Il decimo anniversario del primo Incontro mondiale dei movimenti popolari
Terra, casa e lavoro
A metà mattinata di oggi, venerdì 20 settembre, Papa Francesco si è recato in automobile a Palazzo San Calisto nella sede del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale (Dssui), dove è intervenuto al simposio commemorativo del decimo anniversario del primo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari (Emmp). Nell’edizione di domani pubblicheremo una nostra traduzione dallo spagnolo del testo integrale del discorso pronunciato dal Pontefice nella circostanza.
Dieci anni fa è stata piantata «una bandiera» con sopra le «tre T»: «Tierra, Techo, Trabajo. Terra, casa, lavoro». «Diritti sacri» che nessuno può e deve rubare, così come nessuno ha il diritto di rubare i sogni e le speranze dei poveri dai quali tutti dipendiamo: «Sì, dipendiamo tutti dai poveri, tutti noi, compresi i ricchi». Quei miliardari per i quali sarebbero necessarie «più tasse».
Usa metafore ma indica obiettivi concreti, Papa Francesco, nel lungo discorso tutto in spagnolo pronunciato oggi a Palazzo San Calisto, sede del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ai rappresentanti dei Movimenti Popolari, tornati a Roma in occasione del decimo anniversario del primo Incontro mondiale avvenuto in Vaticano nel 2014. L’incontro, cioè, che ha dato il via a un percorso di dialogo e scambio proseguito poi in Bolivia nel 2015 e ancora in Vaticano nel 2016. Oggi un nuovo appuntamento con l’evento “Piantare una bandiera di fronte alla disumanizzazione”, svoltosi nel salone di questo edificio barocco, nel cuore del quartiere romano di Trastevere, dove Francesco arriva in sordina, senza interrompere il giovane argentino che sta tenendo il suo intervento.
Prendendo la parola, il Pontefice, e incoraggia gli sforzi di chi lotta «contro le strutture di ingiustizia sociale», contro le diseguaglianze, l’accumulo di denaro talvolta «insanguinato», le violenze e il mancato rispetto dei diritti; esortando a non cadere e scadere mai in «passività» e «pessimismo» né tantomeno a lasciarsi «abbattere dal dolore».
I Movimenti Popolari lo hanno fatto in questi anni non accettando di essere «vittime docili», ma riconoscendosi come «protagonisti della Storia». «Questo è forse il vostro contributo più bello: non rimpicciolirsi, ma andare avanti» scandisce Francesco, ringraziando anche per le tante opere compiute. Sì, i Movimenti Popolari «protestano — «il che è molto positivo», osserva il Papa —, ma realizzano innumerevoli opere, anche nella più assoluta precarietà dei mezzi, a volte senza alcun aiuto da parte dello Stato, altre volte perseguitati». Il Vescovo di Roma accompagna invece questo cammino, nella certezza che, come disse a Santa Cruz de La Sierra, in Bolivia, «dall’azione comunitaria dei poveri della terra dipende non solo il loro futuro, ma forse quello dell’intera umanità».
«Sì, dipendiamo tutti dai poveri, tutti noi, compresi i ricchi» rimarca il Papa. «Qualche fratello mi ha detto: “Padre, lei parla molto dei poveri e poco della classe media”» aggiunge, simulando uno dei dialoghi caratteristici della sua predicazione. «Potrebbe essere vero, mi scuso» ma «quando il Papa parla, parla per tutti perché la Chiesa è per tutti». Invece qualche altro fratello ha suggerito: «Non essere così duro con i ricchi». «Gesù è stato più duro di me, eh!» ribatte Francesco. Certo riconosce che gli imprenditori creano posti di lavoro e contribuiscono allo sviluppo economico. Lo ha detto pure nel recente viaggio a Singapore. Ma è evidente che i frutti di questo sviluppo «non sono ben distribuiti». Ed è da notare pure, rileva il Papa, che molte volte «sono proprio i più ricchi ad opporsi alla realizzazione della giustizia sociale o dell’ecologia integrale per pura avidità». «Il diavolo entra dalle tasche, non dimenticatelo. Una mazzetta qui, una mazzetta là...» rimarca il Pontefice, raccontando la vicenda di un imprenditore internazionale in Argentina al quale è stata chiesta la tangente.
Per Francesco il sistema che ha permesso ai ricchi di accumulare fortune «a volte ridicole» è «immorale e deve essere modificato». «Dovrebbero esserci più tasse sui miliardari» afferma, assicurando di pregare «affinché coloro che sono economicamente potenti» si aprano a «condividere beni che hanno un destino universale perché derivano tutti dalla Creazione».
