· Città del Vaticano ·

Il 45° viaggio di Papa Francesco - Timor Leste
Ai vescovi, al clero ai consacrati e agli operatori pastorali nella cattedrale di Díli

Custodire e diffondere
il profumo del Vangelo

 Custodire e diffondere il profumo del Vangelo  QUO-204
10 settembre 2024

Conclusa la visita ai bambini con disabilità assistiti nella casa “Irmãs Alma” a Díli, nella mattinata di oggi, martedì 10 settembre, Papa Francesco si è diretto in macchina verso la vicina cattedrale dell’Immacolata Concezione per l’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i seminaristi e i catechisti di Timor Leste. Dopo il saluto rivoltogli dal presidente della Conferenza episcopale nazionale e le testimonianze di una suora, un sacerdote e un anziano catechista, il Pontefice ha pronunciato il discorso che diamo di seguito in una nostra traduzione dallo spagnolo.

Cari fratelli Vescovi,
cari sacerdoti e diaconi,
religiose, religiosi e seminaristi,
cari catechisti, fratelli e sorelle, buongiorno!

Molti tra i più giovani — seminaristi, religiose, giovani — sono rimasti fuori. E adesso, quando ho visto il Vescovo, gli ho detto che deve ingrandire la cattedrale, perché è una grazia avere tante vocazioni! Ringraziamo il Signore, e ringraziamo anche i missionari che sono venuti prima di noi. Quando vediamo quest’uomo [Florentino de Jesús Martins, di 89 anni, al quale il Papa ha detto che «gareggiava con l’apostolo Paolo»], che è stato catechista per tutta la vita, possiamo capire la grazia della missione affidata. Ringraziamo il Signore per questa benedizione a questa Chiesa.

Sono felice di trovarmi in mezzo a voi, nel contesto di un viaggio che mi vede pellegrino nelle terre d’Oriente. Ringrazio Mons. Norberto do Amaral per le parole che mi ha rivolto, ricordando che Timor Est è un Paese “ai confini del mondo”. Anch’io vengo dai confini del mondo, ma voi più di me! E mi piace dire: proprio perché è ai confini del mondo sta al centro del Vangelo! Questo è un paradosso che dobbiamo imparare: nel Vangelo, i confini sono il centro e una Chiesa che non è capace di andare ai confini e che si nasconde nel centro è una Chiesa molto malata. Invece, quando una Chiesa guarda fuori, manda missionari, si mette su quei confini che sono il centro, il centro della Chiesa. Grazie perché state ai confini. Perché sappiamo bene che nel cuore di Cristo le periferie dell’esistenza sono il centro: il Vangelo è popolato da persone, figure e storie che sono ai margini, ai confini, ma vengono convocate da Gesù e diventano protagoniste della speranza che Egli è venuto a portarci.

Gioisco con voi e per voi, perché siete i discepoli del Signore in questa terra. Pensando alle vostre fatiche e alle sfide che siete chiamati ad affrontare, mi è ritornato in mente un brano del Vangelo di Giovanni, molto suggestivo, che ci racconta una scena di tenerezza e di intimità accaduta nella casa degli amici di Gesù, Lazzaro, Marta e Maria (cfr. Gv 12, 1-11). A un certo punto, durante la cena, Maria «prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (v. 12, 3).

Maria unge i piedi di Gesù e quel profumo si diffonde nella casa. Vorrei soffermarmi con voi proprio su questo: il profumo, il profumo di Cristo, il profumo del suo Vangelo, è un dono che voi avete, un dono che vi è stato dato gratuitamente, ma che dovete custodire e che tutti insieme siamo chiamati a diffondere. Custodire il profumo, questo dono del Vangelo che il Signore ha dato a questa terra di Timor Est, e diffondere il profumo.

Prima cosa: custodire il profumo. Abbiamo sempre bisogno di tornare all’origine, all’origine del dono ricevuto, del nostro essere cristiani, sacerdoti, religiosi o catechisti. Noi abbiamo accolto la vita stessa di Dio per mezzo di Gesù, suo figlio, che è morto per noi e ci ha donato lo Spirito Santo. Siamo stati unti, siamo unti con Olio di letizia e l’apostolo Paolo scrive: «Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo» (2 Cor 2, 15).

