· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-212
19 settembre 2024

Martedì 17

«Quanti
sperano
nel Signore
camminano
senza
stancarsi»

L’anno scorso abbiamo cominciato a percorrere la via della speranza verso il Giubileo riflettendo sull’espressione paolina «Lieti nella speranza». Per prepararci al pellegrinaggio giubilare del 2025, quest’anno ci lasciamo ispirare dal profeta Isaia, che afferma: «Quanti sperano nel Signore camminano senza stancarsi».

Questa espressione è tratta dal cosiddetto Libro della consolazione (Is 40-55), nel quale viene annunciata la fine dell’esilio di Israele in Babilonia e l’inizio di una nuova fase di speranza e di rinascita per il popolo di Dio, che può ritornare in patria grazie a una nuova “via” che il Signore apre.

Anche noi, oggi, viviamo tempi segnati da situazioni drammatiche, che generano disperazione e impediscono di guardare al futuro con animo sereno: la tragedia della guerra, le ingiustizie sociali, le disuguaglianze, la fame, lo sfruttamento dell’essere umano e del creato.

Spesso a pagare il prezzo più alto siete voi giovani, che avvertite l’incertezza del futuro e non intravedete sbocchi certi per i vostri sogni, rischiando di vivere senza speranza, prigionieri della noia e della malinconia, talvolta trascinati nell’illusione della trasgressione e di realtà distruttive.

Per questo vorrei che anche a voi giungesse l’annuncio di speranza: il Signore apre davanti a voi una strada e vi invita a percorrerla con gioia e speranza.

Pellegrinaggio
della vita
e le sue sfide

Isaia profetizza un “camminare senza stancarsi”. Riflettiamo su questi due aspetti: il camminare e la stanchezza.

La nostra vita è un viaggio che ci spinge oltre noi stessi, un cammino alla ricerca della felicità; e la vita cristiana, in particolare, è un pellegrinaggio verso Dio.

I traguardi, le conquiste e i successi lungo il percorso, se rimangono solo materiali, dopo un primo momento di soddisfazione ci lasciano ancora affamati, desiderosi di un senso più profondo; infatti in noi abita la continua inquietudine verso il compimento delle aspirazioni più grandi, verso un “di più”.

Per questo “guardare la vita dal balcone” non può bastare. Tuttavia, è normale che, pur iniziando i nostri percorsi con entusiasmo, prima o poi cominciamo ad avvertire la stanchezza.

In alcuni casi a provocare ansia e fatica interiore sono le pressioni sociali, che spingono a raggiungere standard di successo negli studi, nel lavoro, nella vita personale.

Questo produce tristezza, mentre viviamo nell’affanno di un vuoto attivismo che ci porta a riempire le giornate di mille cose e, nonostante ciò, ad avere l’impressione di non riuscire a fare mai abbastanza e di non essere mai all’altezza.

A questa stanchezza si unisce spesso la noia... quello stato di apatia e insoddisfazione di chi non si mette in cammino, non si decide, non sceglie, non rischia mai, e preferisce rimanere nella propria comfort zone, chiuso in sé stesso, vedendo e giudicando il mondo da dietro uno schermo, senza mai “sporcarsi le mani” con i problemi, con gli altri, con la vita.

Questo tipo di stanchezza è come un cemento nel quale sono immersi i nostri piedi, che alla fine si indurisce, appesantisce, paralizza e impedisce di andare avanti.

Preferisco la stanchezza di chi è in cammino che la noia di chi rimane fermo e senza voglia di camminare!

La soluzione alla stanchezza, paradossalmente, non è restare fermi per riposare. È piuttosto mettersi in cammino. Questo è il mio invito: camminate nella speranza!

[Essa] vince ogni stanchezza, ogni crisi e ogni ansia, dando una motivazione forte per andare avanti, perché è un dono che riceviamo da Dio.

L’apostolo Paolo ha utilizzato l’immagine dell’atleta nello stadio che corre per ricevere il premio della vittoria.

Chi di voi ha partecipato a una gara sportiva conosce bene la forza interiore che serve per raggiungere il traguardo.

La speranza è proprio una forza nuova, che Dio infonde in noi, che ci permette di perseverare nella corsa, che ci fa avere uno “sguardo lungo” oltre le difficoltà del presente e indirizza verso una mèta certa.

Se c’è un traguardo bello, se la vita non va verso il nulla, se niente di quanto sogno, progetto e realizzo andrà perduto, vale la pena camminare e sudare, sopportare gli ostacoli e affrontare la stanchezza, perché la ricompensa finale è meravigliosa!

