· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Tecla, beghine, le valdesi: quelle che non si sono arrese

La resistenza delle cristiane

 La resistenza delle cristiane  DCM-009
28 settembre 2024

La questione femminile non nasce oggi nella storia del cristianesimo, ma ha radici antiche. Potremmo dire che è presente fin dalle origini, da quando si sono poste le prime domande su chi fosse quel Gesù di Nazareth che con tanta libertà e determinazione prospettava una nuova modalità di vivere le relazioni umane e che si rivolgeva indifferentemente a donne e a uomini annunziando un inedito messaggio di salvezza. Nei vangeli, infatti, si sottolinea non poche volte l'imbarazzo dei discepoli che si meravigliavano che parlasse con una donna (Giovanni 4,27) e spesso emerge l'atteggiamento libero e liberante di questo Maestro della Galilea che con le donne entra in un dialogo empatico per comunicare le esigenze di un Regno che anche a loro chiede scelte radicali, mentre offre spazi inconsueti di partecipazione.

E le donne, da parte loro, capiscono bene le novità di vita che si aprono quando Gesù prospetta la nascita di una comunità di uguali in reciproco servizio: per questo, non esitano a mettersi al suo seguito come discepole tra i discepoli e, dopo la sua morte, come apostole tra gli apostoli, missionarie tra i missionari, diacone tra i diaconi, e così via, ricoprendo i tanti ruoli necessari per la cura e la crescita dei gruppi che si richiamano ai suoi insegnamenti. Sono donne a servizio del vangelo, nelle cui case spesso si fa memoria dell'ultima cena consumata da Gesù, in attesa del suo ritorno, capaci di dare risposte concrete alle tante esigenze di natura pastorale che nascono da realtà dinamiche e in fermento come erano quelle del primo cristianesimo.

Allungandosi l'attesa del ritorno del Signore, però, le comunità si avviano verso un processo di stabilizzazione attraverso il consolidarsi di un’organizzazione gerarchico-patriarcale in linea con le strutture sociali del tempo, spingendo le donne ai margini. Le aspettative femminili vengono ridimensionate e si pongono dei freni soprattutto nei confronti di quei ruoli autorevoli che le donne stavano già esercitando. Alcuni brani, tratti dalle Lettere paoline o dalle cosiddette pseudo-paoline che invitano le donne al silenzio e alla sottomissione (1 Corinzi 14,34; Efesini 5,22; 1 Timoteo 2,12), ne sono una testimonianza. Contestualmente a quelle lettere sappiamo, però, che le donne hanno continuato a svolgere importanti mansioni. Gli Atti di Paolo e Tecla, uno scritto autorevole che circolava in Asia minore nel ii secolo, attestano l'esistenza di una leadership femminile. La protagonista è Tecla, la discepola di Paolo che, dopo essersi travestita da uomo per seguire l'apostolo, battezza, insegna e predica, rappresentando un significativo modello di apostolato per le donne. Lo scrittore Tertulliano lo evidenzia allorché stigmatizza «quelle vipere che si sono arrogate il diritto di insegnare e vogliono battezzare rifacendosi all'esempio di Tecla» (Battesimo 17): segno che le donne insegnavano e battezzavano e facevano tanto altro ancora se lo stesso Tertulliano lamenta che alcune, come le cosiddette montaniste, profetizzano e celebrano i sacramenti.

Dai testi canonici che compongono il Nuovo Testamento e dalla letteratura cristiana dei primi secoli, nonostante i processi di ridimensionamento avviati, non scompaiono dunque le tracce della partecipazione femminile; al contrario, le donne appaiono come figure attive nelle comunità proto-cristiane. I testi gnostici, come il Pistis Sofia, il Vangelo di Maria e il Vangelo di Filippo, fanno capire, per esempio, i conflitti esistenti all'interno delle comunità sui ruoli che le donne dovevano svolgere. Attraverso la figura di Maria Maddalena, la discepola amata da Gesù, simbolo di conoscenza superiore (gnosi), quei testi, infatti, evidenziano la rivalità tra la leadership femminile, rappresentata da Maddalena, e quella maschile, espressa da Pietro, e la difficoltà di accettare che le donne potessero avere un rapporto privilegiato con Gesù.

