunità ebraica. Fu la persecuzione a spingerli fuori dal nido per abbracciare tutti noi Gentili. Se ciò non fosse accaduto, noi oggi non saremmo qui.
Ecco cosa fa lo Spirito. Conduce le persone al di fuori della loro comfort zone nel vasto mondo degli amici di Dio. Quando vivevo a Roma, alcuni falchetti facevano il loro nido sopra le finestre del mio ufficio. Ogni anno si ripeteva il dramma dei genitori che spingevano i loro piccoli fuori dal nido. Essi si libravano davanti alla mia finestra, tentando disperatamente di volare. Lo Spirito Santo è come una grande mamma-falco che ci butta fuori dalla nostra comfort zone.
Qualcosa di simile cominciò ad accadere a molti di noi occidentali al Sinodo. Siamo arrivati con la nostra agenda occidentale. Avevamo i nostri temi scottanti. Vedevamo il mondo attraverso occhi occidentali. Ma abbiamo avuto uno shock. Quando cadde il Muro di Berlino nel 1989, molti affermarono che eravamo entrati in una nuova era, il trionfo della democrazia liberale occidentale. Ogni nazione era destinata a “evolvere” verso il nostro stile di vita. Se alcuni Paesi, soprattutto nel Sud del mondo, non concordavano con noi, per esempio, sull’accoglienza delle persone gay, prima o poi si sarebbero dovuti adeguare.
Avevamo torto. Stiamo entrando in un mondo multipolare. L’Occidente non è più il punto di riferimento automatico per gran parte della popolazione mondiale. Non sono sicuro che abbiamo neanche cominciato a immaginare cosa significhi essere uno in Cristo con i nostri fratelli e sorelle di Africa, Asia e America Latina. Durante la prima guerra dell’Iraq, la famiglia domenicana organizzò un digiuno di un mese per la pace a Union Square a New York. Avevamo creato degli adesivi da mettere sui paraurti delle auto: “Abbiamo famiglia in Iraq”. Possiamo immaginare le conseguenze dell’essere veramente loro fratelli e sorelle? Siamo chiamati principalmente a essere cittadini del Regno di Dio, prima di ogni identità nazionale.
E qui eccoci al punto cruciale per il processo sinodale. È doveroso aprirsi ad altre culture, altre sorelle e altri fratelli del Regno. Fratelli tutti! Ma Papa Francesco ci chiede anche di aprire la Chiesa a tutti, chiunque essi siano. Todos, todos, todos (Tutti, tutti, tutti): i divorziati e i risposati, i gay, i transgender. Ma in alcune parti del mondo l’accoglienza dei gay è vista come scandalosa. Molti vescovi cattolici in Africa lo vedono come un tentativo di imporre al resto del mondo un’ideologia occidentale decadente. Il cardinale Fridolin Ambongo di Kinshasa, presidente dell’organizzazione che rappresenta tutti i vescovi cattolici dell’Africa, lo vede come il sintomo di una cultura occidentale decadente. Poche settimane fa ha dichiarato: «A poco a poco, loro [gli occidentali] spariranno. Noi auguriamo loro buona sparizione».
Come possiamo riconciliare i due imperativi del papato di Francesco: essere rivolti verso l’esterno per portare il Vangelo ai confini del mondo, a tutte le culture, ed essere aperti a tutti gli esseri umani, qualsiasi sia la loro condizione e chiunque essi siano? Il dilemma è esploso con la Fiducia supplicans, la dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede che concede ai preti il permesso, specie in situazioni molto specifiche, di benedire coppie in relazioni “irregolari”, incluse le coppie dello stesso sesso. Il cardinale Ambongo è andato a Roma a presentare il fermo rifiuto della proposta da parte dei vescovi dell’Africa. Mai prima d’ora tutti i vescovi di un continente avevano ripudiato un documento del Vaticano. Fu fatto ogni tentativo per placare la crisi.
Il papa aveva approvato la dichiarazione. Il cardinale Ambongo ha confermato che l’eccezionalismo africano è un esempio di sinodalità. E ha puntualizzato che unità non significa uniformità. Il Vangelo è inculturato in modo differente nelle diverse parti del mondo.
