Oggi ricorre l’85° anniversario dell’aggressione dell’Unione Sovietica alla Polonia, che dal 1° settembre 1939 era impegnata in una lotta impari contro l’aggressione della Germania nazista. Il 28 settembre, mentre i combattimenti erano ancora in corso, i due Paesi firmarono il Trattato di confine e di amicizia tedesco-sovietico, un accordo che suggellava la spartizione dell’intero territorio polacco. La sconfitta militare della Polonia, tuttavia, non pose fine alla sua esistenza come Stato, anche se gli aggressori dichiararono la fine della sua esistenza. Mentre era in corso il conflitto mondiale, fu istituito un governo polacco in esilio, che assicurava una continuità costituzionale.
Il nuovo governo — guidato dal primo ministro, il generale Władysław Sikorski —, residente inizialmente in Francia e, dopo la sua invasione, in Gran Bretagna, fu riconosciuto da tutti i Paesi del mondo (compresa la Santa Sede), a eccezione, ovviamente, degli alleati della Germania. In esilio si formarono unità subordinate dell’esercito polacco (comprese la marina e l’aviazione) che parteciparono a battaglie in Africa e in Europa occidentale.
La perdita dell’indipendenza e i crimini di guerra che venivano commessi da entrambi gli aggressori provocarono una spontanea resistenza degli abitanti della Polonia, che portò alla creazione, poco dopo la cessazione delle operazioni militari sul suolo polacco, di diverse centinaia di organizzazioni militari e politiche clandestine. Il comandante in capo delle Forze armate polacche, il generale Sikorski, decise di istituire l’Unione per la lotta armata (Związek Walki Zbrojnej), trasformata nel 1942 nell’Armata nazionale (Armia Krajowa - AK). Si trattava di una parte dell’esercito polacco operante nel Paese occupato. Alla fine del 1940 si era cristallizzato un sistema di autorità politiche clandestine, con a capo il delegato di governo per la Polonia e l’apparato amministrativo civile ad esso subordinato, che copriva sostanzialmente tutto il territorio della Polonia occupata. Anche i principali partiti politici polacchi operarono in clandestinità, formando un organo consultivo per le autorità cospirative sotto forma di Comitato politico consultivo, trasformato nel 1944 in Consiglio dell’unità nazionale. Venne così istituito lo Stato segreto polacco, con tutti gli attributi di uno Stato indipendente: autorità civili, esercito e apparato giudiziario.
La resistenza agli occupanti si svolse in condizioni molto difficili a causa della repressione operata da entrambi gli aggressori. Alla base della politica degli invasori vi era principalmente l’obiettivo di liquidare lo Stato polacco e tutte le sue strutture. I territori soggetti all’occupazione tedesca, che coprivano circa il 48 per cento della Polonia prebellica, furono divisi in due parti. Una parte, che comprendeva le regioni della Pomerania, Slesia, Grande Polonia, il territorio di Łódź e una parte della Masovia (circa 94.000 chilometri quadrati), venne incorporata direttamente nella Germania, mentre con le restanti terre polacche (circa 95.000 chilometri quadrati) venne creato un Governatorato generale sotto l’autorità tedesca, con capitale a Cracovia. Il suo capo era il ministro della Giustizia del Terzo Reich, Hans Frank.
Le terre incorporate nel Reich furono sottoposte a un’intensa germanizzazione. Vennero assassinati i rappresentanti delle élites polacche e fu attuata una brutale deportazione dei polacchi di altre parti del Paese verso il Governatorato generale. La repressione riguardava anche l’amministrazione ecclesiastica nelle terre incorporate nel Reich: i vescovi polacchi furono rimossi, i conventi furono chiusi, le organizzazioni cattoliche polacche furono vietate, un gran numero di chiese (1720) fu chiuso, alcune (240) furono distrutte e in quelle rimanenti le sante messe venivano celebrate in tedesco. Il clero cattolico polacco fu oggetto di persecuzioni, in quanto considerato importante punto di riferimento per le aspirazioni indipendentiste polacche.
Molti sacerdoti e monaci furono uccisi e un numero significativo di ecclesiastici provenienti dalle terre incorporate nel Reich fu inviato nei campi di concentramento. Così, durante la guerra, fu assassinato il 49 per cento dei sacerdoti della diocesi di Włocławek, il 47 per cento della diocesi di Chełmno, il 36 per cento dell’arcidiocesi di Gniezno. Sei vescovi furono inviati nei campi di concentramento, cinque dei quali morirono. Nel 1999, 108 sacerdoti polacchi uccisi durante la guerra sono stati beatificati da Giovanni Paolo ii , considerati martiri della fede.
