· Città del Vaticano ·

#CantiereGiovani - Ritorno fra i banchi
Contro la sensazione della rassegnazione

Settembre, ricomincia
la scuola
Quale?

 Settembre, ricomincia la scuola Quale?  QUO-214
21 settembre 2024

Quale scuola sta ricominciando in questi giorni in Italia e in tanti altri Paesi del mondo?

È necessario porre la domanda per vedere l'effetto che fa, sperando che qualche effetto ce l'abbia. Perché la sensazione è quella della stanchezza. E quindi del mutismo, della rassegnazione. Una scuola stanca, sfibrata dalla coazione a ripetere, dal replicare un copione vecchio, non ringiovanito dalle mille miniriforme che in questi anni, almeno in Italia, si sono avvicendate con il compito principale di cancellare quella del governo precedente.

Per riprendere quindi a parlare della scuola in questa situazione di stanchezza e confusione, la via migliore è quella di tornare alle domande essenziali. La prima è quella fondamentale: cosa è la scuola? Domanda che slitta inevitabilmente nella successiva: cosa dovrebbe essere la scuola? Come a dire: cosa doveva essere e non è stato?

Nel suo lucido e implacabile saggio sul tema della sanità Nemesi medica, il teologo gesuita Ivan Illich già cinquanta anni fa rifletteva sul “tradimento” delle organizzazioni sanitarie nel mondo partendo dal presupposto che le istituzioni umane prima o poi finiscono per contraddire l'ispirazione che le ha originate. E portava come esempi appunto l’ospedale, il carcere e anche la scuola. L'istituzione umana smarrisce il fine e lo confonde con i mezzi, cioè con se stessa per cui il fine diventa la propria perpetuazione nel tempo. L’ospedale non cura ma fa di tutto per mantenere i malati in condizioni di patologia e quindi bisognosi di cura, il carcere non “cura” i detenuti ma ne peggiora le condizioni umane, e così farebbe anche la scuola rispetto ai piccoli bisognosi di cura, cioè di apprendimento e di crescita, che gli sono affidati.

Un episodio a me capitato conferma l’inquietante profezia di Illich. Collegio docenti di inizio d’anno, incaricato di svolgere la “funzione strumentale” dell'orientamento (sul lessico scolastico vedi dopo), chiedo la collaborazione dei colleghi. Risposta di una collega di filosofia: fai quello che devi fare ma dopo l’orario scolastico, perché la cosa importante è che finiamo il programma. Più di orientare gli studenti, finire il programma è importante, la cosa più importante. Come a dire che gli uomini vivono per respirare. Scambiare il mezzo con il fine.

Quindi Illich, anche se forse è troppo drastico, va preso sul serio. Altrimenti il rischio è quello di “parlare” della scuola e di non fare altro. A questo punto è necessaria una premessa sul fatto di quanto sia difficile parlare della scuola ed essere originali senza cadere nel rischio della retorica e quindi della noia. In questo caso, eccezionalmente, la via della retorica, generalmente scivolosa e perniciosa, può rivelarsi di qualche utilità. Proviamo quindi a dire qualcosa correndo il rischio.

E diciamo, per esempio, che, un anno fa, il 2023 era un anno davvero speciale perché segnava il secolo della Riforma Gentile e nello stesso tempo il secolo di don Lorenzo Milani. E quindi c’è da chiedersi se poi la scuola italiana sia finalmente traghettata dall’uno all’altro, dal grande ministro filosofo al priore di Barbiana. E chiedersi prima ancora: ma vogliamo davvero Milani come modello educativo?

E diciamo, ancora, che non ha senso parlare guardando al passato ma osservando il presente e immaginando il futuro. E quindi chiedersi: ha ancora senso una scuola che tiene i cuccioli d’uomo chiusi in una stanza, dietro a un banco per cinque/sei ore al giorno, per nove mesi all’anno, per 13 dei primi 18 anni della loro vita? Riflettendo magari sui dati che arrivano dall'estero, dagli Usa in particolare, dove è in notevole aumento il ricorso all’home-school, per cui le famiglie preferiscono impartire lezioni ai propri figli a casa. E siccome le parole hanno un peso (e delle conseguenze), il lessico scolastico non è forse terribile e al tempo stesso rivelatore in modo inquietante? Un esempio è stato già dato, “funzione strumentale”, due parole che dovrebbero essere bandite dalla scuola che non deve essere né funzione né strumento ma ben altro. Altri esempi: “scuola dell'obbligo”, in un momento storico in cui la società (giovani come adulti), alla sola parola “obbligo” rabbrividiscono? Oppure “esame di Stato”, quando prima si chiamava “esame di maturità”. Altro brivido lungo la schiena dei giovani, non essere valutati sulla loro crescita globale (la maturità) ma, di nuovo, l'esame come obbligo da assolvere per la corretta esecuzione di una procedura regolamentata dalla massima istituzione. Ma allora cos’è quel “ben altro” che la scuola è o dovrebbe essere e che invece abbiamo dimenticato in nome del funzionalismo?

Le parole hanno un peso, e la parola scuola ci dà un’indicazione: da scholè, tempo libero. Proprio l’opposto del tempo funzionale, strumentale, del tempo impiegato per uno scopo, un fine utilitaristico. Un tempo quindi libero, il tempo della libertà, della creatività, della gratuità.

Viene in mente la definizione di Romano Guardini rispetto all'opera d’arte che «ha sì un senso ma non uno scopo, non mira a nulla ma significa, non vuole nulla ma è». Forse la scuola dovrebbe essere un’opera, collettiva, d'arte? Non avere “mire”, fini ben precisi, ma far esplodere l'essere. Un “allievo” di Guardini, Papa Francesco, ha spesso sollecitato il passaggio che ogni uomo dovrebbe fare “dalla cultura dell'aggettivo alla teologia del sostantivo”. La scuola non dovrebbe “qualificarci”, darci una qualifica, ma farci essere, lasciarci essere. Si tratta di togliere più che mettere. E di e-ducare, tirar fuori i talenti nascosti. Per citare un altro “mantra” scolastico: accendere fuochi, non riempire vasi.

Se questa è l’essenza della scuola, nel concreto quale scuola si deve realizzare di fronte a questo tempo di cambiamento epocale? È ora il tempo di provare a rispondere, ma per farlo bisogna impostare bene le domande. Questa riflessione, inevitabilmente sintetica, è un tentativo in tal senso.

di Andrea Monda