Pellegrini
nel deserto

Nel pellegrinaggio ci saranno inevitabilmente sfide da affrontare. Anticamente, nei pellegrinaggi più lunghi, si doveva affrontare il cambiamento delle stagioni e il mutare del clima; attraversare piacevoli prati e freschi boschi, ma anche monti innevati e torridi deserti.

Quindi, anche per chi è credente, il pellegrinaggio e il cammino verso una mèta lontana rimangono faticosi, come lo fu per il popolo d’Israele il viaggio nel deserto verso la Terra promessa.

Anche per chi ha ricevuto il dono della fede, ci sono stati momenti felici in cui Dio è stato presente e lo avete sentito vicino, e altri in cui avete sperimentato il deserto.

Può succedere che all’entusiasmo iniziale nello studio o nel lavoro oppure allo slancio di seguire Cristo — nel matrimonio, nel sacerdozio o nella vita consacrata — seguano crisi che fanno sembrare la vita come un difficile cammino nel deserto.

Però non sono tempi persi o inutili, ma possono rivelarsi occasioni di crescita.

Sono i momenti di purificazione della speranza!

Nelle crisi, infatti, vengono meno tante false “speranze”, quelle troppo piccole vengono smascherate e restiamo nudi con noi stessi e con le domande fondamentali della vita, oltre ogni illusione.

In quel momento, ciascuno può chiedersi: su quali speranze appoggio la mia vita? Sono vere o sono illusioni?

In questi momenti, il Signore non ci abbandona; si fa vicino con la sua paternità e ci dona sempre il pane che rinvigorisce le nostre forze e ci rimette in cammino.

Ricordiamo che al popolo nel deserto diede la manna e al profeta Elia, stanco e scoraggiato, per due volte offrì una focaccia e acqua perché potesse camminare.

In queste storie bibliche, la fede della Chiesa ha visto delle prefigurazioni del dono prezioso dell’Eucaristia.

Come diceva il beato Carlo Acutis, [essa] è l’autostrada per il cielo. Un giovane che ha fatto dell’Eucaristia il suo appuntamento quotidiano più importante!

Nei momenti inevitabili di fatica del nostro pellegrinaggio in questo mondo, impariamo a riposare come Gesù e in Gesù.

C’è un riposo più profondo, [quello] dell’anima, che molti cercano e pochi trovano. Sappiate che tutte le stanchezze interiori possono trovare sollievo nel Signore.

Quando la stanchezza vi appesantisce, tornate a Gesù, imparate a riposare in Lui e a rimanere in Lui.

Da turisti
a pellegrini

L’invito che vi rivolgo è quello di mettervi in cammino, alla scoperta della vita, sulle tracce dell’amore, alla ricerca del volto di Dio. Ma mettetevi in viaggio non da meri turisti, ma da pellegrini.

Il vostro camminare non sia semplicemente un passare per i luoghi della vita in modo superficiale, senza cogliere la bellezza di ciò che incontrate, senza scoprire il senso delle strade percorse, catturando brevi momenti, esperienze fugaci da fissare in un selfie.

Il turista fa così. Il pellegrino invece si immerge con tutto sé stesso nei luoghi che incontra, li fa parlare, li fa diventare parte della sua ricerca di felicità.

Il pellegrinaggio giubilare vuole diventare il segno del viaggio interiore che tutti siamo chiamati a compiere, per giungere alla mèta finale.

Con questi atteggiamenti, ci prepariamo al Giubileo. Spero che per molti sarà possibile venire a Roma per varcare le Porte Sante.

Per tutti, in ogni caso, ci sarà la possibilità di compiere questo pellegrinaggio anche nelle Chiese particolari, alla riscoperta dei santuari locali che custodiscono la fede e la pietà del santo e fedele popolo di Dio.

Vi esorto a tre atteggiamenti fondamentali: il ringraziamento, perché il vostro cuore si apra alla lode per i doni ricevuti, primo fra tutti il dono della vita; la ricerca, perché il cammino esprima il desiderio costante di cercare il Signore e di non spegnere la sete del cuore; e il pentimento, che aiuta a guardare dentro, a riconoscere le strade e le scelte sbagliate e, così, poterci convertire al Signore e al Vangelo.

Pellegrini
di speranza
per la missione

Vi lascio un’immagine. Arrivando alla Basilica di San Pietro, si attraversa la piazza circondata dal colonnato realizzato dal grande architetto e scultore Gian Lorenzo Bernini.

[Esso] appare come un grande abbraccio: sono le due braccia aperte della Chiesa, nostra madre, che accoglie tutti i suoi figli! In questo prossimo Anno Santo della Speranza, invito tutti a sperimentare l’abbraccio di Dio misericordioso, il suo perdono, la remissione di tutti i “debiti interiori”, come era tradizione nei giubilei biblici.

