· Città del Vaticano ·

Il Sinodo dei vescovi
Il vescovo libanese Rouhana nella messa celebrata secondo il rito maronita nella basilica di San Pietro

Il futuro di Chiese e Paesi non dipenda da calcoli geopolitici

 Il futuro di Chiese e Paesi  non dipenda da calcoli geopolitici  QUO-230
10 ottobre 2024

«È importante ricordare, nel corso del nostro cammino sinodale, che il futuro delle nostre Chiese e dei nostri rispettivi Paesi, in particolare quelli che vivono in tempi di crisi, non deve dipendere unicamente da calcoli e analisi geostrategiche e geopolitiche». È la riflessione proposta dal vescovo Paul Rouhana, ausiliare di Joubbé, Sarba e Jounieh dei Maroniti, nella messa celebrata ieri pomeriggio, mercoledì 9 ottobre, all’altare della Cattedra della basilica di San Pietro. Alla presenza di tutti i partecipanti alla seconda Sessione del Sinodo sulla sinodalità, la celebrazione si è svolta secondo il rito della Chiesa siro-antiochena maronita.

All’omelia il presule libanese ha ricordato la figura di san Charbel Makhluf e ha evidenziato come i conflitti, tutti, non solo quello in Medio Oriente, rappresentino «il fallimento» e la «rottura del dialogo» che «porta a un mostruoso rifiuto di ogni convivialità sociale».

Un canto in siro-aramaico intonato ai piedi dell’altare ha introdotto il celebrante, che ha sostituito il patriarca di Antiochia dei Maroniti, cardinale Béchara Boutros Raï, «a causa delle difficili circostanze che il nostro amato Medio Oriente sta passando» ha detto il vescovo ausiliare. Una celebrazione cantata, scandita dalla Preghiera del perdono, con l’infusione dell’incenso dal turibolo verso la croce (tre volte al centro, a destra e a sinistra), l’altare, i concelebranti e l’assemblea.

Monsignor Rouhana nella sua riflessione ha evocato un ricordo «ecclesiale e personale», risalente al 9 ottobre del 1977, quando Paolo vi celebrò la messa per la canonizzazione di Charbel Makhluf, «monaco eremita libanese», alla quale il vescovo, all’epoca ventitreenne, partecipò come musicista. L’auspicio è che la fama del «santo patrono del Libano», così ribattezzato dai fedeli, possa riverberarsi nel «fervore» della celebrazione prevista il prossimo 20 ottobre, per la canonizzazione di «undici martiri per la Fede, conosciuti come “martiri di Damasco”», uccisi nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1860 dal gruppo etno-religioso arabo dei drusi.

Ricordando il conflitto in Medio Oriente, monsignor Rouhana ha citato alcuni passaggi della lettera inviata da Papa Francesco ai cattolici della regione in occasione dell’anniversario dell’inizio del conflitto nell’area. L’esempio dei santi basato «sull’ascolto della Parola di Dio» è il «fondamento del nostro cammino sinodale», ha aggiunto il presule, che ha poi esposto il concetto di cooperazione, inquadrandolo in una «sinergia tra la grazia divina» e la «volontà umana». Attingendo alla parola di Dio, «i cristiani nel cammino sinodale ricorderanno anche, incessantemente, l'insegnamento rivoluzionario di Gesù, in virtù del quale l’amore di Dio e l’amore del prossimo sono inseparabili e si interpellano costantemente», ha detto.

Il vescovo libanese ha infine individuato nella parabola del Buon Samaritano la «bussola per testimoniare una sinodalità solidale con coloro che sono stati lasciati indietro, vittime di ingiustizia, povertà e insicurezza». E ha concluso l’omelia esortando i «pellegrini della speranza che non delude» a continuare ad operare «oggi e durante tutto il Giubileo del 2025, come discepoli missionari in tempi di crisi, mediante l’intercessione» della Madonna, dei santi e dei martiri di tutti i tempi.

di Edoardo Giribaldi