Il saluto, primo gesto umano
Energia generatrice
Il motorino di avviamento che ha generato la stesura di Cosa può un saluto? (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2024, pagine 120, euro 12), l’ultimo saggiodell’arcivescovo Giovanni Cesare Pagazzi, segretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione Cattolica, è situato nell’ultima mezza paginetta del libro e richiama alla memoria un episodio che in effetti lì, nella memoria di milioni persone, è rimasto definitivamente scolpito: la sera del 13 marzo 2013 il Papa appena eletto si è presentato alla Loggia delle Benedizioni e ha salutato con le parole: «Fratelli e sorelle, buonasera!». Da questo punto il libro andrebbe letto a ritroso e partire proprio da quella scena.
Avrete notato quante lettere maiuscole ho impiegato in questa prima frase, ebbene questo libro è invece scritto tutto in lettere minuscole e una recensione dovrebbe rispettare tale indicazione. Fuor di metafora: il libro parla delle cose piccole della vita, degli aspetti “minuscoli” come può essere appunto l’uso umano di salutarsi nel momento dell’incontro, salvo poi scoprire che dietro quell’apparente banalità, si cela un grande potere. A questo fatto paradossale allude il titolo: il saluto anche quello più banale (buongiorno, buonasera) può scatenare effetti sorprendenti, potenti.
Del resto quello del potere è un tema caro all’autore che spesso lo ha trattato nei suoi lavori precedenti ed in particolare nel saggio del 2019 Tua è la potenza. Fidarsi nella forza di Cristo (San Paolo). Niente è più comune del gesto del saluto, ogni uomo lo compie più volte al giorno spesso in modo meccanico. «Ma perché» si e ci chiede l’autore «quanto è comune dovrebbe essere banale?». E osserva che «certamente Gesù non è di questo avviso. Infatti, annunciando la presenza operante di Dio nella storia, il Regno dei Cieli, egli lo scorge nelle realtà più comuni e feriali della vita» e qui Pagazzi enumera un lungo elenco di immagini tratte dalle parabole di Gesù che si lascia ispirare dalla realtà di tutti i giorni (e su questo tema della “ferialità” si sente la lezione di un teologo come Rahner) e osserva che su queste realtà comuni del mondo si posa lo sguardo di Gesù, uno sguardo non «presuntuoso, come su cose risapute e scontate», al contrario egli «percorre paesaggi ordinari della vita e dell’animo umano con l’attenzione di chi intuisce in essi un’autentica Rivelazione di Dio» e «riserva la medesima attenzione a bisogni comuni come la fame, la sete e il sonno, realtà feriali da noi ritenute troppo carnali e consuete per essere significative (...). Il Figlio di Dio divenuto uomo annuncia che il Creatore ha cose da mostrarci, darci e dirci proprio grazie a quanto la nostra saccenteria e superficialità considerano banale».
Niente è banale – Ripulire gli occhi
Ripulire gli occhi per vedere meglio il potente spettacolo della realtà che ci circonda e che si squaderna ogni giorno davanti a noi, questo è il primo effetto voluto (e raggiunto) dal piccolo libro sul saluto che si aggiunge a quelli precedenti tutti posizionati sulla stessa linea, verso la medesima direzione, come ad esempio quello sul sonno (In pace mi corico), sul cucinare (La cucina del Risorto), sul legame affettivo verso gli oggetti (Fatte a mano) e quello sull’abitare (Sentirsi a casa).
Con occhi nuovi, freschi, si può cogliere quanto può generare un saluto. Pagazzi cita il saluto di due giovanetti, quello di Beatrice a Dante, che ha donato al mondo il più grande poeta e il più grande poema, e naturalmente si sofferma sul saluto più importante della Storia della Salvezza, perdonate il mio ritorno al maiuscolo, avvenuto in una piccola casa di Nazareth due millenni fa. Un saluto che, come tutti, è doppio perché a un saluto corrisponde sempre un saluto di risposta: c’è il saluto dell’angelo Gabriele e il saluto di Maria in questa scena non a caso immortalata da migliaia di opere d’arte, una delle quali splende nella copertina del libro: L’Annunciata di Antonello da Messina con quel particolare della mano di Maria che sembra voler sospendere il momento. Pagazzi a questo punto cita san Bernardo di Chiaravalle che «evidenzia l’energia drammatica che vibra nell’intervallo tra il saluto di Gabriele e la reazione di Maria» e si mette insieme a lui e a «tutto il mondo» che, scrive san Bernardo, «è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano (...) O Vergine, da’ presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo».
