· Città del Vaticano ·

Il 46° viaggio apostolico del pontificato - Lussemburgo
L’incontro con la comunità cattolica nella cattedrale di Notre-Dame
Il Papa ricorda che la fede è entusiasmo danzante perché Dio «ci vuole felici e uniti»

Lo spirito del Vangelo
non ammette esclusioni

 Lo spirito del Vangelo  non ammette esclusioni  QUO-219
27 settembre 2024

Nel pomeriggio di ieri, giovedì 26 settembre, congedatosi dalla Casa arcivescovile di Luxembourg dove ha sostato per il pranzo e ha lasciato in dono una statua lignea di san Giuseppe, il Papa si è diretto in macchina presso la cattedrale di Notre-Dame per l’incontro con la comunità cattolica del Paese. L’appuntamento nel tempio costruito dai gesuiti nel centro storico della città è stato caratterizzato da uno spettacolo di danza “Laudato si’” ispirato alla vita del Poverello di Assisi. Dopo il saluto di benvenuto del cardinale arcivescovo Hollerich e le testimonianze di un giovane, della vicepresidente del Consiglio pastorale diocesano e di una religiosa rappresentante delle comunità linguistiche, il Pontefice ha preso la parola, commentando a braccio quanto ascoltato poco prima.

Vorrei riprendere quello che ha detto lei sul dramma della migrazione. Non dimentichiamo un ritornello che nella Bibbia, nell’Antico Testamento, torna, torna, torna: la vedova, l’orfano e lo straniero.

Avere compassione — dice il Signore, già nell’Antico Testamento — degli abbandonati. A quel tempo le vedove erano abbandonate, gli orfani pure e così gli stranieri, i migranti. I migranti rientrano all’interno della rivelazione. Grazie tante al popolo e al governo lussemburghese per quello che fanno per i migranti, grazie!

Quindi il Papa ha pronunciato il suo discorso. Eccone il testo.

Altezza Reale,
Signor Cardinale e fratelli Vescovi,
care sorelle, cari fratelli!

Sono molto contento di essere qui con voi, in questa magnifica Cattedrale. Sono grato al Granduca e ai suoi familiari per la loro presenza; e ringrazio il Cardinale Jean-Claude Hollerich per le parole gentili, come pure Diogo, Christine e Suor Maria Perpetua per le testimonianze.

Il nostro incontro avviene in concomitanza con un importante Giubileo mariano, con cui la Chiesa lussemburghese ricorda quattro secoli di devozione a Maria Consolatrice degli afflitti, Patrona del Paese. A tale titolo ben si intona il tema che avete scelto per questa visita: “Per servire”. Consolare e servire, infatti, sono due aspetti fondamentali dell’amore che Gesù ci ha donato, che ci ha affidato come missione (cfr. Gv 13, 13-17) e che ci ha indicato come unica via della gioia piena (cfr. At 20, 35). Per questo tra poco, nella preghiera di apertura dell’Anno mariano, chiederemo alla Madre di Dio di aiutarci ad essere “missionari, pronti a testimoniare la gioia del Vangelo”, conformando il nostro cuore al suo “per metterci al servizio dei nostri fratelli”. Possiamo allora fermarci a riflettere proprio su queste tre parole: servizio, missione e gioia.

Anzitutto il servizio. Poco fa è stato detto che la Chiesa lussemburghese vuol essere “Chiesa di Gesù Cristo, che non è venuto per essere servito ma per servire” (cfr. Mt 20, 28; Mc 10, 45). Ed è stata pure richiamata l’immagine di San Francesco che abbraccia il lebbroso e ne cura le piaghe. Io, del servizio, vorrei raccomandarvi un aspetto oggi molto urgente: quello dell’accoglienza. Lo faccio qui, tra voi, in modo particolare, perché il vostro Paese ha e mantiene viva, in questo campo, una tradizione secolare, come ci ha ricordato Suor Maria Perpetua, e come più volte è emerso, anche nelle altre testimonianze, nel grido: “todos, todos, todos!”, “tutti, tutti, tutti!”, ripetuto in varie occasioni. Sì, lo spirito del Vangelo è spirito di accoglienza, di apertura a tutti, e non ammette nessun tipo di esclusione (cfr. Esort. Ap. Evangelii gaudium, 47). Vi incoraggio, dunque, a rimanere fedeli a questa eredità vostra, a questa ricchezza che voi avete, continuando a fare del vostro Paese una casa amica per chiunque bussi alla vostra porta chiedendo aiuto e ospitalità.

È un dovere di giustizia prima ancora che di carità, come già diceva San Giovanni Paolo ii quando ricordava le radici cristiane della cultura europea. Egli incoraggiava proprio i giovani lussemburghesi a tracciare il cammino per «un’Europa non solo delle merci e dei beni, ma dei valori, degli uomini e dei cuori», in cui il Vangelo fosse condiviso «nella parola dell’annunzio e nei segni dell’amore» (Discorso ai giovani del Granducato di Lussemburgo, 16 maggio 1985, 4), ambedue le cose. Lo sottolineo perché è importante: un’Europa, e un mondo, in cui il Vangelo sia condiviso nella parola dell’annuncio unita ai segni dell’amore.

