Il Libro dei libri
A settembre, per la concomitanza di due eventi importanti, nei paesi di lingua spagnola si celebra il “Mese della Bibbia”. Di fatto il 28 settembre 1569 fu stampata la prima Bibbia completa in spagnolo, tradotta da Casiodoro de Reina e rivista nel 1602 da Cipriano de Valera. Con il tempo, e con le varie revisioni e gli aggiornamenti, questa Bibbia, chiamata Reina-Valera, divenne la versione più usata dalle Chiese evangeliche di lingua spagnola. E sempre a settembre, più precisamente il 30, si festeggia Girolamo di Stridone, più noto come san Girolamo, autore della Vulgata, “edizione per il volgo”, prima traduzione in latino della Bibbia. Questa traduzione fu per secoli il testo biblico ufficiale e di uso liturgico nella Chiesa cattolica e la base testuale indispensabile per molte traduzioni successive.
La Bibbia non è un libro che propone un’utopia universale ma è la rivelazione della persona di Dio nel pellegrinare concreto del suo popolo nella storia, fino alla consumazione definitiva della Parola incarnata in Gesù Cristo e all’attesa del suo ritorno glorioso. Il regno di Dio e la sua giustizia proclamati dal Vangelo rappresentano un controsistema controculturale che potrebbe ben riassumersi nel discorso della montagna (cfr. Matteo, 5,1-7,29). Uno dei libri classici più paradigmatici per la sua cruda descrizione di una distopia contraria ai testi evangelici continua a essere 1984 di George Orwell. L’autore vi presenta un sistema e una cultura universali che potrebbero benissimo essere riletti ai giorni nostri e contrapposti al Libro dei libri. Nella finzione orwelliana, il Ministero della Pace promuove la guerra, il Ministero della Verità mente, il Ministero dell’Amore tortura, e il Ministero dell’Abbondanza favorisce la fame. Tali contraddizioni non sono casuali e neppure il risultato di una volgare ipocrisia: sono esercizi premeditati del “bipensiero”. Perché il potere si può conservare indefinitamente solo attraverso la riconciliazione delle contraddizioni.
Non occorre forzare troppo l’analisi sociale e politica dei nostri tempi per capire che queste contraddizioni si presentano oggi come una lotta cosmica pseudoreligiosa di valori politici in conflitto. Si tratta dell’esaltazione dell’ossimoro etico usato per dividere, polarizzare e far scontrare i popoli, al fine di favorire l’emergere di nuovi leader come grandi fratelli neo-messianici. In questo Mese della Bibbia cerchiamo nelle sue pagine la vera rivoluzione dell’amore “bipensiero” e redentore dell’umanità, dove a essere beati e felici sono ancora i poveri, i sofferenti, gli umili, chi ha fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia e i calunniati. La vera virtualità “bipensiero” troverà in loro quelli ai quali appartiene il Regno dei Cieli, come pure la consolazione, l’eredità della terra, la sazietà di giustizia, la compassione, la visione chiara di Dio che li accoglie come figli e la gioia dell’appartenenza come ricompensa. Nell’universo dicotomico, polarizzato e conflittuale di 1984, che ridisegna il mondo attuale, alcuni utilizzano la Bibbia per supportare quei discorsi stigmatizzanti e di odio che dividono l’umanità tra amici e nemici. Di fronte alla “Settimana dell’Odio” proposta in quel romanzo, la sfida consiste nell’utilizzare questo tempo, durante il Mese della Bibbia, per la lettura e l’attuazione del Vangelo, con il suo messaggio di amore, incontro e fratellanza umana.
Viviamo in un’epoca in cui si fomenta la riduzione del linguaggio e la sua trasformazione per un suo uso manipolato in un universo di reti sociali che è abilmente sfruttato per discorsi di odio e fake news. Questi fenomeni non sono affatto nuovi, come possiamo constatare in 1984, dove leggiamo che la riduzione del vocabolario si considera un fine in sé stesso e non si permette la sopravvivenza di parole ritenute prescindibili. La “neolingua” è pensata non per ampliare ma per ridurre la portata del pensiero, e tale intento si consegue indirettamente riducendo al minimo il numero delle parole disponibili. Così facendo si distruggono decine, centinaia di parole al giorno. Si pota il linguaggio. Neppure una delle parole dell’undicesima edizione del dizionario della neolingua sarebbe diventata obsoleta prima del 2050. A circa un quarto di secolo da quel compimento “profetico” della distruzione della comunicazione a favore di un linguaggio riduzionista e di odio, la Parola di pace vivificante ci deve indurre alla speranza. «L’erba inaridisce, i fiori cadono, ma la parola del Signore rimane in eterno» ( 1 Pietro, 1, 24-25; Isaia, 40, 6-7) e, con le parole di Gesù, «le parole che vi ho dette sono spirito e vita» (Giovanni, 6, 63).
