· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-230
10 ottobre 2024

Sabato 5

Tra legami
familiari
e impegno
professionale

La Chiesa è famiglia di Dio. Nel vostro caso, vi caratterizza il delicato equilibrio tra famiglia e lavoro, che si esprime nel coraggio e nella responsabilità imprenditoriale.

È buono, è costruttivo quando coraggio e responsabilità vanno insieme. L’agire che nasce dal cuore è audace, non si ripiega su sé stesso, ma sa guardare lontano; e la responsabilità, poi, è il segreto dell’economia, una parola che significa “la gestione della casa” – “oikos nomos” – ed è quindi espressione di cura. Cura per la vostra impresa, cura per la famiglia, cura per la nostra casa comune, cura per le future generazioni.

Come la missione della Chiesa, così la vostra attività è generalmente radicata in un territorio, che siete chiamati ad arricchire, sia con la testimonianza di legami familiari, sia con la serietà del vostro impegno professionale.

Il dono della fede orienti sempre di più la vostra presenza nelle realtà locali e rafforzi la vostra partecipazione alle sorti dell’umanità.

Allargare
il cuore
e lo sguardo

Non dimentichiamo che tutto è connesso, niente è isolato. Anche se la fraternità fra le persone e i popoli è tanto ferita e la casa comune porta i segni dell’ingiusta avidità umana, tutto è connesso. Anche le cose brutte hanno connessione con tutti noi.

Possiate abitare la dimensione locale con un cuore universale! E quando lavorate in e per diverse parti del mondo, diffondere il valore di essere “famiglia”.

Vi incoraggio ad andare avanti, a sentirvi parte, nella Chiesa, di una famiglia più grande e di un’impresa più grande, che è il servizio al Regno di Dio, alla sua giustizia. Per questo vi invito ad allargare il cuore e allargare lo sguardo, a coltivare in casa e in azienda l’ascolto fra diverse generazioni.

È importante l’ascolto fra diverse generazioni; i nonni con i nipotini, questo è molto importante.

Vi invito a credere nella vocazione dei vostri figli — qualunque essa sia — e ad aprire porte e finestre a chi può fare un pezzo di strada con voi.

(All’Associazione Italiana delle Aziende Familiari)

Come angeli
che
custodiscono
e sono
al servizio

La lotta è una realtà quotidiana nella vita cristiana: nel nostro cuore, nella nostra vita, nella nostra famiglia, nel nostro popolo, nella nostra Chiesa. Se non si lotta, saremo sconfitti. Il Signore ha affidato questo ufficio principalmente agli angeli: lottare e vincere.

Il diavolo cerca sempre di distruggere l’uomo, presenta le cose come se fossero buone, ma l’intenzione è distruggere.

Per fortuna, abbiamo la certezza di non essere soli in questa lotta, perché il Signore ha affidato agli arcangeli il compito di difendere l’uomo. E gli angeli ci difendono.

Tutti abbiamo accanto un angelo che non ci lascia mai soli e ci aiuta a non sbagliare strada.

Anche voi, sull’esempio di San Michele Arcangelo, siete come angeli, che custodiscono e sono al servizio.

Il vostro è un lavoro prezioso, ma soprattutto un inestimabile servizio alla Chiesa, per il quale desidero ringraziarvi.

Ogni giorno accogliete in Vaticano e nelle zone extraterritoriali numerose persone e pellegrini; molto spesso siete il primo e anche l’unico volto che incontrano.

Per questo, chiedo a Dio che vi doni sempre la grazia di essere il riflesso della tenerezza di Dio.

Alla luce della Parola di questa domenica, voglio anche rivolgermi alle vostre famiglie. Grazie per la pazienza.

Il lavoro dei Gendarmi e dei Vigili del fuoco non è possibile senza la pazienza e la comprensione delle rispettive famiglie, alle quali voglio chiedere scusa per tutte le ore in cui i vostri mariti, i vostri papà, i vostri figli o fratelli non sono presenti a casa perché in servizio.

(Messa per il Corpo della Gendarmeria Vaticana)

Giovani
creativi e saldi con le radici

Non dimenticatevi che un giovane che non crea movimento, che sta fermo, è un vecchio morto. Abbiate coraggio, andate avanti, muovetevi.

