Ultima tappa del lungo viaggio apostolico di Papa Francesco in Asia e in Oceania è stata Singapore. Abbiamo incontrato il dottor Mohammad Hannan Hassan, vice Mufti di Singapore (principale autorità religiosa e giuridica islamica, ndr), che ha partecipato il 13 settembre all’incontro interreligioso del Pontefice con i giovani del Paese asiatico. Hassan ha lavorato negli ultimi vent’anni a stretto contatto con vari leader e comunità religiose, agenzie governative e Ong per rafforzare la coesione sociale nella nazione insulare. Per 15 anni è stato anche vice decano dell’Accademia Muis (Centro di ricerca ed educazione del Consiglio religioso islamico di Singapore), dove ha gestito l’ambito della ricerca islamica, la formazione di professori, imam e leader religiosi.
Cosa ha significato la visita di Papa Francesco? Cosa le è rimasto impresso e quali sono le sue speranze per il futuro?
Siamo stati davvero onorati della presenza del Papa in questa piccola isola. Papa Francesco ha ispirato i giovani a essere coraggiosi nell’intraprendere la missione di un dialogo rispettoso e costruttivo. Spero anche che Singapore sia stata in grado di dimostrare come una società coesa possa contribuire all’umanità e a un mondo più sicuro fondato sul rispetto per tutti, sulla dignità della vita umana, sulla diversità come saggezza divina e sull’umiltà. Il potere di una persona non sta nella sua forza o grandezza bensì nei valori fondamentali di umanità: giustizia, compassione, onore, dignità della vita, scopo e bene comune. La visita del Papa ha riaffermato questi valori e principi, rassicurandoci che questi non sono solo ideali elevati. Anche quando possiamo sentirci impotenti, non lo siamo e non dobbiamo perdere la speranza. Siamo fiduciosi e ottimisti in un futuro migliore per il mondo.
Come definirebbe il panorama religioso di Singapore e cosa ritiene essere particolare dell’islam singaporiano?
Classificato come il Paese con la maggiore diversità religiosa al mondo dal Pew Research Center nel 2014, Singapore considera la diversità come parte integrante del suo Dna. Piccola isola multiculturale, multireligiosa e multirazziale, Singapore ritiene la diversità essenziale per la sua esistenza, ed è un elemento di forza. Non esiste una sola religione dominante a Singapore. Per proteggere e rafforzare questo aspetto, Singapore si basa su un quadro tripartito di collaborazione e partnership — ovvero fra il settore pubblico, quello popolare e quello privato (le tre “ p ”) — e non solo attraverso leggi, norme e regolamenti ma fondato, soprattutto, sul fattore umano, sulla fiducia reciproca e sul patto sociale. I musulmani costituiscono il 15,6% della popolazione di Singapore e stanno diventando sempre più eterogenei. Dovrebbero e potrebbero vivere da buoni musulmani con fiducia, contribuendo alla coesione sociale e alla costruzione della nazione come buoni cittadini.
Quali ritiene siano le questioni principali che la società singaporiana sta affrontando e quale il contributo maggiore che sta apportando a livello internazionale?
La diversità religiosa è un bene che Singapore ha coltivato fin dalla sua indipendenza. Proteggere questo patrimonio significa proteggere l'esistenza e la sostenibilità di Singapore. Nel mondo attuale in cui viviamo, definito fragile, volatile, incerto, complesso, incomprensibile e ambiguo, in un Paese globalizzato e in un’economia aperta, Singapore non può chiudersi a queste realtà e sfide. Anzi, le affronta di petto. Pertanto, deve rimanere agile e in continuo apprendimento, per avere qualcosa da dire in questo mondo. Il suo popolo è la sua risorsa e il suo capitale principale. Nonostante le sue dimensioni, Singapore contribuisce attivamente allo sviluppo globale in vari settori.
Come vive la dimensione di dialogo interreligioso?
Ho una laurea in Scienze dell’educazione in Kuwait, un master in Civiltà islamica presso l’Istituto del pensiero e della civiltà islamica (Istac) in Malaysia, e un dottorato in Studi islamici presso l’università McGill, in Canada. Le relazioni interreligiose per me si estendono oltre il semplice dialogo arrivando a coltivare amicizie e a far crescere un’umanità e dignità condivise. La forza che abbiamo infatti risiede nell’unità collettiva piuttosto che nelle risorse e forze di ciascuno. Questo è il campo nel quale mi sono impegnato e ho voluto contribuire nello sviluppare fiducia reciproca fra capi religiosi e le loro comunità e un destino comune in nome della nostra unica umanità.
di Elena Dini