Gioia e allegria segnano l’incontro Med24 - Pellegrini di speranza. Costruttori di pace, in corso a Tirana, in Albania, fino al 21 settembre, promosso dalle Chiese del Mediterraneo. A testimoniarlo è monsignor Arjan Dodaj, arcivescovo di Tiranë-Durrës, che elogia la forza dei 50 partecipanti, «giovani provenienti da diverse situazioni ed esperienze». A loro Papa Francesco aveva rivolto l’invito, in un videomessaggio, ad essere «pellegrini della speranza e seguire i segni di Dio, affinché il Mediterraneo sia un mare di fraternità e pace e non sia più un cimitero».
Eccellenza, il tema di questo incontro è Pellegrini di speranza, che poi è il tema del prossimo Giubileo. Come si può diventare pellegrini di speranza nei Paesi del Mediterraneo?
Proprio tenendo conto delle esperienze del Giubileo che ci stiamo apprestando a vivere, abbiamo voluto proporre questo tema “Pellegrini di speranza”, ma speranza di che cosa? Speranza che la pace è possibile e si può costruire, specialmente nel cuore di coloro che sono liberi da pregiudizi e da realtà che tante volte hanno condizionato questa realtà di pace. E sono soprattutto, i giovani. La loro generazione è quella che veramente potrà costruire la pace. Il Papa proprio a loro affida questa staffetta e missione cioè di trasformare il Mediterraneo, così come ha detto anche nel videomessaggio che abbiamo ascoltato, in un giardino e non più in un cimitero.
È questo uno dei temi nevralgici dell’evento. L’Albania è parte della rotta balcanica, attraversata ogni anno da tanti migranti. Come si possono aiutare queste persone a sentirsi accolte? Come si può non far morire le loro speranze in un futuro migliore?
È molto importante questa tematica. Infatti Papa Francesco nel video messaggio ha detto: imparate insieme, proprio insieme dalle vostre diverse esperienze, a leggere i segni dei tempi. Ecco, io credo che anche questa realtà della rotta balcanica, specialmente quella parte che attraversa l’Albania, sia proprio un segno dei tempi. Gli albanesi hanno il dono dell’ospitalità e c’è un detto popolare che dice: “La casa è di Dio e dell’ospite”. Infatti tante volte la rotta balcanica che passa attraverso l’Albania non fa clamore. Perché in questa grande accoglienza e accompagnamento, i migranti vengono sostenuti dalle nostre realtà, dalle strutture, sia della Chiesa cattolica che della Caritas. Abbiamo dei luoghi di accompagnamento e di accoglienza dove loro possono riprendere un po’ le energie, e dove vengono sostenuti ed aiutati. Questo, io credo, può essere un segno anche in tutto il Mediterraneo, perché il bene che c’è nel cuore degli uomini di buona volontà si possa in qualche modo unire così come sono aggregati questi giovani.
Uno degli scopi di questo incontro è quello di unire giovani di Paesi diversi affinché si parli di pace. Eccellenza, perché oggi è diventato anche così difficile parlarne?
Noi sappiamo, e lo diceva il Papa Benedetto xvi nella prima omelia, che aumentano i deserti esteriori perché purtroppo crescono quelli interiori. L’uomo ha bisogno innanzitutto di far fiorire la sua anima, e il suo rapporto con Dio. Il Mediterraneo ha bisogno allora di recuperare ciò che lo ha reso importante. Il Mediterraneo non è solo una porta, che viene attraversata da diverse storie, situazioni o realtà, culture che caratterizzano questo luogo, ma è innanzitutto la porta dove la fede dei popoli che credono, i figli di Abramo, si è rivelata in tutta la storia della salvezza e per cui Dio ha voluto farsi incontro anche nel nostro mondo attraverso il Mediterraneo. Abbiamo bisogno di leggere i segni dei tempi che caratterizzano anche oggi il Mediterraneo dove la voce di Dio e la voce della coscienza si incontrano. È in questo dialogo tra gli uomini, gli uni con gli altri, e tra gli uomini con Dio, solo ed unicamente in questo dialogo, che si recupera la pace, perché grazie a Dio, grazie a questo rapporto con Lui, si recupera la dignità umana, quella che purtroppo si è persa e che si calpesta in ogni guerra e in ogni conflitto.
Questo incontro, come anche tutti gli altri incontri del Mediterraneo, sono ispirati alla figura di Giorgio La Pira. Cosa rimane dei suoi insegnamenti secondo lei?
Proprio nella sua semplicità c’è la grande forza di essere uomo di pace, il saper creare la possibilità che le diverse culture e situazioni, anche nel contesto che lui stesso ha vissuto, potessero trovare luoghi di dialogo. Io credo che i nostri giovani abbiano la possibilità di attraversare le esperienze della storia, attraverso queste grandi figure, perché diventino, a loro volta, portatori di pace, ognuno nel proprio contesto sociale, culturale o nazionale e diventino dei nuovi Giorgio la Pira, cioè uomini di pace.
Cosa si augura che questi giovani portino a casa da queste giornate così intense?
Innanzitutto sono molto felice che questi nostri fratelli più giovani si trovino nella nostra casa. In questi giorni abbiamo desiderato la loro partecipazione a quell’esperienza dei laboratori di pace. L’Albania è un vero tesoro, credo anche per l’Occidente, per il Mediterraneo, che porta la perla del dialogo interreligioso. Papa Francesco nella sua prima visita di dieci anni fa qui in Albania, in una domanda che gli fecero, rispose: «Lì non c’è la tolleranza religiosa, lì c’è la fratellanza. Loro si vogliono bene». Proprio in questi giorni ricorrono i dieci anni: Papa Francesco venne qui il 21 settembre del 2014. Possiamo dire che in questi anni è cresciuta ancora di più nei giovani questa consapevolezza di essere portatori di questa armonia. Vorremmo che quello che viviamo divenisse un’esperienza di laboratorio per tutti i fratelli e sorelle che sono venuti in questi giorni e sembra proprio che tutto questo li stia contagiando.
di Marina Tomarro