
Il colore della timidezza
Vorrei rivalutare la timidezza, al punto di definirla così: virtù. Mi autorizza a farlo questo quadro del pittore urbinate Federico Barocci del 17° secolo che mostra l’immagine indicata come Madonna dell’umiltà ma che si potrebbe chiamare anche “della timidezza”. Era timida Maria? Chissà, anche se a vederla all’opera alle nozze di Cana e non solo non sembra proprio, però, insisto, c’è del buono nella timidezza. Anche perché è una derivazione del timore di Dio, quello sì una virtù, una virtù grande: «Il timore del Signore è il principio della scienza», ricorda proprio all’inizio il Libro dei Proverbi. Dal timore alla timidezza il passo è breve, ma alla fine si tratta di un pregio o di un difetto? Qualsiasi cosa essa sia, in fondo la natura umana è un “guazzabuglio” in cui è difficile districarsi, di sicuro si può affermare che la timidezza è una caratteristica molto diffusa e che è difficile conoscere persone che ne siano prive. C’è sempre qualcosa che intimidisce gli uomini a partire, innanzitutto, dagli altri esseri umani. Quando anche l’altro da me che incontro è timido questo non scioglie ma complica la situazione. Un timido che incontra un altro timido può in effetti vivere quel momento confuso e conteso da diversi sentimenti tra loro confliggenti: può provare simpatia per l’altro (ecco un altro che soffre quanto me, posso capirlo e lui mi può capire), oppure lo detesterà, perché non sopportiamo i nostri limiti e difetti quando li vediamo negli altri, li condanniamo senza pietà, non sapendo di auto-condannarci.
Il quadro del Barocci mi ha ricordato i versi di due artisti lontani tra loro anni luce ma che entrambi si sono soffermati, con tenerezza, nei confronti della timidezza, questa forza che ci aggredisce togliendoci quasi il respiro, paralizzando la nostra energia.
Il primo è la grande poetessa americana Emily Dickinson che in Amo l’anima timida confessa il suo amore per i timidi. Il secondo è Giorgio Gaber che all’inizio della sua carriera nella delicatissima Non arrossire, cantava il colore della timidezza, lo stesso che troviamo sulle guance degli esseri umani a segnalare quella “aggressione” di un’altra forza, la più grande dell’universo.
Amo l’anima timida
Amo l’anima timida
L’anima che arrossisce,
l’anima che si ritrae,
che si nasconde
perché ha paura.
Amo di lei, le sue preziose, piccole esigenze
Non arrossire
Non arrossire / Quando ti guardo /
Ma ferma il tuo cuore / Che trema per me [...]
Il nostro amor / Non potrà mai finire /
Stringiti a me / E poi lasciati andar
No non temere / Non indugiare /
Non si fa del male / Se puro è l’amor
La natura, in tutte le sue forme, anche quella vegetale, conosce questa realtà della timidezza, prova ne sia la cosiddetta “timidezza della corona” che fa riferimento al fenomeno per cui le fronde degli alberi si avvicinano ma non si toccano, lasciando un piccolo spazio, una sfera “sacra” di distanza tra le foglie di un ramo e quelle di un altro. Ed è bello pensare che così la timidezza, anche la timidezza, venga in qualche modo “incoronata”.
A.M.