I postulati centrali del romanzo di George Orwell — la pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza — sovvertono i valori più profondi del nostro essere personale, sociale, comunitario e politico. Li associano fino alla loro distruzione e in essa si diluisce la nostra umanità. Purtroppo questi postulati, estremamente pericolosi, sono ancora presenti nel mondo di oggi.
Mentre scrivo queste righe ricevo la catechesi di Papa Francesco di mercoledì 18 settembre, dopo il suo viaggio in Asia e Oceania. Riporto di seguito alcune sue parole come risposta esaustiva a queste riflessioni: «Ho avuto conferma di come la compassione sia la strada su cui i cristiani possono e devono camminare per testimoniare Cristo Salvatore e nello stesso tempo incontrare le grandi tradizioni religiose e culturali. Riguardo alla compassione, non dimentichiamo le tre caratteristiche del Signore: vicinanza, misericordia e compassione. Dio è vicino, Dio è misericordioso e Dio è compassionevole». La disumanizzazione dei popoli, che sembra essere un nuovo paradigma politico, contrasta con la Parola di Dio e con il Dio fatto verbo. José Maria Castillo ha affermato che «il nostro cammino di incontro con Dio, il Dio incarnato in Gesù, non è il cammino della divinizzazione, ma l’incessante raggiungimento della migliore e più profonda umanizzazione» (La humanización de Dios. Ensayo de cristología, Editrice Trotta). Un popolo disumanizzato è un popolo senz’anima.
Cito di nuovo Papa Francesco che nella suddetta catechesi ha specificato che uno degli obiettivi del suo ultimo viaggio è stato «per portare la Parola del Signore, per far conoscere il Signore, anche per conoscere l’anima dei popoli». Il Vangelo ci conduce a una dimensione di un Dio umano in un sistema che tende alla disumanizzazione dell’individuo. Un Dio che tocca la carne facendosi altro, in un sistema in cui l’individualità egoistica viene promossa come una virtù di formule di auto-aiuto personale o “nuove politiche”. A questa tensione tra una parola di Dio umana e l’umanità, si può aggiungere un’altra tensione polarizzata. Quella con un Dio senz’anima che sostiene guerre e atrocità e che può essere sussunta in ideologie di moda, che sono mondane solo nel politicamente corretto, allontanandosi dal Dio biblico che dialoga con il mondo che ha amato e al quale si è donato con la sua incarnazione per salvarlo (cfr. Giovanni, 3, 16-17). Come diceva Jürgen Moltmann, «la fede cristiana, che prima “ha vinto il mondo”, deve imparare a vincere anche le proprie concrezioni mondanizzate».
Oggi abbiamo un “Grande Fratello” in formato di reti virtuali, con il loro utilizzo geopolitico che non si accontenta di intrattenere o di indottrinare. Cerca, come quello dell’opera di George Orwell, di impossessarsi del nostro pensiero fino a farsi amare. Si tratta di una “fratellanza” che cerca di amare questo essere distopico e crudele senza poter prescindere da lui. Mentre i nostri pari si trasformano in competitori o nemici. Di fronte a tutto ciò, il Dio della Bibbia, ci esorta ad amarLo con tutta la nostra anima, la nostra forza e la nostra mente, e, al tempo stesso, ad amare il nostro prossimo come amiamo noi stessi (cfr. Matteo, 22, 37-39). Concludo citando nuovamente le parole di Papa Bergoglio nell’udienza generale di mercoledì 18 settembre: «Lì ho visto che la fraternità è il futuro, è la risposta all’anti-civiltà, alle trame diaboliche dell’odio e della guerra, anche del settarismo. C’è la fratellanza, la fraternità».
di Marcelo Figueroa