Tutto il mondo, con la storia passata e futura, è col fiato sospeso finché al saluto dell’angelo non risponderà quello di Maria. Scrive C.S. Lewis sottolineando questo processo di abbassamento e concentrazione in un punto minuscolo del tempo e dello spazio a cui si sottopone l’opera redentrice di Dio: «Il processo va avanti restringendo sempre più il suo campo, alla fine si concentra su un piccolo punto luminoso simile alla punta di una spada. È una ragazza ebrea assorta in preghiera. Tutta l’umanità (per quel che concerne la sua redenzione) si è ristretta a tanto».
So much depends upon – La potenza di un sorriso
Bello il verbo usato da san Bernardo quando dice che dalla bocca di Maria e dal suo saluto «dipende» il destino dell’umanità e dell’universo. Tanto dipende da così tanta piccolezza. Viene in mente la celebre poesia di William Carlos Williams sulla carriola rossa: «tanto dipende (so much depends) / da (upon) / una carriola / rossa / lucida di acqua / piovana / accanto alle galline / bianche». Osserva la poetessa Elena Buia che tutta l’opera di Williams «è caratterizzata da una tensione nei confronti della realtà osservata, costituita da oggetti minuziosamente descritti attraverso un linguaggio asciutto e teso, attraverso una parola poetica carica di intensa vitalità. Le immagini più ordinarie esprimono significati profondi, simbolici e radianti, facendo sì che l’atto del vedere, se ben esercitato e correttamente diretto, permetta a nuovi mondi di rivelarsi. La carriola rossa (The Red Wheelbarrow) è una tra le sue poesie più famose e paradigmatiche dove un oggetto, mostrandosi nella sua casuale semplicità, diviene, per l’intuizione del poeta, il punto di leva dell’universo». Il saluto, questo gesto rapido, semplice, dimesso, può sempre, ogni volta che viene eseguito, divenire una leva dell’universo.
E qui, su questa drammatica condizione del saluto come potente fonte di energia, Pagazzi apre una breve parentesi, quasi un libro nel libro, sul tema del sorriso, tema che meriterebbe appunto un saggio a parte. Il sorriso, questo gesto minimale, subliminale, che rivela lo splendore dell’amore o l’amarezza del sarcasmo, è capace a un tempo di dispensare vita o morte. Ne sa qualcosa il saggio Snoopy che nella vignetta qui a fianco coglie la rapidità assoluta, ma decisiva, del sorriso e della sua forza. E ne sa purtroppo qualcosa il malcapitato Lucio Battisti che in una delle sue più riuscite e famose canzoni, Mi ritorni in mente, canta la potenza, mortale, del sorriso (se viene distolto dal suo volto a quello di un altro) : «Un sorriso / E ho visto la mia fine sul tuo viso / Il nostro amor dissolversi nel vento / Ricordo, sono morto in un momento». Morte dunque ma anche vita, come similmente canta Eugenio Montale opportunamente citato da Pagazzi: «Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida». E Pagazzi commenta, parafrasando Ricoeur: «Insomma, il sorriso dà a pensare».
Non c’è in effetti potenza al mondo più grande di un sorriso al punto che Chesterton, concludendo il suo capolavoro, Ortodossia, immagina che sia proprio per questo motivo per cui nei Vangeli non si fa cenno esplicito al sorriso di Gesù. Secondo lo scrittore inglese Gesù che pure non nascose il suo pianto o la sua collera, questa cosa, il sorriso, la «coprì costantemente con un brusco silenzio o con un impetuoso isolamento. Era qualche cosa di troppo grande perché Dio lo mostrasse a noi quando Egli camminava sulla terra; ed io qualche volta ho immaginato che fosse la Sua allegrezza».
Il sorriso, questa lieve, fragile ma indistruttibile apparizione della grande potenza che tiene insieme l’universo è confuso nelle cose più dimesse e quotidiane, essendo la forma più comune del saluto umano.
