È stato un vero “apostolo della bontà” Moisés Lira Serafín, sacerdote della congregazione dei Missionari dello Spirito Santo e fondatore della congregazione dei Missionari della carità di Maria Immacolata che oggi, sabato 14 settembre, viene beatificato a Città del Messico. Presieduta in rappresentanza di Papa Francesco dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le Cause dei santi, la celebrazione si tiene a mezzogiorno — le venti in Italia — nella basilica cittadina di Santa Maria di Guadalupe.
Nato a Zacatlán (Puebla, Messico) il 16 settembre 1893, ultimo di sette fratelli, crebbe in una famiglia cristiana, semplice, umile, di buoni costumi. Ma la sua infanzia fu presto funestata dalla morte della madre, avvenuta nel 1898.
Il padre, insegnante in scuole parrocchiali, fu costretto a spostarsi in diversi luoghi, fino a che convolò a seconde nozze nel 1908, affidando il ragazzo alla custodia di un sacerdote. In quel periodo iniziarono a manifestarsi i primi segni di vocazione, così che, consigliato da una suora, il giovane si trasferì nella città di Puebla, presso la casa di una benefattrice.
Dopo due anni, dediti soprattutto allo studio, iniziò a frequentare il Seminario Palafoxiano di Puebla e nel 1914 aderì all’invito del venerabile padre Felix de Jesús Rougier, fondatore dei Missionari dello Spirito Santo, di cui Moisés fu il primo novizio, chiamato per tale motivo “il primogenito”. In quegli anni, però, in Messico si scatenò la persecuzione religiosa, a causa della quale egli poté frequentare il noviziato solo in modo discontinuo e senza una fissa dimora.
Nel 1916, tuttavia, poté vestire l’abito religioso e, l’anno successivo, professare i voti. Continuò il suo iter formativo in vista dell’ordinazione sacerdotale, che avvenne il 14 maggio 1922, e il giorno di Natale di quell’anno emise i voti perpetui. Un mese dopo, coniò la frase di quello che sarebbe diventato il suo itinerario di santificazione: «È necessario essere molto piccolo, per essere un grande santo».
Nominato maestro di casa del noviziato, servizio che alternò con l’apostolato esterno soprattutto come confessore, durante l’epidemia di vaiolo nero del 1923, visitando gli ammalati, rimase gravemente contagiato, tanto da far temere per la sua vita. Nel 1925 a Città del Messico continuò a incrementare il suo impegno per il culto dell’Eucaristia e del sacramento della riconciliazione, rivolto anche ai carcerati.
Nel 1926 la persecuzione religiosa subì un’ulteriore recrudescenza, che portò ad un incremento del lavoro apostolico del sacerdote, il quale celebrava l’Eucaristia nelle case e portava la comunione ai malati, nonostante la proibizione del governo. Essendo per questo in pericolo, obbedendo al suo padre fondatore si trasferì a Roma, dove frequentò i corsi di Teologia dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana. Furono anni di dedizione allo studio, durante i quali si propose di «studiare tutta la teologia della Chiesa per farla amare, ma soprattutto per goderla nel silenzio del raccoglimento ai piedi del Maestro».
Il periodo romano, però, non fu tranquillo sotto l’aspetto spirituale, a causa di fattori esterni che provocarono in lui una forte crisi e misero alla prova la sua vocazione religiosa. Davanti alla tentazione di cambiare congregazione, fece voto di abbandono nelle mani di Dio, rinnovandolo ogni anno il Giovedì santo. Con tale voto riuscì a conquistare la pace e la stabilità spirituale e vocazionale come missionario dello Spirito Santo.
Nel 1928 Moisés rientrò in Messico, dove il culto non era ancora ristabilito; tuttavia, continuò la sua missione con maggiore entusiasmo e generosità come accompagnatore di anime, esercitando in modo eccellente il carisma di direttore spirituale e svolgendo un ministero occulto del sacramento della riconciliazione, fino ad essere chiamato “martire del confessionale”. Era energico e comprensivo allo stesso tempo, coniugando la dolcezza con l’esigenza: sapeva trattare le persone con spontaneità e naturalezza, il tutto con la sapienza propria di un maestro.
Nel 1934 fondò l’Opera di carità e apostolato sociale ovvero le Missionarie della carità di Maria Immacolata, come “apostole della bontà”.
La carità di padre Moisés era rivolta a tutti: poveri, ricchi, anziani, giovani e bambini; infatti, egli fu particolarmente impegnato nella cura pastorale degli accoliti e delle religiose.
La sua attenzione era rivolta in particolare agli infermi, specialmente se sacerdoti, che visitava spesso portando loro una parola di speranza. Una carità piena di gioia che infondeva animo e coraggio.
Amante del silenzio e della contemplazione, oltre al suo profondo amore verso Dio, che si tradusse in un’esemplare vita religiosa, padre Moisés non trascurava mai la celebrazione liturgica e l’adorazione eucaristica.
Nutriva una filiale devozione alla Vergine e dalla preghiera intensa e piena di fervore traeva l’energia per tendere alla perfezione.
La sua azione pastorale era particolarmente efficace perché sostenuta e avvalorata dal suo costante esempio. La sua purezza fu candida, come quella di un bambino. Seguendo l’esempio di Maria, si può presentare come modello di paternità spirituale; strumento del perdono di Dio per i suoi figli; guaritore delle loro ferite; soccorritore nei loro bisogni materiali; aiuto per discernere la volontà di Dio nelle diverse circostanze della vita; compagno di viaggio fino ad arrivare alla meta: l’unione con Dio.
Il ritmo della sua vita si svolgeva nel quotidiano adempimento del dovere, alla luce della Regola del suo Istituto e con grande senso di fraternità comunitaria. Si distinse per obbedienza e allegria, umiltà e semplicità. Viveva tutti gli avvenimenti, anche quelli dolorosi della persecuzione, dell’incomprensione e dell’infermità in solitudine e gioia soprannaturale, alla luce della fede, al punto che quanti ebbero occasione di conoscerlo si accorsero di trovarsi dinanzi a una persona non solo pienamente degna di stima e fiducia, ma anche particolarmente virtuosa ed esemplare.
Nel frattempo, la sua salute andava logorandosi e, in seguito a complicazioni cerebrali, giunse in fin di vita. Morì a Città del Messico il 25 giugno 1950. I suoi funerali furono una prova della fama di santità di cui godeva presso il popolo di Dio.
Padre Moisés cercò di avere come motto della sua vita le stesse parole del suo Maestro: faccio sempre quello che è gradito al Padre mio (cfr. Gv 8, 29). La sua beatificazione è un invito rivolto a tutti cristiani per vivere l’essenziale della fede, soprattutto attraverso le virtù della fiducia, la semplicità e la gioia quotidiana.
di David de Jesús Padron
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