Per strade diverse
Ci sono la gioia dei giovani e dei loro grandi sogni, ma anche l’orrore e il dolore delle vittime di abusi, insieme alle sfide della pastorale carceraria e della sinodalità tra le sei testimonianze pronunciate stamane, sabato 28 settembre, nella basilica del Sacro Cuore di Koekelberg, alla periferia di Bruxelles. Durante l’incontro di Papa Francesco con la comunità cattolica, si susseguono le voci di chi vuole raccontare la propria esperienza di vita e di fede.
Come il parroco Helmut Schmitz, decano nella vicina Eupen-Kelmis da ventitré anni, il quale si sofferma sulle «sfide sempre più grandi» che oggi sono chiamati ad affrontare non solo i sacerdoti, ma anche i fedeli, «a causa del cambiamento delle strutture parrocchiali». Ciononostante, afferma il parroco, non viene mai a mancare la «grande contentezza nel condividere gioie e dolori nel nome di Cristo, e nel celebrare la vicinanza di Dio misericordioso».
Perché «in tempi di grande incertezza», l’esempio di san Giovanni Bosco che raccomandava di «fare del bene, essere allegri e lasciare agli altri le chiacchiere», può essere di grande ispirazione, aggiunge il sacerdote. L’obiettivo di tutte le persone di buona volontà, conclude padre Schmitz, è quello di dare un contributo per «una società pacifica e giusta, ed essere così sempre meglio la Chiesa di Gesù Cristo».
Dei giovani e dei loro sogni grandi e diversi parla, invece, Yaninka De Weirdt, operatrice della pastorale giovanile fiamminga. Descrive le ambizioni, i desideri, il coraggio dei ragazzi, ma anche i loro indugi e le tante difficoltà incontrate nel mondo contemporaneo. C’è chi vuole «credere senza esitazioni e testimoniare la propria fede» racconta Yanika, e chi auspica «una Chiesa brillante, dove i giovani siano nella “cabina di comando” e definiscano la “cultura del futuro”»; ci sono quelli che puntano sull’accoglienza e altri per i quali «il rispetto della vita costituisce un valore essenziale per cui lottare». In tutti, aggiunge l’operatrice, si percepisce «l’entusiasmo genuino e il fuoco contagioso», anche se ancora manca quella «unità nella diversità» che consenta ai ragazzi di «sognare insieme».
All’imminente Sinodo sulla sinodalità in Vaticano, guarda, dal canto suo, Arnaud Join-Lambert, docente di Teologia pratica e di Liturgia presso l’ateneo cattolico di Lovanio. Sposato e padre di tre figli, è membro della Commissione per la metodologia, organismo coordinato da suor Nathalie Becquart, sottosegretario del Sinodo dei vescovi. «È stata un’esperienza meravigliosa lavorare insieme con membri provenienti da tutti i continenti — riferisce il teologo — per trovare il modo migliore di coinvolgere cattolici di tutte le culture ed età».
Un particolare accento Join-Lambert lo pone sul metodo della “conversazione nello Spirito” che, afferma, «sta dando molti frutti» soprattutto nel contesto «dell’Occidente secolarizzato» in cui «le comunità hanno difficoltà a rinnovarsi».
Prende poi la parola Mia De Schamphelaere, rappresentante dei Centri di accoglienza per le vittime di abusi nelle Fiandre. Con la sua testimonianza, dà conto dei sentimenti provati dai credenti di fronte a tale crimine: parla di «orrore, tristezza e impotenza», descrive lo shock e la vergogna provati dai fedeli.
Tuttavia sottolinea che, con il tempo, la rabbia e il dolore hanno avuto l’opportunità di trasformarsi in «assistenza concreta alle vittime», per offrire loro non solo un luogo sicuro per parlare delle sofferenze patite, ma anche un ascolto pronto e «un cuore aperto» che le guidi verso la guarigione, pur consapevoli del fatto che «le vittime di abusi in giovane età portano con sé una sofferenza che dura tutta la vita». La speranza di Mia, dunque, è che si possa «costruire una cultura ecclesiale in cui tutti, giovani e anziani, uomini e donne, si sentano al sicuro, protetti e tutelati».
Offre la sua testimonianza anche suor Agnés, membro della Fraternità di Tiberiade, comunità religiosa cattolica di ispirazione francescana nata nel 1979, con sede in Belgio. Un luogo in cui, spiega, «possiamo sperimentare Dio e il mistero pasquale, soprattutto nella misericordia fraterna». «L’evangelizzazione dei giovani e delle famiglie ci sta molto a cuore — aggiunge suor Agnés —. Il nostro obiettivo è aiutare le persone a scoprire la bellezza di Cristo e della Chiesa attraverso la nostra ospitalità e missione».
Per ultimo, si accosta al microfono Pieter De Witte, cappellano del penitenziario di Leuven e padre di tre figli. Nel suo intervento, ricorda che «il carcere è un luogo di isolamento, frustrazione e insicurezza», all’interno del quale «la chiamata a essere misericordiosi» spinge non solo a visitare i prigionieri, ma anche a «rivolgere una critica profetica contro un sistema carcerario distruttivo e contro la tendenza della società a privare della libertà gruppi sempre più ampi di persone: autori di crimini, persone senza diritto di residenza, o che presentano problemi psichiatrici».
Da tale contesto, prosegue De Witte, emerge una domanda fondamentale, ovvero l’interrogativo su come si debbano porre i cristiani nei confronti del sistema penale del Belgio. La questione, conclude il cappellano, è cruciale, considerato che oggi «la misericordia non sembra essere sufficiente. Il desiderio di una pena giusta e di una società sicura è un desiderio autentico e legittimo, e gli stessi detenuti spesso non vogliono misericordia, ma soprattutto giustizia». (isabella piro)