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Dieci anni di “poesia sociale”

 Dieci anni di “poesia sociale”   QUO-213
20 settembre 2024

«Poeti sociali», «seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia»: così, nell’enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco definisce i movimenti popolari. Un legame molto sentito, quello tra il Pontefice e queste reti di gruppi e persone che, attraverso azioni collettive contro le condizioni vigenti, intendono provocare un mutamento sociale: sin dai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires, infatti, Jorge Mario Bergoglio celebrava ogni anno una messa «per una patria senza schiavi, né esclusi».

Salito al Soglio di Pietro, poi, Francesco ha continuato a sostenere i movimenti popolari. Il 28 ottobre 2014, in occasione del loro primo incontro mondiale, li riceve in udienza nell’aula vecchia del Sinodo e pronuncia un discorso che si potrebbe definire “programmatico”, indicando nelle tre T (tierra, techo y trabajo – terra, casa e lavoro) il punto focale dell’azione di tali gruppi che operano in nome della dignità umana, della giustizia sociale, dello sviluppo dei più poveri e degli scartati. Le tre T, afferma il Papa, rappresentano «un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti», «diritti sacri» richiamati anche dalla Dottrina sociale della Chiesa. Di qui, il monito ad affrontare «lo scandalo della povertà» non ricorrendo a «strategie di contenimento che tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi», bensì facendo in modo che essi stessi siano attori del cambiamento, in modo da far soffiare «il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore».

La speranza e il cambiamento sono i temi portanti anche del secondo incontro mondiale dei movimenti popolari che si tiene a luglio del 2015 a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia. In quegli stessi giorni, Francesco è in viaggio apostolico nel Paese e il 9 luglio coglie l’occasione per prendere parte all’evento e ribadire: «Vogliamo un cambiamento nella nostra vita, nei nostri quartieri, nel salario minimo, nella nostra realtà più vicina; e pure un cambiamento che tocchi tutto il mondo perché oggi l’interdipendenza planetaria richiede risposte globali ai problemi locali».

«La globalizzazione della speranza che nasce dai Popoli e cresce tra i poveri — sottolinea con forza Francesco in terra boliviana —, deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza!».

Nel medesimo contesto, il Papa propone alla società «tre grandi compiti che richiedono l’appoggio determinante dell’insieme di tutti i movimenti popolari»: mettere l’economia al servizio dei popoli, unirli nel cammino della pace e della giustizia e difendere la Madre Terra.

L’anno successivo — è il 5 novembre 2016 — il Pontefice torna a rivolgersi, in Vaticano, ai movimenti popolari riuniti per il loro terzo incontro mondiale. Nel suo ampio e articolato intervento, Francesco riserva particolare attenzione al rapporto tra i movimenti e la politica: «Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società — spiega —, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi. Non cadete nella tentazione della casella che vi riduce ad attori secondari o, peggio, a meri amministratori della miseria esistente. In questi tempi di paralisi, disorientamento e proposte distruttive, la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l’aiuto di Dio, i falsi profeti che sfruttano la paura e la disperazione, che vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria». Quindi, fa ancora una volta suo «il grido» delle tre T evidenziandone l’essere «progetto-ponte dei popoli di fronte al progetto-muro del denaro».

Il denaro, o meglio «le ferite che provoca il sistema economico che ha al centro il dio denaro» sono al centro del messaggio che il Vescovo di Roma invia, a febbraio 2017, ai movimenti popolari riuniti a Modesto, in California. Nello specifico, Francesco deplora la «truffa morale» che si vive nella società globalizzata, là dove, «sotto le spoglie del politicamente corretto o le mode ideologiche, si guarda chi soffre senza toccarlo, lo si trasmette in diretta, addirittura si adotta un discorso in apparenza tollerante e pieno di eufemismi, ma non si fa nulla di sistematico per curare le ferite sociali e neppure per affrontare le strutture che lasciano tanti esseri umani per strada». «Questo atteggiamento ipocrita, tanto diverso da quello del samaritano — è il monito del Papa —, manifesta l’assenza di una vera conversione e di un vero impegno con l’umanità».

Arriva il 2020, l’anno della pandemia. In un momento storico così difficile e colmo di paure, Francesco invia una lettera di vicinanza ai movimenti popolari: è il 12 aprile, domenica di Pasqua, e il Papa scrive: «Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento... e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti».

La proposta di un salario minimo, insieme a quella sulla riduzione della giornata lavorativa, tornano anche nel videomessaggio che il Papa invia ai movimenti popolari il 16 ottobre 2021, in occasione del loro quarto incontro mondiale. In un mondo schiacciato ancora dalle gravi conseguenze della pandemia, con «venti milioni di persone in più trascinate a livelli estremi di insicurezza alimentare» — afferma Francesco — è indispensabile lavorare per una società più giusta, solidale e fraterna. «In nome di Dio», poi, il Pontefice chiede per nove volte ai potenti della terra di porsi «al servizio dei popoli che chiedono terra, casa, lavoro», lanciando un accorato appello per la cancellazione del debito dei Paesi poveri, il bando delle armi, la fine delle aggressioni e delle sanzioni e la liberalizzazione dei brevetti perché tutti abbiano accesso al vaccino. «Stiamo accanto ai popoli, ai lavoratori, agli umili e lottiamo insieme a loro affinché lo sviluppo umano integrale sia una realtà — conclude —. Gettiamo ponti di amore perché la voce della periferia, con il suo pianto, ma anche con il suo canto e la sua gioia, non provochi paura ma empatia nel resto della società».

di Isabella Piro