Il saluto: coraggio, pace e speranza
Al sorriso-saluto, anche silenzioso, di una persona si risponde allo stesso modo ma, qui acutamente l’autore allarga e approfondisce lo sguardo, avviene anche il contrario: gli uomini spesso salutano chi non può ricambiare il saluto. È il caso del saluto dato ai bambini appena nati o di pochi mesi e quello dato ai defunti. La vita di un uomo e di una donna, osserva Pagazzi, «è tesa tra due saluti impossibili: il saluto che riceviamo appena nati e il saluto che riceviamo appena morti. Questi due doni si trasformano per noi nel dovere di dare a nostra volta il benvenuto a chi nasce e nell’impegno di congedarci da chi muore». E qui si entra in un campo misterioso, dove subentrano in soccorso degli uomini due grandi virtù: il coraggio e la speranza.
Sul saluto-congedo, l’autore ne sottolinea la potenza e l’audacia: «Noi umani non ci rendiamo conto del coraggio che abbiamo salutando i morti; della speranza che nutriamo congedandoci dai morti; siamo come i genitori che danno la “Buonanotte” ai loro bambini. Salutando i morti, gettiamo il cuore al di là della notte, oltre la morte». Il saluto ai piccoli e quello ai defunti, imparentati tra loro, sono gesti coraggiosi. Prendiamo quello dei genitori ai bambini piccoli, osserva Pagazzi: «Si ricevono saluti fin dai primi giorni di vita, quando i genitori compiono nei riguardi del bambino il gesto iniziale di ogni saluto: guardare un volto, ospitarlo nel proprio campo visivo, riconoscendolo degno di attenzione. Anche quel saluto li rende genitori. A ben vedere, l’azione dei due adulti è assai coraggiosa, poiché guardano chi al momento non può ricambiare lo sguardo e quindi nemmeno il saluto. Salutano chi certamente non saluterà». Per Pagazzi questo gesto introduce l’uomo già nel campo della trascendenza. Come infatti il saluto dei genitori arriva “da fuori” e “prima ancora” che il bambino possa immaginarlo e desiderarlo, così Dio giunge «dall’esterno, dall’alto, fuori portata. I primi saluti dei genitori sono anche le esperienze iniziali della trascendenza».
È questione di coraggio, quel sorridere a chi non può contraccambiare è un gesto audace, nobile, generoso e al tempo stesso generativo. L’autore elabora un’immagine forte e delicata: «Grazie al coraggioso saluto iniziale dei genitori, il fuoco passa da una candela accesa ad un’altra ancora spenta, avviando la combustione di un’anima al momento inerte, ma già pronta a infiammarsi. Infatti, restituendo sguardo e sorriso, salutando a sua volta, il bimbo pronuncia in modo tutto gestuale il suo primo “Io sono” e il suo primo “Tu sei”».
Proprio su questo aveva osservato Urs Von Balthasar che «il bambino è consapevole, sin dal primo aprire gli occhi della mente. Il suo “io” si risveglia nell’esperienza di un “tu”: nel sorriso di sua madre, da cui impara che è contenuto, confermato ed amato, in una relazione incomprensibilmente avvolgente, già protettiva e attuale». Quindi a Cartesio che quel “Io sono” lo faceva dipendere dal pensiero, Pagazzi risponde mettendo in campo il saluto: noi siamo in quanto siamo stati salutati e abbiamo ricambiato il saluto, proseguendo sulla via indicata da Karl Barth che già a suo tempo aveva rovesciato il “cogito” in “cogitor”: sono pensato dunque sono.
Il saluto che pone in essere l’altro, esprime anche il più profondo desiderio umano, il desiderio di pace. Con il sorriso infatti, annota Pagazzi, «se non è artificiale né falso, il corpo invita l’altro a disarmarsi, poiché per primo ha deposto le armi». Si mostrano i denti, ma questa volta non per offendere o minacciare, ma proprio per disinnescare quell’energia potenzialmente mortale.
Quel sorriso-saluto che abbiamo ricevuto quando eravamo ancora inconsapevoli rimane impresso nella nostra memoria e restano tali sotto forma di promessa. E dunque quello che facciamo tutti i giorni, il nostro reciproco salutarci, con la sua gestualità è, secondo l’autore, «un’immersione quotidiana ripetuta più volte al giorno, nelle promesse ricevute durante l’infanzia, un reciproco incoraggiamento e impegno affinché tali promesse siano mantenute».
