Papa Francesco nei suoi viaggi si lascia sfidare e ferire dalla realtà che incontra: non tutto può essere preparato in anticipo. Così è avvenuto anche nel viaggio in Lussemburgo e Belgio che si è concluso domenica 29 settembre. Di fronte al re e al primo ministro belga che, con toni differenti uno dall’altro, avevano sollevato il dramma degli abusi sui minori che ha pesato e pesa come un macigno sulla vita della Chiesa del Paese e sulle sue gerarchie, il Vescovo di Roma ha detto con chiarezza che anche soltanto un caso di bambini abusati da chierici è di troppo. Distogliendo lo sguardo dal testo preparato, ha citato i “santi innocenti”, le vittime del re Erode, per dire che questo accade ancora oggi. Non era la prima volta che il Papa faceva questo paragone: nel febbraio 2019, concludendo il summit sugli abusi da lui convocato in Vaticano, aveva citato Erode e il suo massacro di piccoli, e aveva aggiunto a braccio che dietro l’abuso sui minori «c’è satana».
Nell’omelia della Messa celebrata allo stadio Re Baldovino, Francesco ha voluto aggiungere alcuni paragrafi chiari e forti e l’ha fatto dopo essere stato profondamente toccato dall’incontro con alcune vittime di abusi avvenuto due giorni prima, un colloquio drammatico e commovente durato più di due ore in nunziatura a Bruxelles. Il Papa è tornato «con la mente e con il cuore» alle loro storie e alle loro sofferenze, per ripetere che nella Chiesa non c’è posto per l’abuso e la copertura dell’abuso. Ha detto che il male «non si nasconde» ma va coraggiosamente portato allo scoperto portato in giudizio l’abusatore, chiunque esso sia «laico, prete o vescovo».
C’è un altro importante aspetto da focalizzare nelle parole di Francesco. Sia al palazzo reale belga, sia nel tradizionale colloquio con i giornalisti in volo, il Papa ha citato le statistiche dalle quali risulta che la maggior parte degli abusi avviene in famiglia, a scuola, nel mondo dello sport. Anche in questo caso, non era la prima volta che lo faceva. Ma questa volta con una chiarezza senza precedenti ha voluto togliere qualsiasi alibi all’uso interessato di quei numeri da parte di chi vorrebbe difendersi sottolineando le responsabilità altrui e minimizzando. È vero che la Chiesa ha compiuto, nell’ultimo quarto di secolo, un percorso che ha portato a leggi di emergenza molto dure contro il fenomeno. È vero che altri non hanno fatto gli stessi passi. È però altrettanto vero che l’abuso in ambito ecclesiale è qualcosa di orrendo, che inizia sempre con un abuso di potere e di manipolazione della coscienza di chi è indifeso: le famiglie che avevano affidato i loro piccoli alla Chiesa perché venissero educati alla fede credendoli al sicuro, li hanno visti tornare feriti mortalmente nel corpo e nell’anima. Per questo non ci può essere alcun uso strumentale delle statistiche, quasi a voler minimizzare qualcosa che non può e non deve essere in alcun modo minimizzato, ma va combattuto ed estirpato con tutta la determinazione possibile. Perché è un crimine che «uccide l’anima», come ebbe a dire monsignor Charles Scicluna.
Per questo il Successore di Pietro, che sulla scia dei due predecessori ha promulgato nuove leggi severissime per arginare il fenomeno, ha detto che anche un solo caso di abuso sui minori in ambito ecclesiale sarebbe di troppo. E ha indicato alla Chiesa tutta come atteggiamento più adeguato quello della vergogna, dell’umiliazione e della richiesta di perdono. È lo stesso atteggiamento penitenziale che propose — incompreso — anche Benedetto xvi quando affermò che il più grande nemico per la Chiesa non è esterno ma è il peccato al suo interno. Umiliazione e richiesta di perdono sono atteggiamenti profondamente cristiani: ci ricordano che la comunità ecclesiale è fatta da peccatori perdonati e che gli abusi avvenuti al suo interno sono una ferita che ci riguarda tutti.
Andrea Tornielli