A volte dico una cosa che ad alcuni non piace: fate rumore, fate baccano. Ma quel baccano costruttivo che nasce dagli ideali.

E insieme a questo, il paradosso di fare baccano e dialogare con tutti.

Dialogate con gli anziani, che sono la saggezza di un popolo. Ascoltateli e che loro vi ascoltino.

Non rompete le radici del popolo. Un albero che taglia le sue radici non ha più linfa. Aggrappatevi alle radici, ma con creatività. Un giovane che non è creativo non ha vita. È un morto in vita.

Andate avanti, abbiate coraggio e non perdete la gioia.

(Videomessaggio a giovani dell’arcidiocesi
di Madrid)

Domenica 6

Le esigenze dell’amore

Al tempo di Gesù la condizione della donna nel matrimonio era di grande svantaggio rispetto a quella dell’uomo: il marito poteva cacciare, ripudiare la moglie, anche per motivi futili, e ciò veniva giustificato con interpretazioni legalistiche delle Scritture.

Per questo il Signore riconduce i suoi interlocutori alle esigenze dell’amore. Ricorda loro che donna e uomo sono stati voluti dal Creatore uguali nella dignità e complementari nella diversità, per poter essere l’uno per l’altra aiuto, compagnia, ma al tempo stesso stimolo e sfida a crescere.

E perché ciò avvenga, sottolinea la necessità che il loro dono reciproco sia pieno, coinvolgente, senza “mezze misure”, che sia l’inizio di una vita nuova, destinata a durare non “fino a quando mi va”, ma per sempre, accogliendosi reciprocamente e vivendo uniti come “una carne sola”.

Basta
una carezza

Certo, questo non è facile, richiede fedeltà, anche nelle difficoltà, richiede rispetto, sincerità, semplicità.

Richiede di essere disponibili al confronto, a volte alla discussione, quando ci vuole, ma sempre pronti al perdono e alla riconciliazione.

E mi raccomando: marito e moglie, litigate quanto volete, a patto che si faccia la pace prima che finisca la giornata! Sapete perché? Perché la guerra fredda del giorno dopo è pericolosa. “Ni dica, Padre, come si fa?” — “Basta una carezza”, ma mai andare a fine giornata senza fare la pace.

Aperti al dono della vita

Non dimentichiamo, poi, che per gli sposi è essenziale essere aperti al dono della vita, al dono dei figli, che sono il frutto più bello dell’amore, la benedizione più grande di Dio, fonte di gioia e di speranza per ogni casa e tutta la società.

Fate figli!

L’amore è esigente, sì, ma è bello, e più ce ne lasciamo coinvolgere, più scopriamo, in esso, la vera felicità.

Ognuno si chieda nel cuore: com’è il mio amore? È fedele? È generoso? È creativo?

Come sono le nostre famiglie? Sono aperte alla vita, al dono dei figli?

Ventuno nuovi cardinali

L’8 dicembre prossimo terrò un concistoro per la nomina di nuovi Cardinali. La loro provenienza esprime l’universalità della Chiesa che continua ad annunciare l’amore misericordioso di Dio a tutti gli uomini della terra.

L’inserimento dei nuovi Cardinali nella Diocesi di Roma, inoltre, manifesta l’inscindibile legame tra la Sede di Pietro e le Chiese particolari diffuse nel mondo.

(Angelus in piazza San Pietro)

Mercoledì 9

Lo Spirito
assicura
unità e
universalità

Il racconto della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste inizia con la descrizione di alcuni segni preparatori — il vento fragoroso e le lingue di fuoco —, ma trova la sua conclusione nell’affermazione: «E tutti furono colmati di Spirito Santo». San Luca — che ha scritto gli Atti degli Apostoli — mette in luce che lo Spirito è Colui che assicura l’universalità e l’unità della Chiesa.

L’effetto immediato dell’essere “colmati di Spirito Santo” è che gli Apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue» e uscirono dal Cenacolo per annunciare Gesù Cristo.

Così facendo, Luca ha voluto mettere in risalto la missione universale della Chiesa, come segno di una nuova unità tra tutti i popoli.

