Dove la sofferenza tocca
Un momento di grande commozione, in un luogo in cui la sofferenza tocca il cuore e sperimenta l’amore, la scuola “Irmãs Alma” di Díli. Un luogo dove è la sofferenza dei bambini, quella per la quale i perché si perdono nel mistero del dolore innocente, ad essere toccata dalle mani amorevoli di quaranta suore che ogni giorno, instancabilmente, si prendono cura di loro. E qui nella mattinata di oggi, martedì 10 settembre, è venuto Papa Francesco nel secondo giorno a Timor Leste, per dire grazie per questo amore gratuito.
Affidato alle cure della Congregazione delle Suore Alma, acronimo che sta per “Asosiasi Lembaga Misionari Awam” (Associazione delle istituzioni missionarie laiche), l’istituto assiste bambini con disabilità fisiche e mentali, offrendo loro sedute di terapia e cure mediche più volte alla settimana, accompagnando anche le famiglie in un percorso di accettazione della condizione di un figlio disabile. Un’opera preziosa in un Paese in cui i bambini sono tantissimi e le possibilità di offrire cure ai malati limitate.
Salutato al suo passaggio dalla folla accalcatasi lungo la strada, all’arrivo il Papa è stato accolto all’ingresso dalla superiora della congregazione, suor Gertrudis Bidi, e da tre piccoli ospiti, che gli hanno offerto dei fiori e una tais, la sciarpa tradizionale timorese. Poi ha assistito a un canto di benvenuto da parte di un coro di suore, mentre alcune bambine e religiose in abiti tradizionali eseguivano una danza locale. E ancora un canto ha accolto il Pontefice nella sala intitolata a san Vincenzo de’ Paoli, dove ad attenderlo c’erano molti dei bambini assistiti, tutti in maglietta azzurra, e le religiose.
A presentare le attività dell’istituto è stata la superiora, sottolineando che appena due giorni prima era stato celebrato il 60° della fondazione. “Il carisma-stile di vita dell’associazione — ha detto visibilmente commossa — è restare accanto ai poveri, ai disabili e agli abbandonati, nella stessa casa, nella stessa stanza, condividendo la stessa tavola, con un solo cuore e una sola anima, senza nessun favoritismo, e diventando madri e padri dei bambini che Dio ci ha affidato».
Nel suo discorso a braccio, in spagnolo, Francesco ha ringraziato le suore per la loro opera, ma anche i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze «che ci danno la testimonianza di lasciarsi curare. Perché loro insegnano a noi come dobbiamo lasciarci curare da Dio. Lasciarci curare da Dio e non da tante idee, o progetti, o capricci. Lasciarci curare da Dio. E loro sono i nostri maestri».
E per spiegare il suo pensiero il Papa ha voluto che gli portassero accanto un bambino in carrozzina, Silvano. Lui, ha detto Francesco, «ci insegna a prenderci cura: prendendoci cura di lui, impariamo a prenderci cura. E se guardiamo il suo volto, è tranquillo, sereno, dorme in pace. E così come lui si lascia curare, anche noi dobbiamo imparare a lasciarci curare. Lasciarsi curare da Dio, che ci ama tanto; lasciarsi curare dalla Madonna, che è nostra Madre».
Prima di impartire la benedizione, il Pontefice ha quindi invitato a pregare proprio con un’Ave Maria. Poi ha salutato le suore, i bambini e i ragazzi presenti. Uno in particolare, in carrozzina, Adriano Arcangelo, 24 anni, gli ha chiesto di firmargli il diario, cosa che Francesco ha fatto con una dedica, intrattenendosi a parlare con lui. E una firma il Papa l’ha messa anche su una targa a ricordo della visita, offrendo in dono alle suore una statua della Sacra Famiglia.
Ma prima di lasciare la Scuola Irmãs Alma, un altro intenso momento, di forte commozione: il saluto ad alcuni bambini gravemente malati, accompagnati dai genitori, alcuni dei quali si sono inginocchiati davanti a Francesco, mentre chiedevano una benedizione per i figli. Tante le lacrime, ricambiate da una carezza e un sorriso di conforto che porteranno per sempre nei cuori.
