A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, centinaia di milioni di persone sono uscite dalla povertà assoluta (definita oggi da un reddito spendibile inferiore a 2,15 dollari al giorno), grazie in particolare alla crescita dei due giganti asiatici, Cina e India. Se nel 1990 c’erano oltre due miliardi di persone che non avevano da mangiare, nel 2020 (prima della pandemia) gli affamati nel mondo erano scesi a 700 milioni. Al di sotto di una soglia un po’ più alta (5,5 dollari al giorno) trovavamo nel 2020 ancora 3,4 miliardi di persone. Allo stesso tempo sono cresciute le disuguaglianze all’interno dei paesi ricchi. Si sono ingigantite le differenze tra chi si trova in cima alla scala dei redditi (e ancor più della ricchezza) e chi si trova sui gradini più bassi. In Italia, per esempio, il decile (10 per cento) della popolazione con redditi più elevati, nel 1980 otteneva il 24 per cento di tutto il reddito prodotto in un anno (prima della tassazione); al 50 per cento più “povero” toccava il 26 per cento. Nel 2020 la quota dei più ricchi era salita al 32, quella del 50 per cento più “povero” era scesa al 20,7 nello stesso intervallo di tempo. Ancora più marcato l’aumento dei divari nel paese leader del mondo libero, gli Stati Uniti d’America. Lì i redditi del “top 10%” e quello del “bottom 50%” si equivalevano nel 1980 (circa 20 per cento del totale). Nel 2021 la quota del decile più “povero” era scesa sotto il 14 e quella del decile più “ricco” era salita al 45,6. Con l’aumentare della disuguaglianza, la vita dei ricchi diviene sempre più fisicamente e socialmente separata da quella del ceto medio e dei poveri. I ricchi dell’America Latina o dell’Africa — che vivono in quartieri e compound rigidamente chiusi e spesso militarmente presidiati — possono trovarsi su un pianeta diverso da quello in cui vive la “gente normale”. Ma anche dove i quartieri dei ricchi e quelli degli “altri” sono separati solo dall’incerto confine di una strada o di un giardino, i mondi degli uni e degli altri possono essere tra loro alieni. Gli invisibili confini della disuguaglianza, non meno di quelli visibili, rendono più difficile il coinvolgimento dei ricchi nelle politiche di aiuto ai poveri. La disuguaglianza può ispessire lo schermo che permette di non vedere la povertà e conduce a non curarsene senza troppi rimorsi di coscienza. Un tema messo a fuoco da Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2013: «Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro» (pagina 51).
di Andrea Boitani
Docente di economia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore