Una chiamata all’azione per i giovani di diverse culture affinché si uniscano per costruire un futuro più unito e fraterno nel Mediterraneo: questo il senso dell’incontro Med24 che si conclude oggi, sabato, a Tirana sulla scia dei precedenti convegni a Bari, Firenze e Marsiglia. L’iniziativa, dal titolo Pellegrini di speranza, costruttori di pace, si è svolta a dieci anni dal viaggio apostolico di Papa Francesco in Albania, che ricorre proprio oggi 21 settembre. Con un programma ricco di eventi per sviluppare il dialogo e la condivisione, per una settimana cinquanta giovani tra i 20 e i 35 anni — di culture, credi e realtà diverse, provenienti dalle cinque sponde del Mediterraneo — hanno discusso con vescovi e leader della regione. «La fraternità è la migliore risposta che possiamo offrire ai conflitti e alle indifferenze che uccidono», ha detto il Pontefice in un videomessaggio inviato ai partecipanti all’incontro. Parole che hanno colpito al cuore i tanti albanesi che, in questa occasione, hanno spalancato le porte agli ospiti del convegno dimostrandosi «luogo di quel laboratorio di pace che emerge come peculiarità della sua esperienza interreligiosa», come affermato dall’arcivescovo di Tiranë-Durrës, Arjan Dodaj.
«È una grande felicità vedere e ascoltare un messaggio del Papa proprio per noi», ha detto Lenida, una giovane albanese partecipante all’incontro, parlando ai media vaticani. Lenida ha raccontato dell’ospitalità nelle famiglie offerta da molti albanesi ai ragazzi giunti da lontano per partecipare a Med24 e di aver vissuto questo evento con «tanto entusiasmo. Tutti hanno fatto quello che hanno potuto per aiutare: qualcuno organizzando il trasporto, altri ospitando in casa, altri ancora con gli spostamenti in diverse città dell’Albania. Abbiamo aspettato questa settimana con amore e con grande piacere». Si tratta forse della stessa gioia che si leggeva negli occhi dei partecipanti a fine giornata. «Vedo che sono felici anche se hanno avuto giornate molto impegnative», ha osservato Lenida: «Essere pellegrini della speranza, dunque, è prendere qualcosa, tipo la tolleranza, la pace, la bellezza nelle semplici cose e portarla in quella realtà dove tu vivi, per fare la differenza, cioè per vedere le cose in modo diverso, in modo bello, senza sofferenza o guerre».
Il percorso di comune riflessione per costruire un mondo più giusto, secondo don Massimiliano Maria Spezia, segretario di monsignor Dodaj, rappresenta «un piccolo seme gettato nel cuore di questi giovani che secondo le logiche di Dio, molto più grandi delle logiche umane, porterà quei frutti che il Signore vorrà. Ma noi li stiamo già vedendo, li stiamo già gustando in una fraternità, in una gioia, in una semplicità di fratellanza molto bella e semplice». Quella sviluppata da questo incontro tra le Chiese del Mediterraneo «è una scuola dove piano piano si impara e dove l’esperienza si trasmette non tanto con conferenze o lezioni» ma «soprattutto nel contatto e nei rapporti personali». All’iniziativa hanno partecipato anche leader di altre religioni, accademici e autorità politiche, come la speaker del Parlamento e il primo ministro albanese.
La varietà religiosa dell’Albania è stata, inoltre, al centro delle visite ad alcuni importanti luoghi di interesse culturale, a moschee e cattedrali ortodosse e cattoliche, che hanno aperto la strada a conversazioni sulla pace e sul dialogo come componente decisiva della vita sociale. «Attraverso il dialogo — ha spiegato Rasha, laureata in Scienze dell’educazione e proveniente da Damasco — possiamo condividere opinioni ed esperienze al di là di sette, religioni e culture. È il vero accesso all’essenza di ciò che è umano e quindi la vera comunicazione umana che rifiuta la violenza, i conflitti e le guerre e invita all’amore, alla pace e alla convivenza».
L’ultimo giorno dell’incontro è stato riservato alla riflessione sulle esperienze della settimana; i giovani hanno compilato una lista di impegni da raggiungere e mantenere perché, come si afferma nel comunicato di chiusura dell’evento, «la fraternità è qualcosa che si vive, non solo si racconta o si vede in televisione. È qualcosa che si sente con il cuore e si condivide con la vita».
di Beatrice Guarrera