· Città del Vaticano ·

L’omelia dell’arcivescovo Gallagher a Vienna

Un mondo migliore
è possibile

 Un mondo migliore è  possibile   QUO-210
17 settembre 2024

«Costruire un mondo in cui la logica del potere, del dominio e dello sfruttamento venga superata da un approccio veramente umano» basato su rispetto reciproco, solidarietà, verità, perdono, compassione e buona fede tra le nazioni. È l’invito dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, nella messa presieduta domenica 15 settembre nella chiesa di “Maria Am Gestade” a Vienna. Il presule si trova nella capitale austriaca fino ad oggi, martedì 17, per prendere parte alla 68ª sessione della Conferenza generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea).

Prendendo spunto dalla Lettera di san Giacomo in cui l’apostolo afferma che «la fede cristiana significa ben poco se non è accompagnata da azioni concrete che manifestano questa convinzione in modo pratico e umano», l’arcivescovo all’omelia si è riallacciato agli appelli di Papa Francesco — ripetuto anche di recente durante il viaggio apostolico in Asia e Oceania — a raggiungere quanti si trovano nelle periferie.

Il Pontefice, ha spiegato monsignor Gallagher, «parla delle periferie in due modi»: geograficamente, come luoghi ignorati o marginalizzati sulla scena politica ed economica, dove gli attori globali più predominanti “ricchi” tendono a dimenticare i “poveri”, e da questo punto di vista come “famiglia di nazioni” «dobbiamo cercare di esercitare una maggiore solidarietà con chi è ai margini».

L’altra accezione di periferia è invece esistenziale, laddove il Papa sollecita «a riconoscere il valore inviolabile di ogni persona, indipendentemente da razza, etnia, lingua o credo religioso, e a trattarla con dignità e rispetto, perché ogni persona è creata a immagine e somiglianza di Dio».

In tale scenario si colloca il superamento della cultura dell’usa e getta, da sostituire con una “cultura della cura”: così il Santo Padre sfida ad «andare personalmente nelle “periferie esistenziali” in cui troppe persone si trovano e ad assistere chi ha bisogno di conquistare un senso più profondo nella propria vita», ha spiegato il celebrante.

Un appello, questo, che suscita «la necessità di essere fermi e chiari nella convinzione che sia possibile avere un mondo migliore», che si ottiene con i fatti, «mettendo in pratica i nostri valori». Se infatti, i cristiani credono che la fonte fondamentale della speranza si trovi in Gesù, è importante avere presente, ha continuato il presule citando la prima lettura, che Isaia ritrae il Cristo come «servo sofferente, l’unico che ha vinto la morte e restituito la vita, porta la giustizia e la pace prendendo su di sé i peccati e le disfunzioni del mondo intero».

Da qui il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali ha delineato un parallelismo con l’attività diplomatica: «Non siamo i salvatori del mondo, tuttavia siamo chiamati a sopportare la fatica di negoziati lunghi e spesso frustranti e a trovare compromessi per le impegnative questioni politiche e diplomatiche che affrontiamo ogni giorno».

Soprattutto in un’epoca in cui «le armi e la potenza militare sono preferite alla diplomazia — ha concluso — dobbiamo impegnarci a usare gli strumenti del dialogo, della pazienza, della convinzione e della perseveranza per raggiungere l’obiettivo che tutti noi desideriamo: la coesistenza pacifica della famiglia umana e lo sviluppo integrale di ogni persona».