Ma ciò solleva questioni più complesse di questa. È vero, il Vangelo è sempre inculturato nelle diverse culture, ma sfida anche ogni cultura. Gesù era ebreo, eppure sfidava la religione dei suoi antenati. Il rifiuto di benedire i gay in Africa è un esempio di inculturazione o un rifiuto di essere anticonformista? L’inculturazione per una persona è il rifiuto da parte di un’altra persona del Vangelo anticonformista. Un altro timore suscitato dalla Fiducia supplicans è che non sembra esserci stata alcuna consultazione — anche con i vescovi o altri uffici del Vaticano — prima della sua uscita; non proprio, forse, un buon esempio di sinodalità. I vescovi africani sono sotto una forte pressione da parte degli evangelici, con denaro americano; degli ortodossi russi, con denaro russo; e dei musulmani, con denaro dei ricchi Paesi del Golfo. Avrebbe dovuto esserci una discussione con loro prima, e non dopo, la pubblicazione della dichiarazione. Qualsiasi cosa noi pensiamo sulla dichiarazione, al momento di affrontare delle tensioni, e per superarle, dobbiamo tutti pensare e coinvolgerci gli uni con gli altri a un livello profondo.
Il terzo modo in cui vedo lo Spirito all’opera nel Sinodo è il suo condurci verso la pienezza della verità. Si tratta di un’ulteriore sorta di Venerdì Santo. Di quando in quando nella vita della Chiesa sperimentiamo momenti dolorosi in cui moriamo a una certa comprensione della nostra fede e della vita cristiana, in modo da spingerci più profondamente nel mistero di Dio. È come quando si bacia una persona. Vedi qualcuno all’altro capo di una stanza. Lo vedi nella sua interezza. Ti si avvicina e tu lo abbracci. E lui scompare, tranne che per il suo viso. Lo baci e diventa invisibile, non perché se ne è andato, ma perché si è creata una nuova intimità. Così accade con Dio. Di quando in quando ci sembra di perdere Dio, di entrare in una notte oscura, ma solo perché noi possiamo avvicinarci.
È accaduto in tutta la storia della Chiesa. È accaduto nel xiii secolo, quando l’Occidente ha riscoperto le opere perdute di Aristotele. Ciò ha portato a una trasformazione teologica, in gran parte attraverso l’insegnamento dell’Aquinate. È accaduto di nuovo durante il Rinascimento, spesso attraverso i teologi gesuiti. Il Sinodo sta proseguendo il movimento sismico che prese avvio con il Concilio Vaticano ii . Ognuno di questi momenti fu un morire e risorgere.
Tutto ciò allarma molte persone. Alcuni miei amici affermano che sono diventati cattolici perché avevano desiderio di certezza, di chiarezza. La certezza rimane: Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto, e si è donato a noi nell’eucarestia. Tutte le dottrine espresse dal Credo rimangono incrollabili. Ma la nostra ricerca per capire più a fondo quello che tali dottrine significano talora ci conduce alla perplessità. Nel xiii secolo l’Aquinate commentò che «Beati coloro che sono nel pianto» era la beatitudine soprattutto di coloro che cercano conoscenza e comprensione: «Siamo uniti a Dio come all’ignoto», disse. Dobbiamo morire al nostro vecchio modo di pensare per addentrarci più a fondo nel mistero. E può essere arduo.
Non tutta la ricerca della verità può essere portata avanti dal Sinodo soltanto. Papa Francesco ha istituito varie commissioni per riflettere sulle questioni urgenti, dal ruolo dei vescovi alle diverse forme di ministero e al ruolo delle donne. Questa è parte della nostra testimonianza di un mondo che si è disinnamorato della verità, perso tra i flutti delle fake news e di folli teorie cospirative, dove c’è la “tua” verità e la “mia” verità, anziché la verità. Come Papa Benedetto xvi amava dire, abbiamo perso il senso della grandezza della ragione.
Il Venerdì Santo è il giorno giusto in cui pensare al Sinodo. Ci richiama ai diversi modi di morire perché possiamo vivere. Il seme deve cadere nel terreno e morire se vuole portare frutto. In un mondo che vede l’identità come scelta o costruita, l’amicizia divina ci invita a lasciare andare l’immagine di sé e a scoprire chi noi siamo nel mistero di Cristo. E c’è anche un morire alla nostra identità occidente-centrica, nel nostro cercare di capire cosa significhi vivere come cittadini del Regno. E, infine, lo Spirito ci invita a morire ai nostri vecchi modi di pensare cosicché possiamo entrare più in profondità nel mistero di Dio. Questo sarà il compito nei mesi a venire. Nel iv secolo, Gregorio di Nissa disse che saremo sempre agli inizi della comprensione di Dio, ma Gesù «è lo stesso, ieri e oggi e per sempre» (Eb 13, 8).
di Timothy Radcliffe