Il 46° viaggio apostolico di Papa Francesco - Lussemburgo
Pace integrazione
Papa Francesco è in Lussemburgo, prima tappa del 46° viaggio internazionale del suo pontificato. Atterrato all’aeroporto internazionale di Lussemburgo-Findel alle 9.56 di stamane, 26 settembre, il vescovo di Roma si è successivamente diretto in macchina verso il Palazzo Granducale, dove ha compiuto la visita di cortesia al Granduca Enrico di Lussemburgo e ha avuto un breve colloquio con il primo ministro Luc Frieden. Quindi, sempre in automobile, si è recato presso l’edificio storico del “Cercle Cité” per l’incontro con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico, durante il quale, in risposta al saluto rivoltogli dal capo del governo, ha pronunciato il primo discorso del viaggio. Eccone il testo.
Altezze Reali,
Signor Primo Ministro,
distinti Rappresentanti della società civile,
illustri Membri del Corpo Diplomatico,
Signore e Signori,
Eminenze!
Sono lieto di compiere questa visita nel Granducato del Lussemburgo; ringrazio sentitamente Vostra Altezza Reale, e il Primo Ministro per le cordiali espressioni di benvenuto che mi ha rivolto. E anche per il benvenuto così famigliare con la vostra famiglia [Granducale], grazie!
A motivo della sua particolare posizione geografica, sul confine di differenti aree linguistiche e culturali, il Lussemburgo si è trovato spesso ad essere al crocevia delle più rilevanti vicende storiche europee; per ben due volte, nella prima metà del secolo scorso, ha dovuto subire l’invasione e la privazione della libertà e dell’indipendenza.
Ammaestrato dalla sua storia — la storia è maestra della vita —, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il vostro Paese si è distinto nell’impegno per la costruzione di un’Europa unita e solidale, nella quale ogni Paese, piccolo o grande che fosse, avesse il suo proprio ruolo, lasciando finalmente alle spalle le divisioni, i contrasti e le guerre, causate da nazionalismi esasperati e da ideologie perniciose. Le ideologie sempre sono un nemico della democrazia.
Va pure riconosciuto che quando prevalgono logiche di scontro e di violenta contrapposizione, i luoghi che si trovano al confine tra potenze che confliggono finiscono per essere — loro malgrado — pesantemente coinvolti. Quando invece gli spiriti finalmente ritrovano vie di saggezza, e alla contrapposizione sostituiscono la cooperazione, allora questi stessi luoghi diventano i più adatti a indicare, non solo simbolicamente, le esigenze di una nuova epoca di pace e le strade da percorrere.
Non fa eccezione a questa regola il Lussemburgo, socio fondatore dell’Unione Europea e delle Comunità che l’hanno preceduta, sede di numerose istituzioni europee, tra le quali la Corte di Giustizia dell’Unione, la Corte dei Conti e la Banca degli Investimenti. E questo si fa sempre con la pace, non dimentichiamo che la guerra sempre è una sconfitta. La pace — il Lussemburgo ha una storia di costruzione della pace — è necessaria. È molto triste che oggi in un Paese dell’Europa gli investimenti che danno più reddito sono quelli delle fabbriche delle armi. È molto triste.
A sua volta, la solida struttura democratica del vostro Paese, che ha a cuore la dignità della persona umana e la difesa delle sue libertà fondamentali, è la premessa indispensabile per un ruolo così significativo nel contesto continentale. In effetti, non è l’estensione del territorio o il numero degli abitanti la condizione indispensabile perché uno Stato svolga una parte importante sul piano internazionale, o perché possa diventare un centro nevralgico a livello economico e finanziario. Lo è invece la paziente costruzione di istituzioni e leggi sagge, le quali, disciplinando la vita dei cittadini secondo criteri di equità e nel rispetto dello stato di diritto, pongono al centro la persona e il bene comune, prevenendo e contrastando i pericoli di discriminazione e di esclusione. Il Lussemburgo è un Paese dalle porte aperte, una bella testimonianza di non discriminazione e non esclusione.
A questo proposito, rimangono attuali le parole pronunciate da San Giovanni Paolo ii quando, nel 1985, visitò il Lussemburgo: «Il vostro Paese — disse — resta fedele alla sua vocazione di essere, in questo importante crocevia delle civiltà, un luogo di scambi e di cooperazione intense tra un numero sempre maggiore di Paesi. Auspico ardentemente che questa volontà di solidarietà unisca sempre più le comunità nazionali e si estenda a tutte le nazioni del mondo, in particolare alle più povere» (Discorso nella Cerimonia di benvenuto, 15 maggio 1985). Nel fare mie tali affermazioni, in particolare rinnovo l’appello affinché si instaurino relazioni solidali tra i popoli, in modo che tutti possano diventare partecipi e protagonisti di un ordinato progetto di sviluppo integrale.
