· Città del Vaticano ·

Il contagio della gioia

 Il contagio della gioia  QUO-219
27 settembre 2024

Dopo il discorso della mattina alle autorità del Lussemburgo, Papa Francesco nel pomeriggio si è incontrato con la comunità cattolica che ha gremito la cattedrale di Notre Dame. Il suo è stato un discorso denso, ricco di spunti, incentrato sul tema del servizio, della missione e della gioia. A volte capita che, oltre al discorso, le parole “a braccio”, colgano l’essenza del messaggio che il Papa vuole trasmettere. E così anche in questo caso: ancor prima di iniziare a leggere il discorso preparato, Francesco ha voluto citare l’Antico Testamento e quello che lui ha definito “un ritornello” che nel testo biblico «torna, torna, torna: la vedova, l’orfano e lo straniero» e ha aggiunto: «Avere compassione — dice il Signore, già nell’Antico Testamento — degli abbandonati. A quel tempo le vedove erano abbandonate, gli orfani pure e così gli stranieri, i migranti. I migranti rientrano all’interno della rivelazione» e ha ringraziato il popolo lussemburghese per quello che fa per i migranti. Il servizio, dirà poi, ha una dimensione fondamentale che è quello dell’accoglienza.

Ma tutto questo deve essere vissuto con gioia. E qui, nel finale del discorso, c’è stato un altro “fuori programma”, anche questo riferito all’Antico Testamento, perché il Papa parlando della gioia ha ricordato che «il re Davide danzava davanti al Signore e questa è un’espressione di fedeltà». La gioia associata alla danza. Infatti, ha spiegato, «la nostra fede è così: è gioiosa, “danzante”, perché ci dice che siamo figli di un Dio amico dell’uomo, che ci vuole felici e uniti, e che di nulla è più contento che della nostra salvezza. E su questo, per favore: alla Chiesa fanno male quei cristiani tristi, noiosi, con la faccia lunga. No, questi non sono cristiani. Per favore, abbiate la gioia del Vangelo: questo ci fa credere e crescere tanto».

Il cristiano come uomo della gioia. E la gioia non è solo uno “stato d’animo”, ma è una forza, che muove, smuove, si diffonde come un contagio potente. È questa la “danza” a cui si riferisce il Papa che ha voluto ricordare una bella festa tradizionale lussemburghese di Pentecoste nella città di Echternach sotto il nome di processione di primavera, Springprozession, che «si svolge in ricordo dell’infaticabile opera missionaria di San Willibrord, evangelizzatore di queste terre. L’intera città si riversa ballando per le strade e per le piazze, assieme a tanti pellegrini e visitatori che accorrono, e la processione diventa una grandissima, unica danza. Grandi e piccoli, tutti ballano insieme verso la Cattedrale — quest’anno perfino sotto la pioggia, ho saputo —, testimoniando con entusiasmo, nel ricordo del santo Pastore, quanto è bello camminare insieme e ritrovarci tutti fratelli attorno alla mensa del nostro Signore». E qui il ricordo del re David che canta i Salmi suonando e ballando davanti all’Arca dell’Alleanza in effetti calza perfettamente.

Pochi giorni fa, nel precedente viaggio apostolico dall’altra parte del mondo, a Díli, Timor Leste, il Papa aveva parlato, a braccio, dei giovani e del ballo, dicendo che «la vita viene con il ballo». La danza come forza primordiale. Gli studiosi dicono che la danza è la prima forma artistica in cui si è espresso l’essere umano, perché è la più essenziale, la più povera: per ballare basta ascoltare il palpito del proprio cuore e seguire il ritmo con le mosse del proprio corpo. Ballo e vita vengono insieme. Nel cuore del Vecchio Continente Papa Francesco è venuto a portare il contagio della gioia danzante invitando tutti, todos, a prendere parte al grande ballo della vita del mondo. 

di Andrea Monda