E questo ci porta al secondo tema: la missione. Il Cardinale Arcivescovo, poco fa, ha parlato di una «evoluzione della Chiesa lussemburghese in una società secolarizzata». Mi è piaciuta questa espressione: la Chiesa, in una società secolarizzata, evolve, matura, cresce. Non si ripiega su sé stessa, triste, rassegnata, risentita, no; accetta piuttosto la sfida, nella fedeltà ai valori di sempre, di riscoprire e rivalorizzare in modo nuovo le vie di evangelizzazione, passando sempre più da un semplice approccio di cura pastorale a quello di annuncio missionario — e ci vuole coraggio. E per fare questo è pronta ad evolvere: ad esempio — come ci ha ricordato Christine — nella condivisione di responsabilità e ministeri, camminando insieme come Comunità che annuncia e facendo della sinodalità un “modo duraturo di relazionarsi” tra i suoi membri.

E del valore di questa crescita ci hanno mostrato un’immagine bellissima i giovani amici che hanno interpretato, poco fa, alcune scene del musical Laudato si’. Bravi, hanno fatto bene! Grazie per il dono che ci avete fatto! Il vostro lavoro, frutto di uno sforzo comunitario che ha coinvolto molti nell’Arcidiocesi, è per tutti noi un segno doppiamente profetico! Ci ricorda, in primo luogo, le nostre responsabilità nei confronti della “casa comune”, di cui siamo custodi e non despoti. Poi però ci fa anche riflettere su come tale missione, vissuta insieme, costituisce in sé un meraviglioso strumento corale per dire a tutti la bellezza del Vangelo. E questo è importante, è importante per tutti noi: ciò che ci spinge alla missione, infatti, non è il bisogno di “far numero”, di fare “proselitismo”, ma il desiderio di far conoscere a più fratelli e sorelle possibili la gioia dell’incontro con Cristo. E qui vorrei ricordare una bella espressione di Benedetto xvi : «La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione».

Ecco allora, al di là delle difficoltà, il dinamismo vivo dello Spirito Santo che agisce in noi! L’amore ci spinge ad annunciare il Vangelo aprendoci agli altri e la sfida dell’annuncio ci fa crescere come comunità, aiutandoci a vincere la paura di intraprendere vie nuove e spingendoci ad accogliere con gratitudine l’apporto di tutti. È una bella dinamica, sana, gioiosa, che ci farà bene coltivare in noi e attorno a noi.

E veniamo così alla terza parola: la gioia. Diogo, parlando dell’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù, ricordava la felicità provata la vigilia della festa, nell’attendere, assieme a coetanei di ogni provenienza e nazione, il momento del nostro incontro, come pure l’emozione di risvegliarsi, il mattino dopo, circondato da tanti amici; e ancora l’entusiasmo provato durante la preparazione fatta insieme in Portogallo e l’allegria, dopo un anno, nel riunirsi con gli altri qui in Lussemburgo. Vedete? La nostra fede è così: è gioiosa, “danzante”, perché ci dice che siamo figli di un Dio amico dell’uomo, che ci vuole felici e uniti, e che di nulla è più contento che della nostra salvezza (cfr. Lc 15, 4-32; S. Gregorio Magno , Omelie sui Vangeli, 34, 3). E su questo, per favore: alla Chiesa fanno male quei cristiani tristi, noiosi, con la faccia lunga. No, questi non sono cristiani. Per favore, abbiate la gioia del Vangelo: questo ci fa credere e crescere tanto.

In proposito, vorrei concludere richiamando un’altra bella tradizione del vostro Paese, di cui mi hanno parlato: la processione di primavera — Springprozession —, che a Pentecoste si svolge ad Echternach, in ricordo dell’infaticabile opera missionaria di San Willibrord, evangelizzatore di queste terre. L’intera città si riversa ballando per le strade e per le piazze, assieme a tanti pellegrini e visitatori che accorrono, e la processione diventa una grandissima, unica danza. Ricordiamo che il re Davide danzava davanti al Signore e questa è un’espressione di fedeltà. Grandi e piccoli, tutti ballano insieme verso la Cattedrale — quest’anno perfino sotto la pioggia, ho saputo —, testimoniando con entusiasmo, nel ricordo del santo Pastore, quanto è bello camminare insieme e ritrovarci tutti fratelli attorno alla mensa del nostro Signore. E qui, soltanto una parolina: per favore, non perdere la capacità di perdono. Sapete che tutti dobbiamo perdonare, ma sapete perché? Perché tutti siamo stati perdonati e tutti abbiamo bisogno di perdono.

Care sorelle, cari fratelli, è bella la missione che il Signore ci affida: consolare e servire, sull’esempio e con l’aiuto di Maria. Grazie a voi, consacrati e consacrate, per il lavoro che fate, seminaristi, preti, tutti; e anche per l’aiuto generoso che avete voluto condividere con i bisognosi. Dove c’è un bisognoso c’è Cristo. Vi benedico e prego per voi. E anche voi, per favore, pregate per me. Grazie.