La dottrina sociale della Chiesa indica le caratteristiche di tale progresso e le vie per raggiungerlo. Anch’io mi sono inserito nella scia di questo magistero approfondendo due grandi tematiche: la cura del creato e la fraternità. Lo sviluppo, infatti, per essere autentico e integrale, non deve saccheggiare e degradare la nostra casa comune e non deve lasciare ai margini popoli o gruppi sociali: tutti, tutti fratelli. La ricchezza — non dimentichiamolo — è una responsabilità. Pertanto chiedo che sia sempre vigile l’attenzione a non trascurare le Nazioni più svantaggiate, anzi, che esse siano aiutate a risollevarsi dalle loro condizioni di impoverimento. Questa è una via maestra per fare in modo che diminuisca il numero di quanti sono costretti a emigrare, spesso in condizioni disumane e pericolose. Il Lussemburgo, con la sua storia peculiare, con la sua altrettanto peculiare posizione geografica, con poco meno della metà degli abitanti provenienti da altre parti dell’Europa e del mondo, sia di aiuto e di esempio nell’indicare il cammino da intraprendere per accogliere e integrare migranti e rifugiati. E voi siete un modello di questo.
Purtroppo, si deve constatare considerare il riemergere, anche nel continente europeo, di fratture e di inimicizie che, invece di risolversi sulla base della reciproca buona volontà, delle trattative e del lavoro diplomatico, sfociano in aperte ostilità, con il loro seguito di distruzione e di morte. Sembra proprio che il cuore umano non sappia sempre custodire la memoria e che periodicamente si smarrisca e torni a percorrere le tragiche vie della guerra. Siamo smemorati in questo. Per sanare questa pericolosa sclerosi, che fa ammalare gravemente le Nazioni e aumenta i conflitti e rischia di gettarle in avventure dai costi umani immensi, rinnovando inutili stragi, occorre alzare lo sguardo verso l’alto, occorre che il vivere quotidiano dei popoli e dei loro governanti sia animato da alti e profondi valori spirituali. Saranno questi valori a impedire l’impazzimento della ragione e l’irresponsabile ritorno a compiere i medesimi errori dei tempi passati, aggravati per giunta dalla maggiore potenza tecnica di cui l’essere umano ora si avvale. Il Lussemburgo è proprio al centro della capacità di fare l’amicizia ed evitare queste strade. Io direi: è una delle vostre vocazioni.
Come Successore dell’Apostolo Pietro, a nome della Chiesa che — come diceva Paolo vi — è esperta di umanità, sono inviato anche qui a testimoniare che questa linfa vitale, questa forza sempre nuova di rinnovamento personale e sociale è il Vangelo. Esso ci fa trovare simpatia fra tutte le nazioni, tra tutti i popoli: simpatia, sentire ugualmente, patire ugualmente. Il Vangelo di Gesù Cristo, che solo è in grado di trasformare in profondità l’animo umano, rendendolo capace di operare il bene anche nelle situazioni più difficili, di spegnere gli odi e riconciliare le parti in conflitto. Possano tutti, ogni uomo e ogni donna, in piena libertà, conoscere il Vangelo di Gesù, che ha riconciliato nella sua Persona Dio e l’uomo e che, conoscendo cosa c’è nel cuore umano, può sanarne le ferite. Sempre positivo.
Altezza Reale, Signore e Signori,
il Lussemburgo può mostrare a tutti i vantaggi della pace rispetto agli orrori della guerra, dell’integrazione e promozione dei migranti rispetto alla loro segregazione — e su questo vi do tante grazie: quello spirito di accoglienza dei migranti e anche dare loro un inserimento nella vostra società, questo arricchisce —, i benefici della cooperazione tra le Nazioni a fronte delle nefaste conseguenze dell’indurimento delle posizioni e del perseguimento egoistico e miope o addirittura violento dei propri interessi. E mi permetto di aggiungere una cosa. Ho visto la percentuale delle nascite: per favore, più bambini, più bambini! È il futuro. Non dico più bambini e meno cagnolini — questo lo dico in Italia —, ma più bambini!
Vi è infatti un impellente bisogno che quanti sono investiti di autorità si impegnino con costanza e pazienza in oneste trattative in vista della soluzione dei contrasti, con l’animo disposto a individuare onorevoli compromessi, che nulla pregiudicano e che invece possono costruire per tutti sicurezza e pace.
“Pour servir”, “Per servire”: con questo motto sono venuto tra voi. Esso si riferisce direttamente ed eminentemente alla missione della Chiesa, che Cristo, Signore fattosi servo, ha inviato nel mondo come il Padre aveva inviato Lui. Ma permettetemi di ricordarvi che questo, il servire, è anche per ognuno di voi l’alto titolo di nobiltà. Il servizio è per voi anche il compito principale, lo stile da assumere ogni giorno. Il buon Dio vi conceda di farlo sempre con animo lieto e generoso. E coloro che non hanno fede lavorino per i fratelli, lavorino per la patria, lavorino per la società. Questa è una strada per tutti, sempre per il bene comune!
Maria Mutter Jesu, Consolatrix afflictorum, Patrona Civitatis et Patriae Luxemburgensis vegli sul Lussemburgo e sul mondo, e ottenga da Gesù suo Figlio la pace e ogni bene.
Che Dio benedica il Lussemburgo! Grazie.