Care sorelle, cari fratelli, voi siete il profumo di Cristo! E questo simbolo a voi non è estraneo: qui a Timor, infatti, cresce in abbondanza il legno di sandalo, con la sua fragranza molto apprezzata e ricercata anche presso altri popoli e Nazioni. La Bibbia stessa ne loda il valore, quando racconta che la regina di Saba fece visita al re Salomone offrendogli in dono il legno di sandalo (cfr. 1 Re 10, 12). Non so se la regina di Saba, prima di andare da Salomone, fece scalo a Timor Est, forse, e prese il sandalo da qui!

Sorelle, fratelli, voi siete il profumo di Cristo, un profumo molto più prezioso dei profumi francesi! Voi siete il profumo di Cristo, voi siete il profumo del Vangelo in questo Paese. Come un albero di sandalo, sempreverde, sempre forte, che cresce e produce frutti, anche voi siete discepoli missionari profumati di Spirito Santo per inebriare la vita del santo popolo fedele di Dio.

Tuttavia, non dimentichiamo una cosa: il profumo ricevuto dal Signore va custodito, va curato con molta attenzione, come Maria di Betania lo aveva messo da parte, lo aveva serbato, proprio per Gesù. Allo stesso modo noi dobbiamo custodire l’amore, custodire l’amore. Non dimenticate questa frase: dobbiamo custodire l’amore, con cui il Signore ha profumato la nostra vita, perché non si dissolva e non perda il suo aroma. E questo cosa significa? Significa essere consapevoli del dono ricevuto — tutto quello che abbiamo è un dono, essere consapevoli di questo —, ricordarci che il profumo non serve per noi ma per ungere i piedi di Cristo, annunciando il Vangelo, servendo i poveri, significa vigilare su stessi perché la mediocrità e la tiepidezza spirituale sono sempre in agguato. E mi viene in mente una cosa che diceva il cardinale De Lubac sulla mediocrità e sulla mondanità: «La cosa peggiore che può succedere alle donne e agli uomini di Chiesa è cadere nella mondanità, nella mondanità spirituale». State attenti, conservate questo profumo che ci dà tanta vita.

E aggiungo un’altra cosa: noi guardiamo con gratitudine alla storia che ci ha preceduto, al seme della fede gettato qui dai missionari. Questi tre che ci hanno parlato: la religiosa che tutta la sua vita consacrata l’ha vissuta qui; questo sacerdote che ha saputo accompagnare il suo popolo nei momenti difficili della dominazione straniera; e questo diacono al quale non si è bloccata la lingua per annunciare il Vangelo e per battezzare. Pensiamo a questi tre esempi che sono rappresentativi della storia della nostra Chiesa, e amiamo la nostra storia. È il seme gettato qui. [Lo sono anche] le scuole per la formazione degli operatori pastorali e tanto altro. Ma questo può bastare? In realtà, sempre dobbiamo alimentare la fiamma della fede. Pertanto vorrei dirvi: non trascurate di approfondire la dottrina del Vangelo, non trascurate di maturare nella formazione spirituale, catechetica e teologica; perché tutto questo serve ad annunciare il Vangelo in questa vostra cultura e, nello stesso tempo, a purificarla da forme arcaiche e talvolta superstiziose. La predicazione della fede deve inculturarsi nella vostra cultura, e la vostra cultura dev’essere evangelizzata. E questo vale per tutti i popoli, non solo per voi. Se una Chiesa non è capace di inculturare la fede, non è capace di esprimere la fede nei valori propri di quella terra, sarà una Chiesa eticista e senza fecondità. Ci sono tante cose belle nella vostra cultura, penso specialmente alla fede nella risurrezione e nella presenza delle anime dei defunti; però tutto questo va sempre purificato alla luce del Vangelo, alla luce della dottrina della Chiesa. Impegnatevi, per favore, in questo, perché ogni cultura e ogni gruppo hanno bisogno di essere purificati e di maturare.

E veniamo al secondo punto: diffondere il profumo. La Chiesa esiste per evangelizzare, e noi siamo chiamati a portare agli altri il dolce profumo della vita, la vita nuova del Vangelo. Maria di Betania non usa il nardo prezioso per abbellire sé stessa, ma per ungere i piedi di Gesù, e così sparge l’aroma in tutta la casa. Anzi, il Vangelo di Marco specifica che Maria, per ungere Gesù, rompe il vasetto di alabastro che contiene l’unguento profumato (cfr. 14, 3). L’evangelizzazione avviene quando abbiamo il coraggio di “rompere” il vaso che contiene il profumo, rompere il “guscio” che spesso ci chiude in noi stessi e uscire da una religiosità pigra, comoda, vissuta soltanto per un bisogno personale. E mi è piaciuta molto l’espressione che ha usato Rosa, quando ha detto: «una Chiesa in movimento, una Chiesa che non sta ferma, che non ruota attorno a sé stessa, ma è bruciata dalla passione di portare la gioia del Vangelo a tutti».

