Sessant’anni d’impegno

«Fu nel 1964 che il mio predecessore Paolo vi decise di istituire una missione ad hoc presso l’Onu. […] Nell’inviare un osservatore presso la sua Organizzazione, egli intendeva dimostrare l’interesse della Santa Sede verso tutte le iniziative che miravano alla promozione della crescita umana, sociale, culturale, politica e morale della comunità delle nazioni, [… e] rendere più efficace il contributo della Chiesa […] in questioni di interesse mondiale.» (1) Così, nel 1989 San Giovanni Paolo ii si rivolgeva all’allora segretario generale delle Nazioni Unite, Javier Pérez de Cuellar, per spiegare la scelta della Santa Sede di seguire e sostenere il percorso delle Nazioni Unite, che dura ormai da sessant’anni.
Ad oggi, quattro Pontefici hanno visitato le Nazioni Unite, tutti riaffermando, ciascuno nel proprio tempo, l’importanza e le speranze che la Santa Sede ripone in questa Organizzazione.
1965, Paolo VI alle Nazioni Unite: Nuntius Pacis
San Paolo vi è consegnato alla memoria collettiva come il primo Pontefice a intervenire alle Nazioni Unite, oltre che a visitare gli Stati Uniti d’America. Il celebre discorso pronunciato dinanzi all’Assemblea Generale il 4 ottobre 1965 in occasione del ventesimo anniversario della fondazione esprime in modo chiaro la sensibilità maturata dal Pontefice nei confronti dell’Organizzazione. Già l’11 luglio 1963, infatti, in un’udienza privata con l’allora segretario generale, U Thant, il Pontefice riconosceva all’Onu d’essere «strumento per la fratellanza tra le Nazioni» e «forma in via di sviluppo e di perfezionamento della vita equilibrata di tutta l’umanità nel suo ordine storico e terreno» (2). Non sorprende, perciò, né che egli guardasse a questo organismo internazionale come a «un ponte fra i Popoli», né che individuasse nel carattere di universalità le ragioni dell’affinità tra la Chiesa cattolica e l’ente, nella misura in cui esso «riflette in qualche modo nel campo temporale ciò che la Nostra Chiesa cattolica vuol essere nel campo spirituale: unica ed universale». (3)
Il viaggio del 1965 sulle sponde dell’Atlantico fu il terzo di Paolo vi dalla sua ascesa al soglio pontificio. L’edizione de «L’Osservatore Romano» di quei giorni conserva traccia dell’eco mondiale suscitata da quella visita, con il tema della “missione di pace” che emerge come leitmotiv ricorrente in quasi tutte le testate giornalistiche. «Sarà la voce del Papa che parlerà ai delegati dell’Onu, ma saranno i milioni di uomini angustiati e tribolati ad invocare la conversione per i cuori duri dei potenti», scriveva la testata austriaca «Die Presse», mentre i colleghi francesi di «La Croix» allargavano lo sguardo osservando che «molti non cattolici, pure, molti non cristiani accompagnano, con il pensiero, un uomo vestito di bianco sulla via d’un avvenire che la potenza tanto distruttrice delle armi moderne dovrebbe aiutare a diventare pacifico». L’«Irish World» concludeva: «noi preghiamo che il viaggio intercontinentale di 8500 miglia intrapreso per la prima volta da un Pontefice per parlare ad una sessione internazionale possa costituire un grande successo e che la pace possa ancora una volta regnare sul mondo». Dagli Stati Uniti, il settimanale «Catholic Standard» si spingeva a definire Paolo vi «costruttore di ponti, che cerca di collegare le fazioni contrastanti d[e]lla scena internazionale». (4)
Le aspettative del mondo sulla “missione di pace” furono subito accolte dal Pontefice. Appena atterrato a New York, sul podio davanti all’aereo e con accanto monsignor Alberto Giovannetti, primo Osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, Paolo vi rivolge le prime parole di saluto, già parole di pace: «One is a peace which rises from the earth, the other a peace which descends from heaven: and their meeting is most marvelous: justice and peace have kissed one another». (5) L’incontro di pace e giustizia, annunciato all’arrivo, trova la sua definitiva consacrazione dinanzi ai rappresentanti degli Stati riuniti nel Palazzo di Vetro, cui Paolo vi indirizza un accorato appello di pace, che risuona forte e drammatico per il nostro presente: «Voi sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattiva, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura, né dall’inganno». Questo è, secondo Paolo vi , il sommo fine per cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite è sorta, «contro la guerra e per la pace», poiché «alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volontà, bisogna risolutamente incamminarsi; e le vie sono già segnate davanti a voi; e la prima è quella del disarmo». (6)
L’annuncio di pace al mondo lanciato da Paolo vi a New York venne approfondito nell’Udienza Generale del 6 ottobre 1965, che ci si presenta come una riflessione necessaria per comprendere appieno la portata del viaggio. «La pace — affermò il Pontefice — è problema politico nei suoi momenti determinanti; ma è anche un fatto collettivo di popolo nei suoi momenti preparatori e nelle sue ore di goduta stabilità», e aggiunse con forza «la pace è un dovere, un dovere di tutti». Egli riconobbe così la necessità di riappropriarsi di una visione cristiana della pace, che prospetta un mondo in cammino verso un «ordine spirituale e morale, di giustizia e di carità sociale, di servizio di amore verso tutti». Colpisce, sessant’anni dopo, l’attualità di questo messaggio, in un momento in cui è urgente ribadire che la pace nasce dall’amore di Cristo e l’amore, cui tutti possono e devono contribuire, genera giustizia.
