Il cardinale Agagianian
Migliaia di fedeli hanno accolto ieri, 12 settembre, all’aeroporto internazionale di Beirut il volo proveniente da Roma che trasportava i resti mortali del servo di Dio Gregorio Pietro xv Agagianian, figura di spicco della Chiesa armena e simbolo della cultura libanese.
Il Paese dei cedri ha reso omaggio con profondo rispetto e devozione al compianto porporato, la cui traslazione rappresenta un momento straordinario e storico non solo per la Chiesa e la comunità armena cattolica, ma per l’intera nazione libanese.
L’avvenimento è stato preceduto da una cerimonia di congedo presso la chiesa romana di San Nicola da Tolentino. Dopodiché da Fiumicino le spoglie sono state trasportate in aereo allo scalo internazionale “Rafic Hariri”. Il velivolo è atterrato alle 15.35 di Beirut. A bordo anche il patriarca catholicos Raphaël Bedros xxi Minassian, accompagnato da una delegazione di membri del clero e di laici. La presenza del patriarca di Cilicia degli armeni non ha rappresentato solo un gesto di reverenza verso il predecessore, ma un atto di gratitudine verso un uomo di Dio che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua vocazione sacerdotale e spirituale. «Il cardinale Agagianian è un simbolo vivente dell’amore e della gioia del Vangelo» ha affermato Minassian, evidenziando come i valori di unità e dialogo siano sempre stati al centro del suo ministero.
Dall’aeroporto, un corteo scortato dall’esercito si è diretto verso piazza dei Martiri, nel centro della capitale libanese, dove si è svolta la cerimonia di accoglienza alla presenza di importanti personalità politiche e religiose, tra cui il Primo ministro Najīb ʿAzmī Mīqātī e il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei maroniti. Questi momenti hanno sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso nella nazione, caratterizzata da diciotto confessioni religiose, in una terra segnata da conflitti e sofferenze.
A rafforzare ulteriormente la necessità di unità e dialogo, il patriarca Minassian ha voluto che i resti del servo di Dio fossero portati a spalla da uomini appartenenti a dodici confessioni religiose diverse.
Durante la cerimonia, il patriarca ha pronunciato un discorso nel quale ha fatto riferimento agli ultimi giorni di vita di Agagianian. Ha condiviso la propria esperienza di giovane seminarista presente in quel periodo, raccontando il profondo desiderio che animava il cardinale in quel momento difficile: egli affermava di avere “sete” non di acqua, ma una sete ardente di autentica santità per le anime e per l’intera Chiesa di Dio.
Il Patriarca ha delineato l’immagine di un uomo che, anche di fronte alla sofferenza e alla morte imminente, mantenne uno spirito elevato. L’intervento ha messo in risalto come, in quei momenti di prova, Agagianian trovasse conforto nella speranza di una Chiesa rinnovata e santa, capace di affrontare le sfide del suo tempo. Da qui l’invito a riflettere su questo messaggio potente: la vera sete del cuore umano non è quella di beni materiali o di semplici soddisfazioni temporali, quanto piuttosto un desiderio ardente di spiritualità, di giustizia e di relazione profonda con il divino. Infine il patriarca ha concluso esortando ogni membro della comunità a vivere con la stessa passione e dedizione mostrata dal Servo di Dio, a cercare una santità collettiva e a contribuire attivamente al rinnovamento della Chiesa. Anche il cardinale Raï ha condiviso un’esperienza personale risalente al 1953, quando era seminarista e chierichetto nel convento di Cristo Re, fondato dal beato Giacomo da Ghazir, cappuccino all’epoca ancora in vita. In quella circostanza l’attuale patriarca di Antiochia dei maroniti ebbe la sua prima occasione di vedere Agagianian e, mentre serviva la messa, rimase profondamente colpito dalla sua presenza.
