Ritorno nel Paese
Sono passati ormai nove mesi da quando ho lasciato l’Italia per rientrare, dopo 41 anni, in quello che anagraficamente risulta essere il mio paese natio. Dico questo perché dopo aver saputo della mia destinazione in Eritrea, molte persone si congratulavano con me perché «finalmente rientri a casa tua». Ovviamente ho colto la bontà di queste parole, ma in cuor mio sentivo che se c’era una cosa che avevo appreso in questi 41 anni passati fuori dall’Eritrea era stato proprio il fatto di aver imparato a sentirmi “a casa” ovunque; non mi sono mai sentita esule, bensì cittadina del mondo. Il rientro in Eritrea è stato un approdare in un mondo altro, imparare a conoscerlo per poi finalmente sentirmi a casa... Da subito ho capito che la terra lasciata decenni fa era completamente cambiata. È vero, ho riconosciuto i posti che mi ricordavano la mia infanzia, ma con l’impressione che si fosse rimpicciolito tutto. A parte questa ovvia sensazione, l’impatto non è stato così semplice. Tutto mi è apparso nuovo, a volte estraneo... il romantico pensiero di ritornare finalmente a casa si è scontrato con una realtà ben diversa. Ci sono delle sensazioni improvvise, come profumi, qualche sapore, che sembrano riportarti indietro nel tempo, ma sono sensazioni che durano una frazione di secondo.... i pochi anni vissuti in America Latina e poi i molti in Italia hanno modellato un certo modo di pensare, di essere... e quindi ci vuole tanta pazienza per inserirsi in un mondo che pur essendo mio per diritto di nascita, risulta a volte lontano. Me lo dicono le mie consorelle comboniane che devo avere tanta pazienza. Secondo me però credo siano più loro ad avere pazienza con me.
Compagna di viaggio
Il ministero per il quale sono rientrata in Eritrea è quello di Sorella Responsabile della Provincia, compagna di viaggio. La Provincia è composta da un bel gruppo di sorelle anziane, un gruppetto di giovani e poche sorelle di mezza età. Sono dieci le comunità operative. Questi primi nove mesi sono stati un tempo di esercizio dello sguardo e dell’ascolto: vedere, osservare, cercare di capire e soprattutto... tacere. E per me che la parola non non mi fa difetto, non è stato semplice quest’ultimo esercizio...
Nella visita fatta in ciascuna comunità è stato importante ascoltare. Ascoltare i sogni delle giovani, i consigli delle anziane, le proposte concrete delle sorelle di mezza età. Attraverso loro ho potuto fare una immersione nella vita del Paese; attraverso di loro ho toccato con mano la vita delle persone. Quanti racconti, quanti aneddoti... quanta vita vissuta.
40 anni fa ho lasciato un Paese nel quale gli Istituti religiosi erano considerati la punta di diamante per la società di allora: asili, scuole, ospedali, dispensari, laboratori di taglio e cucito, fino all’università; l’obiettivo era preparare giovani in grado di prendere in mano le redini di un Paese, renderli cittadini responsabili. Poi la Storia ha cambiato il corso e oggi tutto questo non c’è più. Rimane comunque il valore indelebile impresso nelle vite. E poi, non ho trovato scoraggiamento o pessimismo... anzi mi è sembrato di trovare una Vita Consacrata cosciente di essere chiamata a rafforzare più l’essere che il fare. Negli incontri avuti con la Conferenza dei Superiori maggiori maschili e femminili ho percepito il desiderio di inventare uno stile nuovo di presenza, grazie anche al Camino sinodale che incoraggia a uscire da schemi obsoleti e andare verso una presenza rinnovata nello stile di vita, nella leadership, nella comprensione stessa di Chiesa. Ho percepito, da parte delle religiose, una nuova consapevolezza del ruolo delle donne nella Chiesa. Un buon risultato del percorso sinodale.
Anche noi Suore Missionarie Comboniane, oggi, dopo 110 anni di presenza in Eritrea siamo chiamate ad «Abitare il futuro, tracciando cammini profetici, sostenute da san Daniele Combon» come recitava il tema della Assemblea Provinciale appena terminata. Tracciare cammini profetici significa osare passi inediti e spesso questi ce li indicano le persone con le quali viviamo. Infatti dai racconti delle sorelle ho capito che la gente crede ancora in noi religiose... e soprattutto non dimentica quanto ricevuto in questi lunghissimi anni. Ci sono adulti che hanno frequentato le nostre scuole e dopo anni, vengono ancora a a far visita alle loro suore. Ed è bello vedere come anche nelle missione periferiche, le persone ci chiedono di rimanere, anche se non abbiamo nessuna opera grandiosa... Mi raccontavano le sorelle di una comunità che quando sono stati chiusi l’asilo e il dispensario, la gente, purché non andassero via, hanno promesso che le avrebbero aiutate loro, con la legna, il grano... e così è stato. Lo stile profetico genera miracoli.