Così come porteranno nel cuore il ricordo dell’incontro con il Pontefice quanti hanno partecipato al secondo appuntamento della mattinata, quello con i vescovi, sacerdoti, consacrati, religiose, seminaristi, catechisti e alcuni laici nella cattedrale dell’Immacolata Concezione, «la madre di tutte le Chiese di Timor Leste».
Un incontro a lungo atteso. All’arrivo di Francesco, infatti, ogni posto nella chiesa — inaugurata il 2 novembre 1988 — era occupato. Il Pontefice è arrivato nel cortile antistante, dove è stato accolto dal cardinale arcivescovo di Díli, Virgilio do Carmo da Silva, dal presidente della Conferenza episcopale, monsignor Norberto do Amaral, vescovo di Maliana, e dal parroco della cattedrale. Dopodiché ha assistito a una danza offertagli sul sagrato da un gruppo nei costumi tradizionali e ha ricevuto alcuni doni da parte di tre bambini.
All’ingresso principale della cattedrale, il parroco ha porto a Francesco la croce per il bacio e l’acqua benedetta per l’aspersione. Salutato da un canto, prima di raggiungere l’altare, il Papa si è intrattenuto con alcune suore malate in sedia rotelle, tra cui una canossiana di quasi cento anni.
All’inizio dell’incontro il presidente dell’episcopato timorese ha ricordato quando Giovanni Paolo ii benedì la cattedrale nel suo viaggio del 1989 «durante i tempi difficili in cui la nazione era soggiogata». Una Paese che è riuscito «a rialzarsi e a restare in piedi».
Una nazione piccola e nuova che oggi, pur essendo «alla periferia del mondo qui è chiamata a essere sale e luce».
Una Chiesa salda nella fede, che si è presentata al Successore di Pietro attraverso alcune testimonianze che hanno ripercorso la storia recente di Timor Leste e sottolineato la realtà e le sfide del presente. Suor Rosa Sarmento ha ricordato la storia e la missione delle canossiane — qui giunte alla fine del xix secolo —, rilevando come mentre «in passato i missionari venivano dall’Europa per evangelizzare, oggi sta accadendo il contrario: Timor va ad evangelizzare l’Europa e altre parti del mondo».
Don Sancho Amaral ha invece ricordato il coinvolgimento personale nel processo di indipendenza di Timor Leste, scoprendo nelle tante esperienze difficili della guerra come «Dio sa sempre prendersi cura di coloro che ha chiamato e mandato in missione». E delle sfide dell’evangelizzazione ha anche parlato l’anziano catechista, Florentino de Jesus Martins, che oggi ha 89 anni. Ha raccontato la propria esperienza e come fosse difficile spostarsi nei primi anni del suo servizio, le camminate di ore anche tra le intemperie. «Ma non mi sono mai scoraggiato» ha detto, aggiungendo che, pur essendosi ritirato sette anni fa, ancora continua a dare «sostegno morale agli altri catechisti». Una testimonianza simpaticamente commentata dal Papa: «Sembra che questo ha fatto la concorrenza a san Paolo», ha detto in italiano.
Nel suo discorso, ringraziando i presenti per la loro opera, ha detto che anche Timor Leste «radicato in una lunga storia cristiana, ha bisogno oggi di un rinnovato slancio nell’evangelizzazione, perché a tutti arrivi il profumo del Vangelo: un profumo di riconciliazione e pace dopo gli anni sofferti della guerra». Un invito che è entrato nel concreto dei problemi di oggi, mettendo in guardia da ciò che «umilia, deturpa e a volte addirittura distrugge la vita umana», come l’alcolismo, la violenza, il mancato rispetto della dignità delle donne. Perciò, ha aggiunto il Pontefice, «c’è bisogno di sacerdoti, religiosi e catechisti appassionati».
Al termine, il Papa ha benedetto alcune prime pietre provenienti dalle tre diocesi di Timor Leste. Infine prima di salire in auto per tornare in nunziatura, si è fermato qualche istante all’uscita laterale della cattedrale per salutare un gruppo di malati.
dal nostro inviato
Gaetano Vallini