Il cardinale Raï ha anche sottolineato l’impressione duratura che Agagianian suscitò in lui mentre lavorava alla Radio Vaticana, nella Sezione araba, dedicandogli un’attenzione particolare rispetto agli altri padri conciliari nel contesto del Concilio Vaticano ii . Quando apprese dell’Apertura dell’Inchiesta diocesana, ne fu particolarmente lieto.
Al termine, i resti del servo di Dio sono stati trasferiti nella cattedrale patriarcale dei Santi Elia e Gregorio Illuminatore di Beirut, da lui stesso edificata. Qui, una cappella è stata adornata da un magnifico mosaico realizzato in occasione della traslazione: un’opera che cattura immediatamente l’attenzione. Rappresenta infatti un popolo variegato, composto da diverse culture e religioni, che avanza insieme seguendo Agagianian, il quale guida il suo popolo verso la figura centrale e maestosa di Cristo.
A destra del mosaico, si erge l’immagine della Madonna, che rivolge il suo sguardo verso il servo di Dio, circondata da angeli che fungono da cornice, conferendo un senso di sacralità e protezione.
Il significato dell’opera va ben oltre la mera rappresentazione artistica; essa incarna l’ideale di una Chiesa peregrinante e trionfante, unita nella fede ma aperta alla pluralità delle esperienze umane. Il cardinale Agagianian, infatti, ha brillato in ogni aspetto della sua vita, esprimendosi attraverso parole e azioni di grande coraggio. Per venticinque anni ha svolto il ministero pastorale nella sede del Patriarcato di Cilicia, guadagnandosi un posto speciale nel cuore del popolo libanese. La sua eredità di fede e amore continua a ispirare generazioni, rinnovando i valori di carità e servizio che lo hanno sempre guidato. Non è stato solo un Pastore per il suo popolo armeno e per una Nazione martire segnata da guerre fratricide, ma ha ricoperto ruoli determinanti all’interno della Chiesa Universale nella propagazione della fede. Questa duplice vocazione ne ha fatto un punto di riferimento spirituale e sociale, sempre presente ove si manifestavano divisioni etniche e confessionali.
Il Libano ha sempre rappresentato, nella Bibbia, un simbolo di speranza e sofferenza, ma anche di ritorno e riscatto. E ieri come oggi, le parole del Cardinale Agagianian risuonano ancora con forza: «Voi siete la Chiesa della speranza: accesa e viva — disse ai fratelli di fede sparsi nelle missioni cattoliche — non per la forza del numero, ma per il favore della carità e per la gioia di testimoniare il Vangelo fra tutti gli uomini. Recate il nostro rispettoso saluto e i segni della nostra affettuosa fraternità a tutti i fratelli non battezzati in mezzo ai quali vivete. Dottrine religiose, credenze, tradizioni e abitudini ci separano, ma un valore essenziale ci unisce: che siamo tutti, nessuno escluso, creature di Dio e legati gli uni agli altri dalla più stretta fraternità. Nella grande famiglia umana, nessuno è isolato e abbandonato a se stesso».
Parole cariche di profonda spiritualità, che trascendono le differenze religiose e culturali, in cui spiccano due aspetti: il ruolo della Chiesa come faro di speranza e la chiamata all’unità tra tutti gli esseri umani. Agagianian sottolinea che la Chiesa non è definita dal numero dei suoi membri, ma dalla vitalità e dalla forza del suo messaggio d’amore e di carità. Questo accenno alla “Chiesa della speranza” suggerisce che, anche di fronte a una crescente secolarizzazione e alle sfide moderne, la vera essenza della comunità cristiana risiede nella sua capacità di portare avanti la gioia e la testimonianza del Vangelo, proprio come i primi cristiani. Ed è nella sua inclusione di “fratelli non battezzati” che invita a considerare una fraternità più ampia. Le divergenze dottrinali e culturali, pur esistenti, non devono dividere, ma far emergere un patrimonio comune. Questo richiamo all’unità e alla relazione umana è particolarmente rilevante in un mondo spesso lacerato da conflitti e divisioni. Ed è oltre le differenze che si riconosce un legame inestinguibile tra tutti gli esseri umani.
di Alessandra Scotto