Anche il vostro Paese, radicato in una lunga storia cristiana, ha bisogno oggi di un rinnovato slancio nell’evangelizzazione, perché a tutti arrivi il profumo del Vangelo: un profumo di riconciliazione e di pace dopo gli anni sofferti della guerra; un profumo di compassione, che aiuti i poveri a rialzarsi e susciti l’impegno per risollevare le sorti economiche e sociali del Paese; un profumo di giustizia contro la corruzione. State attenti! Tante volte la corruzione può entrare nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie. E, in particolare, il profumo del Vangelo bisogna diffonderlo contro tutto ciò che umilia, ciò che deturpa e addirittura distrugge la vita umana, contro quelle piaghe che generano vuoto interiore e sofferenza come l’alcolismo, la violenza, la mancanza di rispetto per la donna. Il Vangelo di Gesù ha la forza di trasformare queste realtà oscure e di generare una società nuova. Il messaggio che voi religiose offrite di fronte al fenomeno della mancanza di rispetto per le donne è che le donne sono la parte più importante della Chiesa, perché si occupano dei più bisognosi: li curano, li accompagnano. Ho appena fatto visita a quella bella casa d’accoglienza per i più poveri e i più bisognosi [Scuola “Irmãs Alma” per bambini con disabilità]. Sorelle, siate madri del popolo di Dio; sappiate “partorire” comunità, siate madri. È questo che voglio da voi.

Care sorelle, cari fratelli, c’è bisogno di questo sussulto di Vangelo; e oggi, perciò, c’è bisogno di religiose, religiosi, sacerdoti, di catechisti appassionati, catechisti preparati e creativi. Serve creatività nella missione. E ringrazio per la sua testimonianza come catechista il Sig. Florentino, edificante, ha dedicato gran parte della sua vita a questo bellissimo ministero. E ai sacerdoti, in particolare, vorrei dire: ho appreso che il popolo si rivolge a voi con tanto affetto chiamandovi “Amu”, che qui è il titolo più importante, significa “signore”. Però, questo non deve farvi sentire superiori al popolo: voi venite dal popolo, siete nati da madri del popolo, siete cresciuti con il popolo. Non dimenticate la cultura del popolo che avete ricevuto. Non siete superiori. Non deve neanche indurvi nella tentazione della superbia e del potere. E sapete come incomincia la tentazione del potere? Avete capito, vero? Mia nonna mi diceva: «Il diavolo entra sempre dalle tasche» [in italiano]; da qui entra il diavolo, entra sempre dalle tasche. Per favore, non pensate al vostro ministero come a un prestigio sociale. No, il ministero è un servizio. E se qualcuno di voi non si sente servitore del popolo, vada a chiedere consiglio a un sacerdote saggio affinché lo aiuti ad avere questa dimensione tanto importante. Ricordiamoci questo: col profumo si ungono i piedi di Cristo, che sono i piedi dei nostri fratelli nella fede, a partire dai più poveri. I più privilegiati sono i più poveri, e con questo profumo dobbiamo prenderci cura di loro. È eloquente il gesto che qui i fedeli compiono quando incontrano voi sacerdoti: prendono la vostra mano consacrata e la avvicinano alla fronte come segno di benedizione. È bello cogliere in questo segno l’affetto del Popolo santo di Dio, perché il prete è strumento di benedizione: mai, mai, il sacerdote deve approfittare del ruolo, sempre deve benedire, consolare, essere ministro di compassione e segno della misericordia di Dio. E forse il segno di tutto questo è il sacerdote povero. Amate la povertà come la vostra sposa.

Cari fratelli, un diplomatico portoghese del 1500, Tomé Pires, ha scritto così: «I mercanti malesi dicono che Dio creò Timor per il legno di sandalo» (The Summa Oriental, Londra 1944, 204). Noi, però, sappiamo che c’è anche un altro profumo: oltre al sandalo ce n’è un altro, che è il profumo di Cristo, il profumo del Vangelo, che arricchisce la vita e la riempie di gioia.