E così, accolti da Dio e rinati in Lui, diventate anche voi braccia aperte per tanti amici e coetanei che hanno bisogno di sentire, attraverso la vostra accoglienza, l’amore di Dio Padre.

Mentre camminiamo, alziamo lo sguardo verso i santi che ci hanno preceduto e ci danno la loro incoraggiante testimonianza. L’esempio dei santi e delle sante ci trascina e sostiene. Coraggio!

Vi porto tutti nel cuore e affido il cammino di ognuno di voi alla Vergine, affinché sul suo esempio sappiate attendere con pazienza e fiducia ciò che sperate, restando in cammino come pellegrini di speranza e di amore.

(Messaggio per la xxxix Giornata mondiale
della gioventù)

Sulle sponde
del
Mediterraneo
si costruisca
la fraternità

È per me una gioia sapervi riuniti a Tirana, dieci anni dopo la mia visita nel vostro Paese nel 2014. Non mi dimentico... il vostro popolo, un popolo dai molteplici volti ma unito dal coraggio.

Come dicevo allora ai giovani, «voi siete la nuova generazione dell’Albania».

Aggiungo oggi, cari giovani delle cinque sponde del Mediterraneo: voi siete l’avvenire della regione mediterranea.

Tutti siamo pellegrini della speranza, camminando alla ricerca della verità e vivendo la nostra fede costruendo la pace.

La pace va costruita! Dio ama tutti gli uomini e non fa distinzione tra noi.

La fraternità tra le cinque sponde del Mediterraneo che state costruendo è la risposta migliore ai conflitti e alle indifferenze che uccidono.

Imparate insieme a leggere i segni dei tempi. Contemplate la diversità delle vostre tradizioni come una ricchezza.

L’unità non è uniformità, e la diversità delle identità culturali e religiose è un dono. Crescete nella stima reciproca, come testimoniano i vostri antenati.

Mettete al centro la voce di coloro che non sono ascoltati: i più poveri, che soffrono l’essere considerati come un peso o un fastidio; [e] coloro che, spesso molto giovani, devono lasciare il loro Paese per un avvenire migliore.

Prendetevi cura di ciascuno. Non si tratta di numeri ma di persone, e ogni persona è sacra; si tratta di volti, la cui dignità deve essere promossa e protetta.

Rinunciamo alla cultura della paura per aprire la porta dell’accoglienza e dell’amicizia.

Come un grande lago di Tiberiade affidato alle vostre cure, abitate le rive di questo grande bacino, che vi unisce: il Mediterraneo vi unisce come un bel giardino da coltivare.

Sappiate camminare sulle orme dei martiri. Il loro coraggio è una testimonianza viva che può ispirare il vostro impegno nel resistere a tutte le violenze che sfigurano la nostra umanità, come fece a soli ventidue anni la beata Maria Tuci.

Imparate a essere infaticabili pellegrini della speranza e a seguire i segni di Dio, affinché il Mediterraneo ritrovi il suo volto più bello: quello della fraternità e della pace. E che non sia più un cimitero.

(Videomessaggio ai partecipanti
all’Incontro Med24 svoltosi a Tirana, Albania)

Mercoledì 18

Il “soffio
di primavera”
della Chiesa
missionaria
ai confini
del mondo

È stato Paolo vi , nel 1970, il primo Papa a volare incontro al sole nascente, visitando Filippine e Australia ma sostando anche in Paesi asiatici e nelle Isole Samoa. Il primo a uscire dal Vaticano è stato Giovanni xxiii che è andato in treno ad Assisi; poi Paolo vi ha fatto questo viaggio memorabile! Anche in questo ho cercato di seguire il suo esempio, ma, con addosso qualche anno più di lui, mi sono limitato a quattro Paesi: Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Orientale e Singapore.

Ringrazio il Signore, che mi ha concesso di fare da vecchio Papa quello che avrei voluto fare da giovane gesuita, perché io volevo andare in missione lì!

Nel pensare alla Chiesa siamo ancora troppo eurocentrici o “occidentali”.

Ma in realtà, la Chiesa è molto più grande di Roma e dell’Europa e — mi permetto di dire — molto più viva in quei Paesi.

L’ho sperimentato incontrando quelle Comunità, ascoltando le testimonianze di preti, suore, laici, specialmente catechisti — coloro che portano avanti l’evangelizzazione —. Chiese che non fanno proselitismo, ma crescono per “attrazione”, come diceva saggiamente Benedetto xvi .

In Indonesia, i cristiani sono circa il 10%, e i cattolici il 3%, una minoranza. Ma ho incontrato una Chiesa vivace, dinamica, capace di vivere e trasmettere il Vangelo in quel Paese che ha una cultura molto nobile, portata ad armonizzare le diversità, e nello stesso tempo conta la più numerosa presenza di musulmani al mondo.