1979 e 1995 Giovanni Paolo II alle Nazioni Unite: testimone della dignità dell’uomo
San Giovanni Paolo ii parlò dalla tribuna dell’Assemblea Generale in due momenti storici distinti, ma entrambi significativi. Nel 1979 si presentò, nel pieno della Guerra fredda, come coraggioso testimone della dignità dell’uomo: «ogni essere umano possiede una dignità la quale, benché la persona esista sempre in un contesto sociale e storico concreto, non potrà mai essere sminuita, ferita o distrutta, ma al contrario dovrà essere rispettata e protetta, se si vuole realmente costruire la pace». (7) Nel 1995, a confronto bipolare concluso, esortò i rappresentanti degli Stati a «vincere la nostra paura del futuro» per «costruire la civiltà dell’amore, fondata sui valori universali della pace, della solidarietà, della giustizia e della libertà». (8) Lungo queste direttrici, egli offrì una riflessione sulla storia e sul ruolo delle Nazioni Unite in un mondo alle soglie del nuovo millennio.
Era il 2 ottobre 1979 quando il Pontefice atterrò all’aeroporto di Boston, accolto dall’allora First Lady Rosalynn Carter. «Si calcola che almeno 750 mila persone abbiano salutato Giovanni Paolo ii nel suo primo contatto con la terra americana», riporta «L’Osservatore Romano» dell’epoca, insieme a «livelli mai registrati in precedenza i mezzi di comunicazione di massa». Al di là di queste cifre, però, il senso autentico dell’incontro tra il Pontefice e la gente si coglie dalla testimonianza di un musicista cieco, Bob Holdt, che aveva affermato: «C’è qualcosa nell’aria. Sento il desiderio di amore per Dio. Personalmente, mi sento come a Natale. Sono certo che il Papa soddisferà l’esigenza dell’uomo di guardare a qualche cosa di superiore». (9)
In effetti, quell’esigenza di trascendenza si tradusse nello straordinario invito che Giovanni Paolo ii rivolse alle Nazioni Unite — quale «alta tribuna dalla quale si valutano […] tutti i problemi dell’uomo» — a «misurare il progresso dell’umanità non solo col progresso della scienza e della tecnica, […] ma contemporaneamente e ancor più col primato dei valori spirituali e col progresso della vita morale». Egli, tenendo ferma la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come «pietra angolare dell’Organizzazione», volle indicare che la via maestra per l’unione tra Governi e Stati è quella che «passa attraverso ciascun uomo, attraverso la definizione, il riconoscimento ed il rispetto degli inalienabili diritti delle persone e delle comunità dei popoli». Per questo, egli ammonì, «ogni minaccia ai diritti umani, sia nell’ambito dei beni materiali che in quello dei beni spirituali, è ugualmente pericolosa per la pace, perché riguarda sempre l’uomo nella sua integralità». (10)
Il richiamo alla dimensione dei beni spirituali rimane tutt’oggi un aspetto essenziale dell’impegno della Chiesa cattolica in seno alle Nazioni Unite.
