Il prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede
La gloria del vescovo
Uscire dalla logica del potere e dell’apparenza. Amare Cristo e la Chiesa, anche se questa sembra un’anziana piena di rughe. Servire, cercando il bene degli altri, curare e far crescere la Chiesa di Dio. È ciò che basta per essere buoni pastori, al di là di ogni gloria mondana. L’ha ribadito il cardinale Víctor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede, nell’omelia della messa presieduta in basilica vaticana sabato sera, 28 settembre, per l’ordinazione episcopale dei monsignori John Joseph Kennedy, arcivescovo titolare di Ossero, segretario per la Sezione disciplinare, e Philippe Curbelié, arcivescovo titolare di Utica, sotto-segretario.
Anche la Chiesa vive fragilità e limiti «come mai prima d’ora», ha ammesso il porporato, che non ha nascosto aspetti di vulnerabilità legati anche alle poche risorse disponibili — «i conti in molti luoghi sono in rosso» — o a «processi inarrestabili di abbandono della fede, che a volte — ha detto — ci colgono alla sprovvista». Sono dati di fatto non trascurabili che, tuttavia, non devono scoraggiare, ha osservato il cardinale, anzi, devono essere di ulteriore sprone: «In nessun modo ci sentiamo inutili o senza entusiasmo. Al contrario». In un mondo senza pace e che rischia di diventare soffocante per l’individuo, «c’è bisogno della luce di Cristo».
Citando il profeta Isaia, si rimette a fuoco il vero “potere” del vescovo: portare l’annuncio ai miseri, fasciare le piaghe, proclamare la libertà. «Se non rivendichiamo un altro tipo di potere, allora siamo davvero liberi, per vivere aggrappati solo all’amore di Dio», ha sottolineato Fernández. E ha aggiunto che il rito «non è una mera questione di mitre e di incenso, di glorie o di potere». Si tratta semplicemente di disporsi ad accogliere il dono dello Spirito e lasciarsi afferrare e benedire da lui che approfondisce l’appartenenza a Cristo. Dunque, «non i miei progetti, ma Cristo, non i miei bisogni, ma Cristo, non la mia immagine sociale, ma Cristo, non la mia comodità, non la mia fama, ma Cristo».
«Da oggi in poi dovrete essere ancora di più un dono per gli altri», ha raccomandato ancora il prefetto ai suoi collaboratori. Lo ha fatto precisando che non è necessario ingombrare la mente con mille preoccupazioni, ma tener conto che l’ordine sacro è un dono del Signore all’opera. Ne discende che tutto viene trasfigurato per diventare strumento di benedizione. Bisogna solo essere docili all’azione di questa grazia e prendersi cura della Chiesa di Cristo in quanto «preoccupazione primaria, a qualunque costo». Ancora le parole di raccomandazione ai vescovi: «Non siete ordinati per mostrarvi, per salvarvi, per dimostrare che siete diversi da quella Chiesa di peccatori. Voi siete ordinati perché le sorti della Chiesa siano le vostre».
Viene ricordato quanto affermava sant’Agostino (“episcopalis sarcina”). Ancora di più oggi essere vescovo è un “peso”. «È impossibile avere tutto sotto controllo, tutto chiuso in una confezione perfetta, tutto ordinato e assicurato, ma bisogna possedere anche una buona dose di incertezza e di umiltà. Soffriamo la fatica, i colpi, i fallimenti. Ma non è forse questa la vita dei lavoratori?». Qui un riferimento ai laici che nella vita di ogni giorno devono fare i conti con la precarietà e con la difficoltà nel sostenersi: «Spesso si smette di essere dei piagnucoloni quando si inizia a guardare i fardelli degli altri».
È necessaria, ha evidenziato il cardinale, quella fiducia fresca, libera, gioiosa che vediamo in san Francesco d’Assisi, così come quella capacità di totale abbandono alla volontà di Dio che aveva, per esempio, Charles de Foucauld. Quella fiducia nel Vangelo che è “pura follia”, che non sembra essere la più conveniente, secondo i criteri di questo mondo. «Dio saprà trarre da voi, anche dai fallimenti, qualcosa di buono per il suo popolo». L’omelia si è conclusa con una esortazione forte ad amare la Chiesa: «Continuate ad amarla anche se sembra una anziana piena di rughe».
di Antonella Palermo