Voi, sacerdoti, diaconi, religiose: non scoraggiatevi! Come ci ha ricordato Padre Sancho nella sua toccante testimonianza: «Dio sa come prendersi cura di coloro che ha chiamato e inviato nella sua missione». Nei momenti di grande difficoltà, pensate a questo: Lui ci accompagna. Lasciamoci accompagnare dal Signore con spirito di povertà e con spirito di servizio. Vi benedico di cuore. E vi chiedo per favore di non dimenticarvi di pregare per me. Ma pregate a favore, non contro! Grazie.

E vorrei finire con un grazie, un grande ringraziamento per i vostri anziani, sacerdoti anziani che hanno speso la loro vita qui; religiose anziane che sono qui, che sono straordinarie, che hanno speso la vita. Loro sono il nostro modello. Grazie!


Il saluto del vescovo do Amaral

Sale e luce alla periferia del mondo


«Quando in occasione della nostra prima visita “ad limina”, ci ha detto “che la vostra fede sia la vostra cultura”, abbiamo custodito tali parole e per rafforzare questo appello, eccole come motto della visita di Sua Santità a Timor Est». Lo ha sottolineato con riconoscenza monsignor Norberto do Amaral, vescovo di Maliana e presidente della Conferenza episcopale di Timor Leste, nel saluto rivolto al Pontefice a inizio incontro. 

Il presule ha espresso la propria gioia per l’appuntamento nella stessa cattedrale che venne benedetta da Giovanni Paolo ii nel viaggio apostolico del 1989, «durante i tempi difficili in cui la Nazione era soggiogata», ha ricordato. Una nazione che «è riuscita rialzarsi e restare in piedi», piccola ma «con una comunità cattolica di oltre un milione e trecentomila fedeli, quasi il 98% della popolazione, e una gioventù in crescita» ha affermato il presidente dei vescovi. Un popolo, ha concluso, che sebbene si trovi «alla periferia del mondo», qui «è chiamata ad essere sale e luce».
 

Testimonianze

Chiesa giovane e “in uscita”


Quella di Timor Leste è “una Chiesa in uscita” e ne sono prova le tre testimonianze offerte a Papa Francesco nella cattedrale dell’Immacolata Concezione di Díli. La prima a prendere la parola è stata suor Rosa Sarmento, della congregazione delle Figlie della carità canossiane di santa Maddalena di Canossa: «Siamo il Paese più cattolico del sud est asiatico — ha spiegato — e anche un’oasi di vocazioni sacerdotali e religiose». Timor Leste è «un Paese giovane, un territorio benedetto» da tanti giovani, ha aggiunto la religiosa, indicando nella costruzione di «una comunità sinodale di comunione e missione» la principale sfida da affrontare, anche perché «in passato, i missionari venivano dall'Europa per evangelizzare Timor, ma oggi sta accadendo il contrario: Timor va ad evangelizzare l’Europa e altre parti del mondo».

Il complesso processo di indipendenza del Paese è stato invece raccontato don Sancho Amaral,  prete diocesano di 68 anni e 39 di sacerdozio. Nel giugno 1991, gli fu affidato l’incarico di aiutare il comandante in capo Kay Rala Xanana Gusmão a spostarsi da Díli a Ossu. Lungo il percorso, l’incontro con i militari indonesiani e l’obbligo di fermarsi. «Ma quando i soldati hanno capito che si trattava di un presbitero, ci hanno lasciato passare — ha detto don Amaral —. Così la talare, come indumento dell’identità sacerdotale, ci ha salvato dal pericolo». Un’esperienza, ha evidenziato, dalla quale è derivata una grande lezione: «Dio sa come prendersi cura di coloro che ha chiamato e mandato in missione». 

Infine Florentino de Jesus Martins, laico catechista, 89 anni di vita, quasi 70 trascorsi a portare la Parola di Dio in tante, tantissime località timoresi, ha detto: «spesso dovevo camminare tra i 6 e i 10 chilometri per fare catechesi. Lungo il percorso, a volte affrontavo sfide come pioggia e vento forte o il pernottamento durante il viaggio. Nonostante le sfide, non mi sono mai scoraggiato e ho continuato a lavorare con la più grande responsabilità, zelo e dedizione». 

Oggi Florentino è affetto da una malattia degenerativa, ma continua a «dare consigli e sostegno morale agli altri catechisti» che necessitano del suo supporto.