La riflessione di Giovanni Paolo ii raggiunse il suo compimento diciassette anni dopo, con il discorso pronunciato per il cinquantesimo anniversario di fondazione dell’Organizzazione. Per quell’importante traguardo, il Pontefice formulò una proposta chiara: «occorre che l’Organizzazione delle Nazioni Unite si elevi sempre più dallo stadio freddo di istituzione di tipo amministrativo a quello di centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una “famiglia di nazioni”». E così, nella «famiglia delle nazioni» come in ogni famiglia umana, «al di là di tutte le differenze che contraddistinguono gli individui e i popoli, c’è una fondamentale comunanza, dato che le varie culture non sono in realtà che modi diversi di affrontare la questione del significato dell’esistenza personale». (11)
La forza del messaggio di Giovanni Paolo ii giunge intatta fino ai nostri giorni perché, oggi come allora, «il discorso pontificio all’Onu — come commentò Giorgio Rumi nelle pagine de «L’Osservatore Romano» del 7 ottobre 1995 — è un potente richiamo al lavoro di statisti e diplomatici […] per un’opera di ridelineazione dello stile di convivenza. Occorre sostituire ai rapporti di forza il rischio della pace e della libertà, il “rispetto delle differenze”, il gusto della ricerca, nell’altrui cultura, di quello “sforzo di riflessione sul mistero del mondo e in particolare dell’uomo” che è la vera sorgente della creatività e del progresso». (12)
2008, Benedetto XVI alle Nazioni Unite: Erit opus iustitiae pax
«Mai un Papa aveva parlato di fronte ai rappresentanti di tanti Paesi riuniti insieme — quasi duecento, in pratica l’intero pianeta» (13), così apriva il commento de «L’Osservatore Romano» sulla visita di Benedetto xvi alle Nazioni Unite, tenutasi nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Quel 18 aprile 2008, egli parlò a rappresentanti di un’umanità significativamente diversa da quella che, nel 1995, aveva ascoltato il suo predecessore. «Tredici anni dopo — notava «L’Osservatore Romano» — il mondo è molto cambiato: il cratere di Ground Zero, a poca distanza dal podio dal quale Benedetto xvi ha parlato, lo testimonia in modo inequivocabile». (14)
Dinanzi a «nuove ed insistenti sfide», e «in un tempo in cui sperimentiamo l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi», il Pontefice tracciò la nuova rotta per le Nazioni Unite lungo due direttrici fondamentali: da un lato, un’azione congiunta dei responsabili internazionali su «questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima […], nel rispetto della legge e nella promozione della solidarietà nei confronti delle regioni più deboli del pianeta»; dall’altro e soprattutto, «la promozione dei diritti umani» quale «strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza». (15)
In mezzo alle correnti del nuovo millennio, Benedetto xvi esortò il mondo, avviato sul cammino del progresso, a tenere fisso lo sguardo sulla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, poiché i diritti in essa riconosciuti e delineati «si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia». Costruendo sulle basi gettate da Giovanni Paolo ii , il Pontefice riaffermò la necessità dell’umanità di ancorare il proprio sviluppo in una radice di giustizia originaria che trascenda le contingenze sociali e storiche, poiché «i diritti umani debbono essere rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori». (16)
Il riconoscimento di una giustizia fondata sulla natura trascendente della persona è, secondo Benedetto xvi , premessa e condizione necessaria per «creare le condizioni per la pace, lo sviluppo, la cooperazione e la garanzia dei diritti delle generazioni future». (17) Questo è il significato della frase Erit opus iustitiae pax, tratta dal profeta Isaia (32, 17), che egli scelse in ricordo della sua visita alle Nazioni Unite e che giunge a noi come lascito permanente.
2015, Francesco alle Nazioni Unite: l’ideale della fraternità universale
«Lo hanno accolto sulle note di New York, New York. Un benvenuto davvero inconsueto per Papa Francesco al suo arrivo, nel pomeriggio di giovedì 24 settembre, all’aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy». (18) Questa accoglienza, affidata ai giovani della Xaverian High School, certo più informale rispetto al rigore del protocollo, comunicava però una vicinanza umana che sarebbe stata al cuore del discorso pronunciato dal Pontefice in occasione del 70° anniversario della fondazione delle Nazioni Unite.