Il Governatorato generale, gestito dall’amministrazione tedesca, a cui erano subordinati i funzionari polacchi, fu sottoposto a un intenso sfruttamento economico: l’industria, le comunicazioni e l’agricoltura furono subordinate alle autorità tedesche e lavorarono a beneficio dell’economia del Reich. Fu introdotto il razionamento alimentare, stabilendo razioni alimentari da fame. Dal 1940 iniziò il processo di deportazione degli abitanti in grado di lavorare dal Governatorato generale ai lavori forzati in Germania, che coinvolse quasi tre milioni di persone. Il terrore tedesco nel Governatorato generale si manifestò fin dall’inizio dell’occupazione e la sua espressione più conosciuta fu il sistematico assassinio degli intellettuali polacchi iniziato a metà del 1940, le cui vittime furono decine di migliaia di rappresentanti delle élites polacche: politici, attivisti sociali, culturali ed economici. Per sterminare e intimidire sistematicamente gli abitanti del Governatorato generale, a partire dalla primavera del 1940, fu gradualmente creata una rete di campi di concentramento in territorio polacco, tra cui Auschwitz e Majdanek.
L’obiettivo della politica tedesca nei confronti dei polacchi era quello di creare sulle terre etnicamente polacche una base di forza lavoro per la Germania. Non c’era quindi bisogno di provvedere all’istruzione dei polacchi al di sopra del livello primario e professionale: tutte le università e le scuole secondarie furono chiuse. La risposta a questa situazione fu l’istruzione clandestina, inizialmente organizzata dal basso e poi coordinata dalla Delegazione governativa, sia a livello primario che secondario e superiore. In clandestinità erano attive tutte le università e tutti i politecnici polacchi.
Oltre alle azioni contro la popolazione polacca, fin dall’inizio dell’occupazione delle terre polacche, i tedeschi iniziarono a discriminare la popolazione ebraica, persecuzione che si manifestava con un graduale confinamento della comunità ebraica nei ghetti, la privazione della proprietà e il lavoro forzato per il Reich. Alla fine del 1941, quando le autorità tedesche decisero di sterminare gli ebrei nell’Europa occupata, le terre polacche divennero l’arena dello sterminio di massa della popolazione ebraica sia polacca che dell’Europa occidentale. La resistenza degli ebrei, che venivano sistematicamente sterminati, si manifestò con rivolte armate in alcuni ghetti, la più grande e famosa delle quali fu la Rivolta del ghetto di Varsavia (19 aprile - 16 maggio 1943), che si concluse con l’uccisione della stragrande maggioranza dei suoi abitanti.
L’aiuto agli ebrei che venivano sistematicamente perseguitati e uccisi, agli ebrei che erano riusciti a fuggire dai ghetti e dai trasporti diretti verso i luoghi di sterminio, era estremamente difficile a causa della pena di morte prevista per tutti coloro che aiutavano la popolazione ebraica e anche per via della scarsa assimilazione degli ebrei nella società polacca. Ciononostante, l’aiuto veniva offerto, sia da persone private che dagli organi dello Stato clandestino polacco, nell’ambito del quale fu istituito il Comitato Konrad Żegota, un consiglio polacco per l’aiuto agli ebrei. Il numero di oltre 7.200 persone insignite del titolo di «Giusto tra le Nazioni» testimonia l’impegno dei polacchi nel salvare gli ebrei e questo dato è tutt’oggi in continuo aggiornamento. Una delle persone più famose che aiutò gli ebrei fu Irena Sendler, un’attivista sociale e capo del dipartimento per l’infanzia del Comitato Konrad Żegota. Il gruppo di persone da lei guidato, lavorando a stretto contatto con i conventi femminili, aiutò circa 2500 bambini. Una buona parte di loro riuscì a sopravvivere alla guerra. Le strutture ecclesiastiche (comprese quelle della Chiesa greco-cattolica), in particolare gli ordini femminili, furono coinvolti nell’aiuto agli ebrei su larga scala. Una delle suore che più si distinse nell’aiuto agli ebrei fu madre Matylda Getter, superiora della provincia di Varsavia della Congregazione delle suore francescane della Famiglia di Maria.
Il caso più noto (anche se non isolato) di morte subita per aver offerto il rifugio agli ebrei nella propria casa fu quello della famiglia di Józef e Wiktoria Ulma e dei loro sette figli, giustiziati il 24 marzo 1944 dai gendarmi tedeschi. Tutta la famiglia Ulma è stata beatificata nel 2023 da Papa Francesco.
I territori polacchi sotto l’occupazione sovietica vennero incorporati a tutti gli effetti nell’Unione Sovietica mentre la popolazione polacca fu sottoposta a una brutale repressione: quasi 400.000 cittadini polacchi furono mandati ai lavori forzati nel profondo est dell’Urss. La manifestazione più nota del terrore sovietico fu l’uccisione nella primavera del 1940, a Katyń e in altre località, di quasi 22.000 prigionieri di guerra e altri reclusi che appartenevano alle élites del Paese. I luoghi dove furono assassinati molti di loro tutt’oggi rimangono sconosciuti. Anche il clero cattolico e greco-cattolico fu vittima del terrore sovietico: i conventi venivano soppressi, le chiese e gli edifici ecclesiastici confiscati. Numerosi sacerdoti e religiosi furono mandati in esilio, molti vennero uccisi. Le persecuzioni e le distruzioni si estesero anche al clero e ai fedeli della Chiesa ortodossa autocefala nonché alla comunità religiosa ebraica e alle loro proprietà.
