Voce di uno

L’attacco iraniano del primo ottobre sulle città israeliane apre uno scenario nuovo nella guerra in Medio Oriente che si trascina da ormai un anno. Per quanto gli esiti dannosi siano stati limitati, le caratteristiche dell’attacco sono apparse diverse dal precedente massiccio lancio di missili dell’aprile scorso, quando sembrò che l’operazione iraniana fosse guidata dall’intenzione di limitare quanto possibile i danni, e con ciò evitare una possibile escalation.
Gli scenari che si prospettano per le prossime ore rimangono allarmanti. Israele ha già annunciato che non esiterà a mettere in campo una risposta dura alla provocazione iraniana. Molto dipenderà dagli obiettivi che sceglierà, in particolare se dovesse attaccare le postazioni petrolifere iraniane, ma anche da come si comporteranno i paesi arabi confinanti.
Ciò potrebbe degenerare in un conflitto di dimensioni assai più vaste.
Due questioni si pongono prepotentemente sulle altre: in primo luogo l’assenza di una dimensione politica. Ognuna delle parti è pervasa dall’idea che la pace possa darsi solo come esito conclusivo di una guerra. Se non oggi, domani, o comunque in un futuro non lontano. Sul tavolo nessuno ha sceso finora le carte di un piano di pacificazione dell’intera area, gli schemi di pace come li chiama Papa Francesco. E conseguentemente il destino di 5 milioni di palestinesi non è effettivamente nelle priorità di alcuna delle parti in causa.
La seconda è data dalla poca incidenza della comunità internazionale nella ricerca di un piano di pace, che — come ha ricordato più volte il patriarca di Gerusalemme Pizzaballa — può solo essere imposto dall’esterno. Vale per l’Unione europea, ma vale soprattutto per gli Stati Uniti, che hanno difficoltà a porre un freno alla conduzione della guerra di Benjamin Netanyahu, limitandosi ad una moral suasion rimasta inascoltata.
L’Occidente non ha finora usato lo strumento principale di cui dispone: il blocco dell’esportazione di armi. Soprattutto in relazione all’enorme ed insostenibile numero di civili rimasti vittime della guerra, e alla diffusa sperimentazione dell’intelligenza artificiale a fini militari, di cui nessuno osa chiedere la moratoria.
La voce, l’implorazione, in tal senso di Papa Francesco sconta una solitudine drammatica.
Se le cose dovessero ancora andare per il peggio, nessuno, a nessuna latitudine e longitudine, potrà reclamarsi incolpevole.
di Roberto Cetera