Immersione nell’energia del passato, il saluto è al tempo stesso un tuffo nel mare ignoto del futuro. L’uomo che saluta o riceve un saluto si trova come in un crocevia della sua vita tra quelle promesse passate e una scommessa che si apre davanti a lui, da qui scaturisce la necessità del coraggio che è richiesta se si vuole cogliere questa occasione o lasciarla cadere. «Il saluto è l’offerta preliminare di se stessi, l’ingresso nella vita di un altro», afferma Pagazzi e poco dopo annota, in modo confortante, che «quando ci salutiamo ci troviamo già nel saluto, perciò siamo capaci di salutare». Accade con il saluto quel fatto misterioso che già avviene quando l’uomo comincia a parlare. I genitori iniziano a parlare ai propri figli confidando che essi siano già capaci di rispondere e così infatti avviene, senza intoppi e senza spiegazione. Si tratta di essere coraggiosi, di scommettere. Un po’ come quando si comincia ad andare in bicicletta, la cui staticità, nota l’autore (che di biciclette se ne intende), è data proprio dalla dinamica: l’equilibrio è ottenuto dal muoversi pedalando continuamente. È un altro tema caro a Papa Francesco che lo espone anche pensando alla Chiesa: l’equilibrio non è mai statico ma dinamico e passa attraverso lo squilibrio, dalla tensione che si genera quando ci si muove. Bisogna quindi vincere la paura (subdola arma del diavolo) e sbilanciarsi, come quando si cammina, facendo un passo dopo l’altro, cioè passando da uno squilibrio all’altro. Nella poesia Ti stringo la mano mentre dormi, Elena Buia canta il cammino “squilibrato” di una coppia che riprende energia ogni giorno e incede nel mondo immergendosi in un flusso dinamico più grande della loro intelligenza: «al risveglio del mattino / una forza indissolubile / ci unisce e ci sbilancia / in avanti e in alto / acrobati-operai / sulla maestosa impalcatura / di una bellezza / inspiegabile a noi stessi».
Chi si getta nell’esistenza e supera il vuoto con il suo gesto creativo è proprio Dio, il più coraggioso di tutti. Dio scommette sulla sua e la nostra esistenza, salutando con gioia il creato e le sue creature, ammirando la cosa buona/bella che è uscita dalle sue mani generose. Il cristiano non può che seguire la strada maestra, quella indicata dal Maestro Gesù che nelle sue “istruzioni” per la missione sottolinea l’importanza di salutare, di farlo per primi, questo suo comando, osserva Pagazzi, «scorge nel saluto il seme dell’evangelizzazione. Non è possibile evangelizzare senza salutare, giacché in quel gesto sta la grammatica elementare e il vocabolario minimo del Vangelo».
Il gesto del saluto è così originario nell’uomo che va rispettato, custodito. Ogni volta che si è tentato di modificarlo, imporlo, manipolarlo, l’autore fa l’esempio del saluto fascista e quello nazista, gli esiti sono stati tragici. Il saluto ha quindi una potenza e una valenza che è anche pubblica. E Pagazzi osserva che il tempo che stiamo vivendo è un momento storico povero di saluti, come se la gente avesse perduto il gusto e l’energia di compiere questo piccolo gesto: «Siamo in un tempo in cui ci si saluta meno; qualcuno dice anche a motivo del Covid. Pochi sono quelli che salutano lungo la strada, sul treno, in negozio, perfino entrando o uscendo da una chiesa. È raro anche il solo cenno di un sorriso, o lo scambio di sguardi. È un tempo scoraggiato? Coraggio!» e conclude con un’esortazione che diventa compito: «È quanto mai urgente — almeno in Occidente — riabilitarsi a salutare». A questo compito riabilitativo assolve brillantemente questo nuovo breve e acuto saggio di Cesare Pagazzi, chi lo leggerà potrà continuare a salutare il nuovo giorno, gli altri esseri viventi e forse lo farà con una consapevolezza più grande e più gioiosa, lieto e trepidante per il fatto di custodire nei suoi gesti “minuscoli” un potere così grande.
di Andrea Monda