Le donne non si sono mai arrese davanti ai tanti ostacoli incontrati e la storia del cristianesimo è segnata dalle tante forme di resistenza che hanno saputo mettere in campo. Per conquistare quegli spazi di libertà per i quali hanno pagato di persona: quando, per esempio, hanno esplicitato le loro divergenze con la critica e l'opposizione e per questo sono state condannate come ribelli se non addirittura come eretiche. Da questo punto di vista, la storia delle dissidenti mette in evidenza tanti percorsi intrapresi con esiti non sempre fortunati (ne ho scritto in Eretiche, Il Mulino 2022). Penso alle donne al seguito di Pietro Valdo che insegnavano in piccole comunità, predicavano per le strade e recitavano preghiere nelle case. Erano considerate misere «donnicciuole» (mulierculae) dagli inquisitori che le reputavano sfacciate in quanto, venendo meno ai propri ruoli domestici, camminavano per le strade leggendo il vangelo, «curiose, chiacchierone, sfrontate», desiderose di conoscere e di evangelizzare. Erano donne che assaporavano l'importanza di poter accedere a una lettura diretta dei testi sacri non considerandoli più appannaggio esclusivo del clero: per questo, accostandoli nella loro traduzione volgare, li facevano propri in una sorta di personificazione della Parola che si incarnava nelle loro vite. Insieme a Valdo furono perseguitate, ma la loro esperienza non è morta e a tutt'oggi la comunità valdese ha ripreso le antiche provocazioni profetiche aprendo alle donne spazi importanti di ministerialità e di guida autorevole.

Anche prima di Valdo le donne sono riuscite a trovare soluzioni che hanno consentito loro di tracciare percorsi alternativi di vita e di fede. Le beghine, per esempio, sono state una novità nel panorama dei movimenti religiosi che hanno attraversato il Medioevo dal xii al xvi secolo, generando stupore e non poca apprensione nelle gerarchie ecclesiastiche.

Con loro ci troviamo per la prima volta davanti alla presa di coscienza non della singola persona, ma di comunità di donne che, apparse nei Paesi Bassi alla fine del 1100 e diffuse rapidamente soprattutto in Renania, Provenza e Italia settentrionale, nei fatti si sono opposte a una Chiesa istituzione potente e ricca, che imponeva alle donne la clausura o il matrimonio e che concentrava nelle mani del clero sacramenti, predicazione, azione pastorale e studi. A questa Chiesa le beghine rispondono con una scelta di vita improntata prima di tutto alla laicità: non entrano in monastero né si sposano, ma vivono in comunità, insieme ad altre donne, sostenendosi con il proprio lavoro manuale, pregando, studiando e operando nel campo dell'assistenza caritatevole.

Ci si meravigliava che queste laiche dalla forte personalità e dalla cultura non comune esprimessero le realtà spirituali meglio del clero, che fossero considerate maestre di vita da discepoli che si raccoglievano intorno a loro, che riuscissero a integrare la formazione biblica e dottrinale con l’esperienza mistica e personale. Spinte da una volontà di ritorno agli ideali della vita apostolica, fatta di povertà, vita comune, meditazione del Testo sacro e carità, queste donne hanno prodotto una copiosa letteratura spirituale, scritta nelle lingue volgari che hanno dato loro la capacità di esprimere un’esperienza religiosa intensa e difficilmente comunicabile con libertà se non con la freschezza di una lingua viva. Ida di Nijvel, Maria di Oignies, Odilia di Liegi, Hadewijch d’Anversa, Ida di Gorsleeuw, Beatrice di Nazareth, Matilde da Magdeburgo, Margherita Porete sono alcuni dei nomi di queste magistrae. Le loro opere letterarie (trattati, lettere, poesie ecc.) hanno rivoluzionato l'approccio della narrazione teologica e, addirittura, la consueta modalità di parlare di Dio. Nonostante molte di loro siano state condannate e dimenticate, ancora oggi le parole nuove che hanno saputo usare attraverso il linguaggio della teologia mistica, rimangono piene di fascino e capaci di rinnovare la teologia perché indicano come l'esperienza d'amore possa diventare conoscenza, lei sola in grado di accedere alle profondità di Dio.

di Adriana Valerio
Storica e teologa, delegata arcivescovile della Diocesi di Napoli