Infanzia e paternità spirituali del sacerdote
Ha riprodotto in sé «l’immagine di Cristo Figlio, mite e umile» e ha proposto questo volto di Gesù «anche all’imitazione delle sue figlie spirituali, le Missionarie della Carità di Maria Immacolata, guidandole nel cammino dell’infanzia spirituale». È il profilo del sacerdote messicano Moisés Lira Serafín tracciato dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, durante la messa di beatificazione, presieduta sabato scorso, in rappresentanza di Papa Francesco, nella basilica di Nostra Signora di Guadalupe, a Città del Messico.
E l’indomani Papa Francesco all’Angelus domenicale ha chiesto l’applauso di piazza San Pietro per questo Missionario dello Spirito Santo, vissuto nella prima metà del secolo scorso, definendolo un uomo che ha speso la vita per aiutare le persone a progredire nella fede e nell’amore per Dio. «Il suo zelo apostolico stimoli i sacerdoti a donarsi senza riserve per il bene spirituale del popolo santo di Dio» ha auspicato il Pontefice.
Del resto, ha detto il cardinale Semeraro all’omelia della messa nella capitale messicana, il beato Moisés parlava di Dio da vero figlio e ne parlava «come un vero padre facendolo con una tenerezza che impressionava» e viveva la «piccolezza» di figlio, con la gioia di fare sempre la volontà del Padre, anche quando era molto malato e prostrato. Ma è stato anche grande maestro di paternità spirituale, e confessore, per tante persone «che guidava pure nella scelta di vita».
Riferendosi al brano del Vangelo di Matteo proclamato nella liturgia della Parola, quello nel quale Gesù invita i discepoli a farsi piccoli come bambini, per essere «il più grande nel regno dei cieli», il porporato ha ricordato, con san Bernardo, che il piccolo che dobbiamo imitare «è Gesù, che fu mite e umile di cuore». E questa, ha sottolineato, è stata una delle caratteristiche del nuovo beato, nato nel 1893 nella zona di Puebla, fondatore nel 1934 della Congregazione delle Missionarie della Carità di Maria Immacolata, proprio con la missione di aiutare tutti gli uomini a vivere come figli amati da Dio, e morto nel 1950 a Città del Messico. Egli, come ha detto un testimone nel processo per la beatificazione, ha ricordato Semeraro, «quando si trattava di Dio parlava come un vero figlio e parlava di Dio come un vero padre». Quello che dovremmo fare tutti, ha proseguito il celebrante, cercando di pregare «con gioia e con fiducia, la preghiera del Padre nostro».
A questo spirito di «figlio», il nuovo beato, ha spiegato il prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, «non è arrivato percorrendo una via facile». Ha prima perso la madre a soli 5 anni e poi è stato costretto a continui spostamenti per il lavoro del padre. Ma «il suo carattere rimase allegro, giocoso e scherzoso». I suoi confratelli religiosi testimoniarono «che il suo scopo era quello di rendere gli altri felici». Anche alla fine della vita, ha dichiarato un altro testimone, «ho visto personalmente padre Moisés molto malato e prostrato e nonostante ciò scherzava con noi. In mezzo alle tante sue malattie, cercava di non essere un peso per tutti noi e per gli altri».
Così il nuovo beato, per il cardinale Semeraro, ha vissuto la «piccolezza» di cui ci ha parlato il Vangelo.
La seconda caratteristica del nuovo beato rimarcata nell’omelia, è stata «il suo speciale carisma per la direzione spirituale», come confessore, dalle sei alle otto ore al giorno, ma anche «nell’accompagnamento di tante persone, che guidava pure nella scelta di vita». La sua infanzia spirituale, ha spiegato Semeraro «qui si trasformava in paternità spirituale con cui infondeva nei cuori pace, confidenza in Dio, sicurezza. Non abbatteva, ma sollevava lo spirito, dicevano di lui e questo è un bisogno molto avvertito nella Chiesa di oggi». Per questo, nell’Instrumentum laboris della seconda sessione della sedicesima Assemblea generale ordinaria del Sinodo, in programma il mese prossimo in Vaticano, sottolineando che «una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta, capace di accogliere e accompagnare» vi è la proposta di dar vita «a un ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento» come «porta aperta» della comunità «attraverso cui le persone possano entrare senza sentirsi minacciate o giudicate».
Il cardinale Semeraro ha quindi affidato i presenti al rito alla protezione della «Vergine Maria, la Virgen morenita tanto amata e venerata in questo santuario di Guadalupe». E ha rilanciato le parole di Papa Francesco nella messa per la festa di Santa Maria di Guadalupe il 12 dicembre 2022, quando ricordò che viviamo in un «periodo amaro, pieno di fragori di guerra, di crescenti ingiustizie, carestie, povertà, sofferenza». Ma la fede e l’amore di Dio ci insegnano «che anche questo è un tempo propizio di salvezza», nel quale il Signore, attraverso la Vergine Maria, meticcia, continua a donarci suo Figlio, e ci invita «ad andare incontro ai fratelli e alle sorelle dimenticati e scartati dalle nostre società consumistiche e apatiche». In tutto ciò ci può aiutare, ha concluso Semeraro, pure «l’esempio e l’intercessione del beato Moisés».
Ad essa, del resto, è attribuita la guarigione miracolosa di Rosa María Ramírez Mendoza, che incinta scopre alla 22a settimana di essere affetta da una anomalia fetale molto grave. La donna rifiuta di interrompere la gravidanza, come suggerito dai medici e affida con fede la sua situazione a padre Moisés, del quale in quei giorni sta leggendo un libro sulla sua vocazione sacerdotale e invocando da lui la guarigione per nove giorni consecutivi. A una visita di controllo effettuata al sesto mese di gravidanza il medico, con grande stupore, comunica alla paziente che l’anomalia era scomparsa e il feto era in buono stato di salute. Il 6 settembre 2004 Rosa María partorisce Lissette Sarahí, una bimba perfettamente sana. Don Moisés è oggi sepolto nel Templo Expiatorio Nacional de San Felipe de Jesús, a Città del Messico: nel luogo che contribuì a fondare e nel quale prestò servizio negli anni Trenta del secolo scorso.
di Alessandro Di Bussolo