Quando ho iniziato a lavorare a questo articolo, mi sono venute in mente alcune parole del libro di Geremia in cui Dio si impegna con il suo popolo: «Vi darò pastori secondo il mio cuore, che vi guideranno con conoscenza e intelligenza» (3,15). Penso che sintetizzi ciò che mi aspetto dai miei fratelli sacerdoti: a) che siano pastori; b) che abbiano un cuore simile al Signore; c) che svolgano il loro compito con saggezza e intelligenza.
Che siano pastori. Questo è il loro ruolo nella Chiesa. Non ho bisogno che il sacerdote sia un buon amico, né un psicologo, semplicemente che sia sacerdote. Cerco che sia sempre un buon pastore, cioè un uomo di Dio che, senza smettere di sentirsi strumento, anzi, sentendosi sempre strumento, sia capace di svolgere la sua missione: prendersi cura del gregge, un gregge che non è suo, ma di Dio. Un gregge costituito solo da pecore, senza distinzioni, come nella Scrittura.
Nel testo sacro le greggi a cui Dio si riferisce sono sempre di pecore, pecore di diversi colori, dimensioni, o età come nell'episodio di Giacobbe, ma sempre pecore. Davanti a Dio non c'è distinzione, e non deve esserci nemmeno nel sacerdote: le pecore possono essere piccole, giovani, mature o anziane, uomini o donne, sane, malate o con demenza. Ma ‘tutte’ hanno bisogno di cure, di quell’aiuto per mostrare la strada che renda possibile quell’incontro personale dell’anima con Dio. Per questo, è necessario che dedichi tempo ad ascoltare le confessioni, a celebrare con pietà la Messa e ad amministrare con riverenza i sacramenti.
Mi aspetto che il sacerdote nel suo compito di dirigere le anime sappia ascoltare fino in fondo, senza giudicare in anticipo, senza pregiudizi; sappia comprendere, valorizzare e potenziare il bene che ogni anima ha; sappia elevare lo sguardo, aprire orizzonti, trasmettere speranza; a volte dovrà curare ferite; altre volte, accompagnare il passo nella secchezza del deserto o dare luce quando le tenebre nascondono la strada.
Mi aspetto anche che sappia dare un buon consiglio in questioni di etica professionale o morale familiare, prendendosi il tempo necessario per rispondere con saggezza e intelligenza come dice la Scrittura (dovrà formarsi, aggiornarsi costantemente e nostra Madre, la Chiesa, fornirgli i mezzi) e poi, mi aspetto che non imponga il consiglio, che lasci spazio all’anima per decidere con Dio. Il sacerdote deve parlare in modo tale che, nei suoi consigli, ciò che è ‘suo’ scompaia e diventi il canale attraverso il quale l’anima ascolta Dio. Per questo, il sacerdote, oggi più che mai, ha bisogno di avere un cuore alla misura del cuore di Dio.
Questo è possibile solo se ogni giorno si fonde con il suo Dio attraverso la preghiera, l’Eucaristia, la confessione personale frequente e cercando di stare con Cristo in tutte le sue attività. Solo così sarà il pastore alla misura del cuore di Dio.
di Lourdes García Ureña
Docente ordinario Universidad San Pablo- CEU ,Madrid