Tu chiamala se vuoi resilienza
Ho trovato anche un Paese segnato dalla fatica di una situazione mondiale che ha toccato la vita di molti popoli. In questi mesi ho incontrato tante persone, molte donne e bambini... ovunque e in chiunque si percepisce una tenacia, una resistenza, un coraggio di un popolo che non si lascia soccombere ma che anzi cerca in mille modi di restare in piedi.
Il 20 giugno c’è stata la commemorazione dei “martiri dell’Eritrea” giovani deceduti durante le trentennale guerra di indipendenza e poi ancora dopo. È stata una esperienza che mi ha toccata profondamente e che ha dato la cifra della dignità di questo mio popolo. Quel giorno il Paese si è letteralmente fermato. Noi comboniane abbiamo voluto esserci e abbiamo partecipato alla commemorazione fatta in Asmara, ci siamo incamminate insieme a decine di persone, in un silenzio impressionante ci siamo dirette verso la piazza... molti giovani seduti in cerchio in mezzo alla strada, con le candele, cantavano o recitavano poesie in memoria dei martiri... Difficile esprimere la sensazione provata quella sera, ma certamente è stato come ricevere un lasciapassare per entrare nel cuore di questa terra.
Una fede granitica
La storia di questo popolo è segnata da fatiche, guerre, e da vite spezzate nel Mediterraneo. Potrebbe quasi sembrare logico trovare cuori induriti da tanta sofferenza. Ma non è così. Sarà questa cultura impregnata da una fede millenaria che forgia la vita delle persone e ci si trova esterrefatti nel percepire questo alito di fede. Non una fede fatalistica o rassegnata.... ma una fede granitica fatta di preghiere ma anche di contemplazione, sì contemplazione, ovvero quella capacità di pregare rivolgendosi a Dio e rimanendo in muto ascolto della sua Voce... Nella Chiesetta della nostra Comunità ad Asmara, da 70 anni si fa l’Adorazione diurna... dopo mesi, vengo ancora colta da stupore quando entrando vedo giovani, anziani, donne e anche bambini a tutte le ore, che entrano anche solo per un inchino, altri per una silenziosa adorazione. Mi colpisce vedere le mamme, prostrate a terra che implorano Pace... Ogni volta che le vedo prostrate in preghiera penso ai loro figli e figlie lontani, alcuni dispersi nel nulla, ai mariti in trincea, alla fatica del vivere. Eppure una volta alzate, sono capaci di mostrarti un volto sereno, un sorriso, e alla domanda “come stai”? La risposta è sempre e solo: «Ringraziamo Dio». Ovvero, Grazie a Dio va tutto bene. Nonostante tutto.
Stile sinodale ante litteram
Ogni tanto mi chiedono se ho dei rimpianti. Più che rimpianti a volte provo nostalgia delle tante persone incontrate in questi 40 anni e con le quali ho percorso un bel tratto della vita; a volte vorrei che le cose funzionassero diversamente, ma poi mi dico che in fondo non c’è nessun altro luogo come questo: un Paese in cui il calendario segna sette anni meno da quello Gregoriano, e l’anno è composto da tredici mesi, di cui uno appena di sette giorni, un popolo che ha una lingua sacra (Gheez) usata ancora nelle messe quotidiana. E penso al valore che ancora viene data alla vita di comunione. Tutto diventa motivo per stare insieme per condividere gioie, fatiche, lutti. Nessuno è lasciato solo, né nella gioia e neppure nel dolore. C’è un concorso di partecipazione collettiva che aiuta a superare ogni situazione che la vita presenta e tocco con mano che questo popolo da sempre ha fatto suo lo stile sinodale, ante litteram.
E allora mi sento fortunata... di essere giunta qui, proprio adesso, mi sento fortunata quando posso ascoltare, ancora nel 2024, nelle notti serene, il suono struggente di un flauto di qualche pastore che al chiarore della luna regala al vento le sue note. E allora, dopo nove mesi, sento di iniziare a conoscere e ad amare questa Terra, e sentirmi finalmente a casa. Anche qui, come ovunque.
di Elisa Kidanè
Suora Missionaria comboniana, Asmara - Eritrea
#sistersproject