Il terrore tedesco contro la popolazione polacca, sia nel Governatorato generale che nei territori incorporati nel Reich e nei territori orientali occupati, aumentò con l’intensificarsi dello sforzo militare della Germania e come risposta alla sempre più crescente resistenza dei polacchi alle repressioni. La brutale deportazione dei polacchi dalla regione di Zamość, iniziata dall’occupante alla fine del 1942 per far posto ai coloni tedeschi, provocò lo scoppio della resistenza armata da parte delle organizzazioni clandestine polacche. I loro sforzi e sacrifici impedirono la piena riuscita dei piani tedeschi.
L’apogeo della resistenza polacca all’occupante tedesco si ebbe nell’estate del 1944, quando, dopo che l’Armata Rossa attraversò il confine polacco prebellico, l’Armia Krajowa iniziò un’intensa attività militare. La più grande rivolta armata fu l’Insurrezione di Varsavia, che iniziò il 1° agosto 1944. Non avendo ricevuto un sostegno dall’Urss né dagli alleati occidentali, si arrestò dopo 63 giorni di combattimenti. Almeno 150.000 abitanti della capitale, che contava un milione di abitanti, morirono nell’insurrezione, compresi 16.000 soldati dell’Armia Krajowa; i sopravvissuti furono espulsi dalla città rasa al suolo e saccheggiata. Si stima che a causa dei combattimenti e della distruzione deliberata della città dopo la rivolta, il 25 per cento degli edifici della città, circa il 90 per cento delle fabbriche e delle attrezzature industriali, il 65 per cento della rete elettrica e il 90 per cento delle chiese furono distrutti. Nel gennaio 1945, 45.000 vagoni e diverse migliaia di camion carichi di beni appartenenti alle persone private e alle istituzioni furono portati via dalla città in Germania.
L’effetto della guerra fu la sottomissione della Polonia all’Unione Sovietica, una graduale introduzione del sistema comunista nel Paese occupato dall’Armata Rossa, nonché la cessione di quasi il 48 per cento del territorio polacco all’Urss e il reinsediamento di massa della popolazione polacca dall’est nei territori tedeschi concessi alla Polonia alla Conferenza di Potsdam. Come risultato della guerra, secondo i calcoli incompleti effettuati fino a oggi, morirono quasi sei milioni di cittadini polacchi, tra cui circa tre milioni di ebrei. Anche le perdite materiali furono enormi, sia per l’economia che per le proprietà private e i beni culturali.
Anche la Chiesa cattolica in Polonia subì enormi perdite personali e materiali: sei vescovi, 1934 sacerdoti (20 per cento), 850 monaci e 389 suore morirono durante la guerra. Anche le perdite materiali furono molto significative, sia nei territori orientali persi dalla Polonia sia nella Polonia centrale e occidentale.
Oltre ai già citati 108 martiri beatificati nel 1999, la Chiesa polacca onora anche san Massimiliano Kolbe, frate francescano ucciso nel campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz, e 11 suore polacche di Nazareth uccise dai tedeschi a Nowogródek nel 1943 (beatificate nel 2000). I processi di elevazione agli altari dei martiri della Seconda guerra mondiale sono in corso. Oltre alla famiglia Ulma di Markowa, Papa Francesco ha elevato agli altari padre Jan Franciszek Macha, ucciso dai tedeschi nel 1942 (beatificato nel 2021) e le Suore Elisabettine, tra le quali Maria Paschalis Jahn, assassinate dai soldati dell’Armata Rossa nel 1945 (beatificate nel 2022).
La memoria delle vittime della Seconda guerra mondiale e delle perdite umane e materiali subite in quel periodo è tutt’oggi viva nello spazio pubblico. In occasione di anniversari come quello odierno, i polacchi tornano a ricordare questi eventi sconvolgenti della storia polacca. Tanto più che forse non vi è famiglia in Polonia sulla quale questa guerra non abbia lasciato un profondo segno.
di Tadeusz Paweł Rutkowski
Università di Varsavia
Il grido poetico di Wojtyła
Nell’ottobre del 1939, Karol Wojtyła compone una poesia sotto forma di salmo in cui grida l’ormai avvenuta e irreparabile impossibilità di cantare: «Il vento d’autunno tagliò i miei desideri, come con uno slancio, in un colpo di spada, abbatté le statue, spezzò le visioni, e mi ordinò di litigare col mio canto».