Verso il Sinodo - Il ritiro in preparazione alla Seconda sessione
Il coraggio dell’interculturalità
Da una parte, il buio del mondo «lacerato e diviso». Dall’altra, la luce del Signore. Su questa dicotomia si è soffermato stamani, 1° ottobre, il padre domenicano Timothy Radcliffe. Come già nel 2023, il religioso partecipa alla Seconda sessione della xvi Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi in qualità di assistente spirituale. Due le meditazioni pronunciate oggi, secondo giorno del ritiro spirituale per i partecipanti all’assise.
Nel primo intervento, intitolato “Pesca di risurrezione” e guidato dal Vangelo di Giovanni (21, 1-14), padre Radcliffe ha evidenziato le difficoltà suscitate dal «buio della guerra» e dalla «crisi degli abusi». In un contesto «post-occidentale», ha spiegato — nel quale l’emisfero ovest del pianeta, pur essendo «decadente», controlla ancora «il sistema bancario» sullo sfondo del colonialismo e dell’imperialismo, cercando di «imporre i suoi valori agli altri» — lo «straniero sulla spiaggia» non viene riconosciuto come il Signore, bensì finisce «crocifisso dai poteri imperiali del nostro tempo».
Qual è, allora, la sfida della Chiesa e del Sinodo, di fronte a tutto questo? La risposta di padre Radcliffe ha messo in luce l’importanza della «interculturalità», ossia del “fare rete”, lasciando spazio tra una cultura e l’altra, affinché non si divorino tra loro «come sta accadendo con la globalizzazione del consumismo».
«Dovremmo rispettare le differenze culturali — ha ribadito il domenicano —. La rete è intatta perché ogni cultura è aperta a modo suo alla verità». Tale atteggiamento del resto si riflette anche sui lavori sinodali: essi non sono «uno spreco di tempo e denaro» come alcuni temono e non hanno lo scopo di «negoziare compromessi o colpire gli avversari», bensì — ha messo bene in luce padre Radcliffe — si pongono l’obiettivo di far comprendere gli uni agli altri «il significato della parola “amore”» poiché tutti siamo «discepoli amati» dal Signore.
«Prima di tutto — ha concluso quindi il religioso — riconosciamo che abbiamo bisogno gli uni degli altri se vogliamo essere cattolici» perché «per essere interi, tutti hanno bisogno degli altri». Solo così si potrà creare una “rete” tenuta insieme dall’amicizia e dalla gioia condivisa, una “rete” che generi speranza.
Nella seconda meditazione — intitolata “Resurrezione - Colazione” e ispirata dal versetto del Vangelo di Giovanni 21, 15-25 — il padre domenicano ha approfondito il tema della fiducia. Partendo dalla figura di Pietro, al quale Gesù «ha affidato il gregge» nonostante lo avesse rinnegato per tre volte, dimostrandosi «inaffidabile» padre Radcliffe ha tratto «una lezione della massima importanza» per il Sinodo, ossia «fidarsi l’uno dell’altro, nonostante alcuni fallimenti».
A mo’ di esempio, il religioso domenicano ha citato la crisi degli abusi e le rimostranze di vescovi del mondo per la Dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della fede, sul senso pastorale delle benedizioni. «Ma la Chiesa — ha detto ancora — diventerà una comunità affidabile solo se correremo il rischio, come il Signore, di fidarci gli uni degli altri, anche se siamo feriti». «Tutto si fonda sulla fiducia in Dio che si affida a noi — ha ribadito ulteriormente —. Confidiamo che con la grazia di Dio questo Sinodo porterà frutto, anche se non possiamo anticipare cosa sarà e potrebbe non essere ciò che desideriamo».
Una crisi di fiducia si respira anche a livello globale, ha rimarcato poi il religioso: tra i politici dei vari partiti e tra loro e la cittadinanza; tra i giovani che stanno iniziando a non credere più nella democrazia e tra il mondo della comunicazione, in cui fake news e manipolazione dei media «ci impediscono di fidarci della verità». Eppure, è proprio in questo scenario così complesso che tutti i battezzati sono chiamati a essere «pastori»: genitori, insegnanti, leader laici hanno la responsabilità di guidare ciascuno «i piccoli greggi» della famiglia, della scuola, del vicinato.
«Tutti noi — ha sottolineato padre Radcliffe — abbiamo la straordinaria responsabilità di prenderci cura delle pecore del Signore», in particolar modo i pastori ordinati, cui spetta il compito di condurre il gregge «fuori dall’angusto e introverso ovile ecclesiastico verso gli ampi spazi del mondo». Fondamentale resta il principio del sacerdozio inteso come «ministero dell’amicizia divina», ovvero amicizia con Dio, con i laici, con chi è ai margini, con i confratelli — ha spiegato —. Un sacerdozio in grado di restare lontano da sospetti e resistenze nei confronti del cammino sinodale, di essere privo di «elitarismo clericale» che è «mancanza di umiltà e negazione dell’identità sacerdotale».
Ecco perché, ha evidenziato ancora, un sacerdote non può e non deve peccare di ipocrisia: perché «il fallimento della trasparenza corrompe il cuore stesso dell’identità sacerdotale» e «il popolo di Dio è pronto a perdonare tutto, tranne l’ipocrisia». Di qui, il l’invito conclusivo del religioso domenicano all’assise affinché tutti, con l’autorità del «peccatore pentito» come Pietro, possano «discernere l’autorità dell’altro e rimettersi ad essa». (isabella piro)