Il ruolo dei diaconi permanenti nella Chiesa e la loro partecipazione al Sinodo, l’iniziazione cristiana e l’abbandono delle comunità da parte degli adolescenti e la spiritualità sinodale che porti ad una «purificazione» dei rapporti umani nella Chiesa e con la società, ma anche una richiesta d’aiuto da parte della Chiesa che è in Mozambico, sono stati i temi toccati dai tre ospiti della quotidiana conferenza nella Sala stampa della Santa Sede. Rappresentanti di altrettanti continenti — Africa, America ed Europa — il più sollecitato dalle domande dei giornalisti, dopo il suo intervento iniziale, è stato il diacono Geert De Cubber, testimone del processo sinodale, teologo, ex giornalista, diacono permanente della diocesi di Gand (Belgio) e delegato episcopale per la catechesi e la pastorale giovanile e familiare. È l’unico membro dell’assemblea diacono permanente, sposato, con figli della Chiesa latina, anche se dalle Chiese orientali cattoliche sono presenti anche uno della Chiesa siriaca e un melkita, che presto sarà ordinato sacerdote.
De Cubber ha ripetuto quanto detto nell’aula del Sinodo: il diacono è un «costruttore di ponti» in famiglia («e io — ha confidato — ho fatto un “presinodo” con moglie e tre figli, per poter essere qui»), con le altre famiglie, nella comunità e anche con la società esterna, «e questo può essere davvero utile in una società secolarizzata» come quella belga. Compito del diacono, ha aggiunto, è uscire e «andare dove la Chiesa non va, da chi non ha voce e viene emarginato dalla Chiesa stessa e dalla società e riportarlo nella Chiesa».
In una Chiesa nella quale i praticanti sono spesso stanchi ed anziani, e dove «se non camminiamo in modo sinodale la Chiesa non potrà sopravvivere», il diacono belga ha cercato di portare la sinodalità tra i giovani, unendo nello sforzo le pastorali giovanili di tutte le diocesi di lingua fiamminga. «Intanto abbiamo cambiato nome, ora siamo Kammino, con la “k” che indica il nostro essere cattolici, nella nostra lingua».
Sollecitato dalla domanda di un giornalista, ha ammesso che i diaconi avrebbero potuto essere maggiormente rappresentati al Sinodo, e che sa che di questo i diaconi negli Stati Uniti d’America, «dove il ministero è molto forte», non sono «molto contenti del fatto che siamo così pochi». Ha così proposto un incontro post-sinodale dei diaconi in futuro, come è stato fatto quest’anno con i parroci. «Essere diacono — ha concluso De Cubber — non è per me affatto una preparazione al sacerdozio, non ho questa vocazione. Il nostro è un ministero esclusivamente di servizio».
Sollecitato sul tema, l’arcivescovo cileno di Puerto Montt, monsignor Luis Fernando Ramos Pérez ha sottolineato che nel suo Paese, dopo il Concilio Vaticano ii , sono stati ordinati molti diaconi permanenti, oggi «sono di più dei sacerdoti e dei religiosi», e il loro contributo «è straordinario e apprezzato, amministrano le parrocchie con il parroco». Ma non sono «sacerdoti in miniatura», ha aggiunto. Da parte sua monsignor Inácio Saure, arcivescovo di Nampula, presidente della Conferenza episcopale del Mozambico e membro dei Missionari della Consolata, ha spiegato che non ci sono in questo momento diaconi nella sua Chiesa, «perché siamo molto impegnati nella formazione dei presbiteri» anche se in futuro, se ci sarà la possibilità, saranno di sicuro ordinati. Preparando anche le comunità parrocchiali, che «quando arriva un diacono temporaneo, ci chiedo subito: “perché non celebra?”».
Il presule africano, rispondendo ad una domanda, ha invitato il Sinodo a far conoscere la drammatica situazione del suo Paese, devastato dalla guerra iniziata nel 2017 (ora sospesa) con 5 mila morti e un milione di sfollati. Anche se molto aiuto è arrivato in passato «il popolo oggi soffre molto, ed è abbandonato a se stesso. Quindi si può fare di più», in uno scambio di doni materiali «tra le Chiese che hanno molto e quelle che sono in miseria».
Nel suo intervento, monsignor Saure ha toccato il tema dell’importanza dell’iniziazione cristiana come incontro personale con Cristo, segnalando che «anche da noi i giovani finita l’iniziazione si allontanano dalla Chiesa», quindi andrebbe maggiormente curata. Ha spiegato che negli ultimi sei anni, occupandosi della pastorale giovanile, ha cercato di farla «con i giovani, per i giovani e dai giovani» e che potrà portare uno stimolo anche la canonizzazione, durante il Sinodo, il prossimo 20 ottobre del fondatore dei Missionari della Consolata, il beato Allamano, che diceva «prima santi poi missionari, io direi prima santi e poi cristiani».
Di spiritualità sinodale che trasformi le strutture della Chiesa, ha parlato nel suo intervento l’arcivescovo Ramos Pérez, riferendo che al Sinodo si è parlato di «una spiritualità personale che spinga ad una conversione pastorale individuale e comunitaria». Per arrivare infine a una «purificazione» dei rapporti umani nella Chiesa e con la società, perché oggi alcuni rapporti fanno crescere e altri «possono distruggere». Il modo è vivere la carità prendendo esempio da Cristo. E ha concluso sottolineando che chi ha responsabilità nella Chiesa deve esercitarla con «criteri di sinodalità, prendendo le decisioni» consultando la base. In questo «serve un discernimento sinodale, che coinvolga anche i laici e le laiche, non solo i ministri ordinati».
di Alessandro Di Bussolo