È difficile, «ma con Dio tutto è possibile» spiega. E «se quella piccolissima percentuale di miliardari che monopolizzano gran parte della ricchezza del pianeta fosse incoraggiata a condividerla, non come elemosina, ma fraternamente, quanto sarebbe bene per loro stessi e quanto sarebbe giusto per tutti». La riflessione diventa quindi appello: «Chiedo sinceramente che i privilegiati di questo mondo siano incoraggiati a compiere questo passo. Saranno molto più felici».
La realtà quasi perversa di oggi, invece, esalta «l’accumulo di ricchezza come se fosse una virtù». Mentre in realtà è «un vizio» chiarisce il Papa: «Accumulare non è virtuoso, distribuire lo è». La sua speranza è che il grido degli esclusi possa risvegliare «le coscienze assopite di tanti leader politici». Gli stessi che hanno subito «l’addomesticamento» di media e social network o che hanno adottato «atteggiamenti servili» verso chi è economicamente potente. «Rinunciare a ideali nobili e generosi per servire il denaro o il potere è una grande apostasia» afferma Francesco. Questo, «non succede solo ai politici, succede agli attori sociali e sindacali, agli artisti e agli intellettuali... e anche a noi preti».
«Bisogna aiutare i politici affinché non si consegnino ai coccodrilli» esorta ancora il Papa, riprendendo la metafora usata nella messa a Timor Leste. E come nel Paese asiatico il Papa parla di «compassione», uno dei tre attributi di Dio insieme a «vicinanza» e «misericordia». Compassione che significa soffrire con l’altro, non fare l’elemosina guardando ai bisognosi «da cima a fondo» ma avvicinandosi alle loro sofferenze.
Questa compassione è antidoto contro «le ideologie disumanizzate» che promuovono la «cultura del vincitore». Qualcuno la chiama «meritocrazia». E così ci sono «persone che, forti di successi mondani, si sentono in diritto di disprezzare con arroganza i “perdenti”». Nessuno ha il diritto di disprezzare gli altri: questa è la radice di tanto odio, disprezzo e violenza oggi nel mondo, afferma Francesco: «Il silenzio dell’indifferenza lascia spazio al ruggito dell’odio». E l’odio si tramuta in violenza verbale, fisica, in guerra. «C’è la coda del diavolo!».
Ancora a braccio il Papa racconta di aver visto di recente il filmato di una repressione con l’utilizzo anche di spray al peperoncino contro persone che manifestavano in strada per i loro diritti: «Non avevano il diritto di rivendicare ciò che era loro. Dobbiamo tutti sollevarci a vicenda» ribadisce Francesco. «Sollevare i caduti» è infatti il massimo gesto di compassione. E chi abbandona i caduti o, addirittura, se ne prende gioco non è cristiano: «Rialziamo i caduti, sempre, sempre!». Proprio «tutti... buoni o cattivi, con meriti o senza».
Per farlo, però, serve l’amore. Il Papa richiama un altro frammento del viaggio a Timor Leste: la visita nella Casa “Irmãs Alma” di Díli, tra bambini gravemente malati accuditi dalle suore in mezzo a mille difficoltà. «Senza amore tutto questo non si capisce» diceva in quell’occasione. «Se si elimina l’amore come categoria teologica, etica, economica e politica, si perde la strada» aggiunge oggi. Senza amore, infatti, la tendenza è a «sbarazzarsi» di gente fragile. Nell’avida matematica della convenienza e dell’individualismo, prende infatti il sopravvento una qualche forma di «darwinismo sociale» la «legge del più forte» che giustifica prima l’indifferenza, poi la crudeltà e, infine, «lo sterminio». Tutto questo «viene dal Maligno».
Ancora, il Papa esorta a non farsi rubare la memoria storica e richiama l’immagine a lui cara del «poliedro», la famiglia umana e la casa comune, reso splendente dai valori universali maturati dalle radici di ogni popolo. «Ricordiamolo: globale ma non universale» dice. Oggi che si cerca di «standardizzare e sottomettere tutto», bisogna fare attenzione. Attenzione ai «coccodrilli» che si mimetizzano, arrivano a riva «saltando come canguri» e poi mordono.