In effetti, quello di Francesco ai rappresentanti degli Stati fu anzitutto un appello alla fraternità. Egli non mancò, in linea con i suoi predecessori, di riconoscere all’Organizzazione un ruolo chiave nel contesto globale, al punto che «se fosse mancata tutta questa attività internazionale, l’umanità avrebbe potuto non sopravvivere all’uso incontrollato delle sue stesse potenzialità». L’affermazione risulta però incompleta se disgiunta dal suo scopo: «ciascuno di questi progressi politici, giuridici e tecnici — egli aggiunse — rappresenta un percorso di concretizzazione dell’ideale della fraternità umana» (19), su cui la nostra casa comune deve continuare a reggersi.
Così, l’attenzione di quell’assise internazionale fu richiamata con forza sui pericoli derivanti dalla negazione della fraternità, che Francesco denunciò con parole dirette e chiare: «oggi il panorama mondiale ci presenta molti falsi diritti e — nello stesso tempo — ampi settori senza protezione, vittime piuttosto di un cattivo esercizio del potere: l’ambiente naturale e il vasto mondo di donne e uomini esclusi». (20) Il Pontefice alzò la voce da New York perché fosse udita dai potenti della Terra la voce degli scartati e dei più poveri, reagendo a quella che egli scelse di chiamare la «cultura dello scarto». «È venuto come pastore, e come pastore ha denunciato i peccati della sete di potere e del materialismo» (21), così notò «L’Osservatore Romano», riportando il commento della rivista «Time», che a quella visita negli Stati Uniti aveva dedicato la copertina.
Francesco, come già Benedetto xvi , ribadì che «la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale» (22); quest’ultima, però, se da un lato si esprime materialmente attraverso «passi concreti e misure immediate», dall’altro esige un «grado superiore di saggezza», poiché le esclusioni si originano dove gli individualismi impediscono di riconoscere l’esistenza di un’istanza superiore. Solo quando la fraternità si apre all’Altro, comprendiamo che «il senso pieno della vita individuale e collettiva si trova nel servizio disinteressato verso gli altri e nell’uso prudente e rispettoso della creazione, per il bene comune». (23)
Sessant’anni fa, con la visita di Paolo vi alle Nazioni Unite, la Chiesa cattolica «sfumava la sua romanità, pur senza perdere identità, e si faceva ecumenica, pur senza rinunciare affatto a proporre il suo specifico messaggio». (24) Sessant’anni dopo, la Santa Sede continua a partecipare e contribuire ai lavori dell’Organizzazione come «esperta di umanità», rilanciando la sfida del dialogo quale anima della comunità internazionale per far fronte all’indebolimento di «quelle strutture di diplomazia multilaterale che hanno visto la luce dopo il secondo conflitto mondiale» e che oggi non sembrano più in grado di assolvere alla nobiltà dei loro compiti. «Organismi creati per favorire la sicurezza, la pace e la cooperazione non riescono più a unire tutti i loro membri intorno a un tavolo. […] Per rilanciare un comune impegno a servizio della pace, occorre recuperare le radici, lo spirito e i valori che hanno originato quegli organismi, pur tenendo conto del mutato contesto e avendo riguardo per quanti non si sentono adeguatamente rappresentati dalle strutture delle Organizzazioni internazionali». (25)
1 Giovanni Paolo ii , Messaggio a S.E. Javier Pérez de Cuellar, Segretario Generale delle Nazioni Unite, 1989.
2 «L’Osservatore Romano» (OR), 3 ottobre 1965, p. 4.
3 Paolo vi , Discorso alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965.
4 OR, 3 ottobre 1965, p. 5.
5 OR, 4-5 ottobre 1965, p. 1.
6 Paolo vi , Discorso alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965.
7 Giovanni Paolo ii , Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 2 ottobre 1979.
8 Giovanni Paolo ii , Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50° di fondazione, 5 ottobre 1995.
9 OR, 3 ottobre 1979, p. 10.
10 Giovanni Paolo ii , Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 2 ottobre 1979.
11 Giovanni Paolo ii , Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50° di fondazione, 5 ottobre 1995.
12 OR, 7 ottobre 1995, p. 1.
13 OR, 20 aprile 2008, p. 1.
14 Ibid., p. 9
15 Benedetto xvi , Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 18 aprile 2008.
16 Ibid.
17 Ibid.
18 OR, 26 settembre 2015, p. 6.
19 Francesco, Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 25 settembre 2015.
20 Ibid.
21 OR, 27 settembre 2015, p. 3.
22 Francesco, Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 25 settembre 2015.
23 Ibid.
24 OR, 17 aprile 2008, p. 5.
25 Francesco, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 2024.
di Alberto Cerri