Tra danze tradizionali
Hanno atteso a lungo questo momento. Così, pur di non mancare alla messa celebrata da Papa Francesco, per la quale hanno indossato gli abiti della festa, alcuni sono arrivati allo stadio “Sir John Guise” di Port Moresby che la mezzanotte era passata da appena un paio di ore. Ma alle prime luci dell’alba gli spalti e il prato erano già pieni, occupati da persone giunte da diverse aree della Papua Nuova Guinea. Come il centinaio di fedeli partiti da Mount Hagen, che si trova nella regione degli altipiani; hanno prima percorso un lungo tragitto a piedi fino a Kerema e da lì sono giunti nella capitale con altri mezzi: in tutto si sono sobbarcati quasi cinque giorni di cammino pur di esserci.
Ma non sono stati i soli ad affrontare le difficoltà di un Paese in cui le vie di comunicazione sono scarse e impervie, e che sono arrivati anche usando imbarcazioni in alcuni tratti.
Per loro l’arcidiocesi di Port Moresby ha attivato una rete di accoglienza che ha impegnato parrocchie e scuole. E quando la mattina di domenica 8 settembre Francesco è arrivato, non c’erano più posti, nemmeno in una struttura più piccola adiacente, il Png Football Stadium: in tutto 35.000 fedeli.
A bordo di una golf cart, il Papa ha salutato prima le persone che erano nel secondo impianto e che hanno seguito la messa dai maxischermi, poi quelli nel “Sir John Guise Stadium”, facente parte di un più ampio centro polisportivo, inaugurato nel 1991 e negli ultimi anni riqualificato per ospitare i Giochi del Pacifico 2015 con le relative cerimonie di apertura e di chiusura. Quindi è salito sul palco, dove erano state poste due statue: una della Madonna del Sacro Cuore, la prima della Vergine giunta in questa terra con i missionari e custodita nel monastero delle Suore del Sacro Cuore; e una del beato papuano To Rot che si trova nella parrocchia di San Giuseppe qui nella capitale papuana. Dietro l’altare papale un crocifisso ligneo con le fattezze indigene.
Suggestiva la processione d’ingresso, accompagnata da una danza tradizionale di cento indigeni di due tribù provenienti da quattro parrocchie della provincia centrale di Bereina. Con loro anche un sacerdote, John Paul Aihi, che indossava il copricapo più sgargiante. Lo stesso gruppo ha poi accompagnato con un’altra danza anche la processione offertoriale.
Con il Pontefice hanno concelebrato il cardinale Ribat, il presidente della Conferenza episcopale della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, e vescovo di Bereina, Otto Separy, presuli e sacerdoti di questi Paesi, gli ecclesiastici del seguito papale.
La celebrazione eucaristica della xxiii domenica del tempo ordinario è stata in inglese, le letture in tok pisin, lingua creola usata anche per le preghiere dei fedeli insieme al motu, ed è stata diretta dal maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, arcivescovo Diego Ravelli.
Nell’omelia Francesco ha toccato tra l’altro il tema della lontananza, quella di una Chiesa che talvolta si è sentita separata «dal Signore dagli uomini». Ma così come con il sordomuto protagonista del brano del Vangelo proclamato, ha detto il Papa ai papuani, «voi siete uniti, uniti nello Spirito Santo, uniti nel Signore! E il Signore dice ad ognuno di voi: “Apriti!”. Questa è la cosa più importante: aprirci a Dio, aprirci ai fratelli, aprirci al Vangelo e farlo diventare la bussola della nostra vita».
A conclusione della messa il cardinale John Ribat, arcivescovo di Port Moresby, ha ringraziato il Pontefice per la sua «meravigliosa e arricchente visita», sottolineando che questo viaggio «arriva al momento giusto», perché «porta benedizioni, pace e incoraggiamento e approfondisce la nostra fede».
Subito dopo Francesco ha recitato la preghiera mariana dell’Angelus, durante il quale ha affidato il cammino della Chiesa locale a Maria aiuto dei cristiani – Maria Helpim, come la chiamano qui, invocandone l’intercessione per il dono della pace per tutti i popoli «e anche per il creato». E prima di lasciare lo stadio per rientrare in nunziatura, sua residenza qui a Port Moresby, ha incontrato brevemente il primo ministro della Papua Nuova Guinea, James Marape.
dal nostro inviato
Gaetano Vallini