Haiti
Pochi effetti personali raccolti in un telo e in una busta di plastica, nient’altro. È il carico di dolore che una donna di Haiti trasporta sulla propria testa e tra le braccia mentre abbandona la capitale del Paese caraibico, Port-au-Prince, per rifugiarsi a Jacmel, 90 km più a sud: cerca così di sfuggire alla violenza delle bande armate che imperversano nella parte occidentale dell’isola di Hispaniola, insanguinata da omicidi, saccheggi, stupri e rapimenti. Un tratto di strada rocciosa, con pareti a strapiombo, che a piedi — i più fortunati a dorso di un mulo — si percorre almeno in un giorno e una notte lungo la Route nationale 2. Un viaggio pericoloso, perché alcune bande stanno estendendo i loro attacchi anche al di fuori della capitale, che controllano all’80%.
A preoccupare sono inoltre gli ultimi dati dell’Onu sull’«impennata» dei casi di violenza sessuale contro le donne sfollate ad Haiti. Il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) ha denunciato che tali violenze sono passate da 250 di gennaio-febbraio a più di 1.500 in marzo e a oltre 2.000 tra aprile e maggio, un aumento stimato nel 40% nell’ultimo periodo e attribuito ad abusi e aggressioni commessi principalmente da membri delle gang. Con almeno 580.000 persone sfollate, la crisi umanitaria rimane gravissima e «le bande sono ancora all’opera», come testimoniano molti abitanti all’Afp, nonostante si stia schierando la missione internazionale di sostegno alla sicurezza, sostenuta dalle Nazioni Unite e guidata dal Kenya, che dovrebbe comprendere circa 2.500 agenti provenienti anche da Bangladesh, Benin e Giamaica, da affiancare all’esiguo corpo di polizia haitiana, 12.000 unità, e a supporto delle istituzioni locali guidate dal primo ministro, Garry Conille. (giada aquilino)