In quel contesto, ho avuto conferma di come la compassione sia la strada su cui i cristiani possono e devono camminare per testimoniare Cristo e nello stesso tempo incontrare le grandi tradizioni religiose e culturali.

Se un cristiano non ha compassione, non serve a niente. “Fede, fraternità, compassione” è stato il motto della visita in Indonesia: su queste parole il Vangelo entra ogni giorno, nel concreto, nella vita di quel popolo.

Queste parole sono come un ponte, come il sottopassaggio che collega la Cattedrale di Giacarta alla più grande Moschea dell’Asia. Lì ho visto che la fraternità è il futuro, è la risposta all’anti-civiltà, alle trame diaboliche dell’odio e della guerra, anche del settarismo. C’è la fratellanza.

La bellezza di una Chiesa missionaria, in uscita, l’ho ritrovata in Papua Nuova Guinea, arcipelago proteso verso l’immensità dell’Oceano Pacifico.

Là i diversi gruppi etnici parlano più di ottocento lingue: un ambiente ideale per lo Spirito, che ama far risuonare il messaggio dell’Amore nella sin-fonia dei linguaggi.

Non è uniformità, è sinfonia, è armonia, Lui è il “patrono” dell’armonia. Là, in modo particolare, i protagonisti sono stati e sono tuttora i missionari e i catechisti.

Mi ha rallegrato il cuore stare un po’ con i missionari e i catechisti di oggi; e mi ha commosso ascoltare i canti e le musiche dei giovani: in loro ho visto un nuovo futuro, senza violenze tribali, senza dipendenze, senza colonialismi ideologici ed economici; un futuro di fraternità e di cura del meraviglioso ambiente naturale.

Papua Nuova Guinea può essere un “laboratorio” di questo modello di sviluppo integrale, animato dal “lievito” del Vangelo. Perché non c’è nuova umanità senza uomini nuovi e donne nuove, e questi li fa solo il Signore.

E vorrei anche menzionare la mia visita a Vanimo, dove i missionari sono tra la foresta e il mare. Entrano nella foresta per andare a cercare le tribù più nascoste.

La forza di promozione umana e sociale del messaggio cristiano risalta in particolare nella storia di Timor Orientale.

Lì la Chiesa ha condiviso con tutto il popolo il processo di indipendenza, orientandolo alla pace e alla riconciliazione.

Non si tratta di una ideologizzazione della fede; è la fede che si fa cultura e nello stesso tempo la illumina, la purifica, la eleva.

Per questo ho rilanciato il rapporto fecondo tra fede e cultura, su cui già aveva puntato nella sua visita Giovanni Paolo ii . La fede va inculturata e le culture vanno evangelizzate.

Soprattutto sono stato colpito dalla bellezza di quel popolo: un popolo provato ma gioioso, saggio nella sofferenza.

Un popolo che non solo genera tanti bambini — c’era un mare di bambini! —, ma insegna loro a sorridere.

Non dimenticherò mai il sorriso dei bambini di quella patria, di quella regione. Sorridono sempre i bambini lì, e ce ne sono tanti. E questo è garanzia di futuro.

Insomma, a Timor Orientale ho visto la giovinezza della Chiesa: famiglie, bambini, giovani, tanti seminaristi e aspiranti alla vita consacrata. Vorrei dire ho respirato “aria di primavera”!

Ultima tappa è stata Singapore. Un Paese molto diverso dagli altri tre: una città-Stato, modernissima, polo economico e finanziario dell’Asia e non solo.

Lì i cristiani sono una minoranza, ma formano comunque una Chiesa viva, impegnata a generare armonia e fraternità tra le diverse etnie, culture e religioni.

Anche nella ricca Singapore ci sono i “piccoli”, che seguono il Vangelo e diventano sale e luce, testimoni di una speranza più grande di quella che possono garantire i guadagni economici.

Vorrei ringraziare questi popoli che mi hanno accolto con tanto calore, con tanto amore. Ringraziare i loro Governanti, che hanno aiutato tanto questa visita, perché si facesse con ordine, senza problemi.

Per i malati
di Alzheimer

Sabato 21 settembre si celebra la Giornata Mondiale dell’Alzheimer. Preghiamo affinché la scienza medica possa offrire presto prospettive di cura per questa malattia e si attivino opportuni interventi a sostegno dei malati e delle loro famiglie.

Saluto
agli studenti

All’inizio di un nuovo anno scolastico invito i giovani a vivere l’impegno dello studio come opportunità di sviluppo dei talenti.

(Udienza generale in piazza San Pietro)