In ultimo, Papa Bergoglio si sofferma su un tema che lo preoccupa molto: le tante forme di criminalità organizzata che «crescono sulla terra arata dalla miseria e dall’esclusione: traffico di droga, prostituzione minorile, tratta di esseri umani, violenza brutale di quartiere». Bisogna affrontare tale dramma: «So che non siete poliziotti, so che non potete affrontare direttamente le bande criminali» — dice ai Movimenti Popolari —, ma «continuate a combattere l’economia criminale con l’economia popolare. Non mollate... Nessuna persona, soprattutto nessun bambino, può essere una merce nelle mani dei trafficanti di morte, gli stessi che poi riciclano il denaro insanguinato e cenano come rispettabili gentiluomini nei migliori ristoranti».
Non dimentica, il Papa, in questo tragico contesto, la piaga delle scommesse online: «È una dipendenza… Significa mettere le mani nelle tasche delle persone, soprattutto dei lavoratori e dei poveri. Ciò distrugge intere famiglie». Di mezzo ci sono infatti malattie mentali, disperazione, suicidi causati dall’«avere un casinò in ogni casa tramite cellulare». Un appello il Pontefice lo rivolge quindi a imprenditori di informatica e intelligenza artificiale: «Smettetela con l’arroganza di credervi al di sopra della legge». E pure, aggiunge, prevenite la diffusione di odio, violenza, fake news, razzismo, e impedite che le reti siano utilizzate per diffondere pornografia infantile o altri crimini.
A conclusione del suo lungo discorso il Papa rilancia la proposta di un Salario Base Universale affinché, «nessuno sia escluso dai beni primari necessari alla sussistenza». Poi, esprime un auspicio personale: «Come vorrei che le nuove generazioni trovassero un mondo molto migliore di quello che abbiamo ricevuto!». Un mondo, cioè, che non sia insanguinato da guerre e violenze, ferito dalle disuguaglianze, devastato dal saccheggio della natura, da modalità di comunicazione disumanizzate, con poche utopie ed enormi minacce. La realtà racconta il contrario, ma bisogna sempre sperare. «La speranza — assicura il Papa — è la virtù più debole, ma non delude». Mai.
di Salvatore Cernuzio
Piantare la bandiera contro la disumanizzazione
«Piantare la bandiera contro la disumanizzazione» è lo slogan del simposio svoltosi oggi a Roma per commemorare il decennale del primo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari con Papa Francesco avvenuto nell’ottobre 2014. Presso la sede del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, promotore dell’appuntamento insieme con l’Emmp, si sono ritrovati i principali animatori di questo spazio di fratellanza tra organizzazioni di base dei cinque continenti, vera e propria piattaforma che promuove la cultura dell’incontro a favore delle cosiddette “3 T” (tetto, terra e lavoro) con il motto: «Nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro». Dopo l’introduzione — che pubblichiamo a parte — del cardinale gesuita Michael Czerny, prefetto del Dssui, prima del discorso pronunciato da Papa Francesco, hanno preso la parola Anuka Thirimadura, responsabile per l’Asia del movimento La Via Campesina, intervenuta attraverso zoom dallo Sri Lanka sul tema “Terra”. Dopodiché, per “Tetto” è stata la volta di Rose Molokoane, dal Sud Africa sempre in chat online, per Slum Dwellers International, federazione dei poveri delle aree urbane. E infine, nella sala “Van Thuan” di palazzo San Calisto, sul “Trabajo”, ha riferito l’argentino Alejandro Gramajo, dell’Union de Trabajadores y Trabayadoras de la Economia Popular.
Successivamente l’attivista argentino Juan Grabois ha presentato una “road map”, «un programma di trasformazione politico-sociale», frutto degli incontri degli Emmp dal 2014 ad oggi.
Articolato in tre punti, il progetto auspica «un’economia combinata in cui coesistono il settore pubblico, quello privato e quello popolare, guidati dal principio di giustizia sociale», affinché nessun lavoratore sia «senza diritti».
In secondo luogo, si chiede di «affrontare l’integrazione socio-urbana», con «il miglioramento complessivo delle condizioni abitative degli esclusi per realizzare lo slogan “nessuna famiglia senza casa”», considerando però che «le nostre città sono mosaici di culture dove nessuna di esse ha il diritto di colonizzare le altre e di “civilizzarle” con superbia».
L’ultimo punto ricordato da Grabois è «una riforma agraria integrale, il cui obiettivo sia garantire l’accesso sicuro alla terra da parte dei soggetti rurali poveri affinché lo slogan “nessun contadino senza terra” diventi una realtà».