Verso l’esterno
e l’interno

In due modi lo Spirito lavora per l’unità. Da un lato, spinge la Chiesa verso l’esterno, perché possa accogliere un numero sempre maggiore di persone e di popoli; dall’altro lato, la raccoglie al suo interno per consolidare l’unità raggiunta.

Le insegna a estendersi in universalità e a raccogliersi in unità. Universale e una: questo è il mistero della Chiesa.

Il primo dei due movimenti — l’universalità — lo vediamo nel capitolo 10 degli Atti, nella conversione di Cornelio.

Il giorno di Pentecoste gli Apostoli avevano annunciato Cristo a tutti i giudei e gli osservanti della legge mosaica, a qualsiasi popolo appartenessero.

Ci vuole un’altra “pentecoste”, molto simile alla prima, quella in casa del centurione Cornelio, per indurre gli Apostoli ad allargare l’orizzonte e far cadere l’ultima barriera, quella tra giudei e pagani.

A questa espansione etnica si aggiunge quella geografica. Paolo voleva annunciare il Vangelo in una nuova regione dell’Asia Minore; ma «lo Spirito Santo glielo aveva impedito»; voleva passare in Bitinia «ma lo Spirito di Gesù non lo permise».

Si scopre subito il perché di questi sorprendenti divieti dello Spirito: la notte seguente l’Apostolo riceve in sogno l’ordine di passare in Macedonia.

Il Vangelo usciva così dalla nativa Asia ed entrava in Europa.

Una maniera
sinodale

Il secondo movimento dello Spirito Santo — quello che crea l’unità — lo vediamo nel capitolo 15 degli Atti, nello svolgimento del cosiddetto concilio di Gerusalemme. Il problema è come far sì che l’universalità raggiunta non comprometta l’unità della Chiesa.

Lo Spirito Santo non opera sempre l’unità in maniera repentina, con interventi miracolosi e risolutivi, come a Pentecoste.

Lo fa anche — e nella maggioranza dei casi — con un lavorio discreto, rispettoso dei tempi e delle divergenze umane, passando attraverso persone e istituzioni, preghiera e confronto. In maniera, diremmo oggi, sinodale.

Così infatti avvenne, nel concilio di Gerusalemme, per la questione degli obblighi della Legge mosaica da imporre ai convertiti dal paganesimo.

La sua soluzione fu annunciata a tutta la Chiesa con le ben note parole: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi».

Sant’Agostino spiega l’unità operata dallo Spirito Santo con una immagine, divenuta classica: «Ciò che è l’anima per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo che è la Chiesa».

L’immagine ci aiuta a capire una cosa importante. Lo Spirito Santo non opera l’unità della Chiesa dall’esterno; non si limita a comandare di essere uniti.

È Lui stesso il “vincolo di unità”. È Lui che fa l’unità della Chiesa.

Come sempre, concludiamo con un pensiero che ci aiuta a passare dall’insieme della Chiesa a ciascuno di noi.

L’unità della Chiesa è unità
tra le persone

L’unità della Chiesa è l’unità tra persone e non si realizza a tavolino, ma nella vita. Si realizza nella vita.

Tutti vogliamo l’unità, tutti la desideriamo dal profondo del cuore; eppure essa è tanto difficile da ottenere che, anche all’interno del matrimonio e della famiglia, l’unione e la concordia sono tra le cose più difficili da raggiungere e più ancora da mantenere.

Il motivo — per cui è difficile l’unità tra noi — è che ognuno vuole, sì, che si faccia l’unità, ma intorno al proprio punto di vista, senza pensare che l’altro che gli sta davanti pensa esattamente la stessa cosa circa il “suo” punto di vista. Per questa via, l’unità non fa che allontanarsi.

Al centro, Dio
non noi stessi

L’unità di vita, l’unità di Pentecoste, secondo lo Spirito, si realizza quando ci si sforza di mettere al centro Dio, non sé stessi. Anche l’unità dei cristiani si costruisce così: non aspettando che gli altri ci raggiungano là dove noi siamo, ma muovendoci insieme verso Cristo.

(Udienza generale in piazza San Pietro)