Le fate esistono. Ne abbiamo conosciuta una, a Firenze, in una torrida giornata d’agosto. Si chiama Caterina Bellandi, nome d’arte Zia Caterina, e indossa un variopinto abito di raso, un ampio mantello e un grande cappello di paglia ornato di fiori sgargianti, da cui fuoriescono lunghi capelli biondi. Zia Caterina è nota in Italia e non solo per la sua opera di assistenza ai bambini malati di tumore.
“Supereroi”, li chiama lei, piccoli uomini e piccole donne che affrontano qualcosa di molto più grande di loro ma che non smettono di sognare. Zia Caterina li aiuta a esprimere i loro sogni e, ogni volta che può, li realizza. Il suo strumento di lavoro è un taxi, uno vero, regolare, che nell’aspetto, però, di regolare non ha niente. Il veicolo, giallo e bianco, con gli occhioni e i baffi, ha le tendine rosse a pois bianchi ai finestrini ed è tappezzato di bellissimi e coloratissimi disegni, opera di Karin, la mamma di una “supereroina”, fortunatamente guarita.
I bimbi sono disegnati sotto forma di animaletti che, in qualche modo, li rappresentano. Chicco voleva essere un cavallino, Sole amava i topolini, Ivy è una farfalla, Elya, un pesce, Geyd, una giraffa. Alcuni di loro sono “nati in cielo”, come dice la Zia, un’espressione che fa pensare a qualcuno che è ancora vivo e che prosegue la sua esistenza in un luogo altro, dove regnano gioia e pace.
Per capire bene l’attività della fantasiosa donna, occorre passare una giornata con lei, sul suo caleidoscopico taxi, pieno di giochi e giocattoli: peluche, bambole, palle, occhiali di ogni forma e colore, libriccini, animaletti di gomma, piccoli strumenti musicali, foto, una delle quali, la più grande, la vede insieme a Papa Francesco.
Oggi, a bordo, c’è Carlo (nome di fantasia), 9 anni, emiliano. Il bambino ha un tumore al cervello e all’ospedale pediatrico Meyer, dove è stato appena visitato, gli hanno comunicato che, a settembre, dovrà cominciare la chemioterapia. Insieme a lui ci sono la mamma e la nonna. Carlo è bellissimo. Ha un viso delicato, i capelli chiari e lunghi, legati in parte con un laccetto, ed è molto vivace. Canta, parla e si muove, divertito, da un finestrino all’altro per distribuire palloncini ai bambini che passano, suscitando meraviglia e allegria.
Zia Caterina guida tranquilla per le strade larghe e strette della città, con la musica a palla e il clacson sempre pronto a farsi sentire. Le persone, di fronte a quell’apparizione fantastica, si fermano stupite, fotografano, salutano, applaudono. Chi la conosce, grida: “Sei grande!”, “Sei un mito!”. Caterina, che ha avuto molti riconoscimenti tra cui, nel 2023, il titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, sorride, ma basta guardare più a fondo nei suoi begli occhi verdi per scorgere un velo di tristezza.
Nel 2001, il suo compagno, Stefano, è morto prematuramente, lasciandole in eredità il suo taxi, “Milano 25”. Piano, piano, attraverso una serie di eventi “casuali”, è cominciata la trasformazione: lei è diventata un personaggio fiabesco, la macchina, una straordinaria scatola magica con le ruote, che trasporta, gratuitamente, persone speciali all’ospedale.
In questi oltre venti anni, Zia Caterina, nel suo tempo libero, ha accompagnato centinaia di bambini, e non solo, mettendosi a loro completa disposizione. Come ha fatto con Carlo, che, stamattina, ha portato al Meyer, dove è rimasta per tutto il tempo della visita, e che, dopo l’insolito giro turistico, riaccompagnerà alla stazione. Una trasfusione di amore e di energia che lei dispensa senza limiti, anche quando sta poco bene, come è successo negli ultimi mesi. «Faccio questo perché mi rigenera, mi riempie di emozioni», dice, facendo tintinnare i campanellini legati ai polsi.
Tanti non ce la fanno, tanti altri, per fortuna, ritornano alla loro vita di sempre, e il distacco è, ogni volta, difficile. «Tutti i viaggi hanno un termine. Durante il percorso, mi innamoro dei miei bambini e dei genitori, condivido con loro momenti importanti e sogni. Il distacco fa male, ma è giusto così. Quello che conta è che abbiamo fatto un tratto di strada insieme e che siamo stati bene».
di Marina Piccone