Al confine tra Asia e Oceania per incoraggiare l’opera
Quantificarli sarebbe impossibile. Erano in piedi per strada a lanciare petali di fiori, seduti a terra lungo la parte sterrata, affacciati dalle finestre delle palafitte in riva all’oceano. Sbucavano da cespugli e capanne. Indossavano tuniche sgargianti o t-shirt di due taglie più grandi. I loro volti meticci, con i capelli rasta, le treccine o le zazzere ricciolute, si riflettevano sui finestrini delle macchine. Volti tutti diversi ma con gli stessi occhi: neri, rotondi, profondi, ieri ricolmi di gratitudine.
Centinaia di migliaia di persone hanno accompagnato i circa 6 km di tragitto del Papa dalla spianata antistante la cattedrale di Vanimo al villaggio di Baro, ancora più vicino alla zona di confine della Papua Nuova Guinea. Più avanti c’è l’Indonesia; prima il “bush”, alla lettera il cespuglio, la giungla dove vivono comunità isolate dal mondo e dal suo sviluppo.
Dopo l’appuntamento con 20 mila abitanti della diocesi papuana, Francesco ha voluto incontrare i missionari argentini lì attivi da anni, tra cui padre Martin Prado, 35 anni, sua vecchia conoscenza. La scuola Holy Trinity Humanistic School, presente in questi territori dal 1997, è stata teatro dell’incontro. Un edificio fondato nel 1964 dai Missionari Passionisti che ai suoi circa cento studenti vuole offrire un’educazione umanistica cattolica.
Il Papa vi è arrivato dopo aver attraversato due ali di folla danzanti. Alcuni gruppi erano quasi del tutto nudi, altri portavano conchiglie, foglie e indumenti di legno e paglia. «Ogni gruppo etnico ha il proprio abito di riconoscimento» spiega ai media vaticani un missionario locale. «Pure le danze sono diverse. Quelle offerte al Papa in questi giorni sono le danze riservate alle massime autorità». Per buona parte della strada in golf cart, Francesco ha assistito dal finestrino a questi tributi d’onore, scanditi dal suono del tamburo kundu o da canti gutturali.
Nel cortile ad attenderlo c’erano ancora bambini con la maglia arancione dell’istituto, tutti in fila ordinati. La compostezza è una delle caratteristiche della popolazione papuana, capace di passare in pochi secondi dal chiasso più totale a un religioso silenzio.
In silenzio si è svolta infatti la cerimonia d’arrivo del Pontefice con due bambini non vedenti che gli hanno offerto collane di fiori e di piume. Uno dei due gli ha affondato il viso nel petto e il Papa ha accarezzato la sua testa.
Nella School & Queen of Paradise Hall intanto aveva iniziato la sua esibizione l’orchestra scolastica con brani del repertorio classico. Il Papa ha elogiato la bravura degli allievi e ha portato loro in dono diversi strumenti musicali. Tutto merito del direttore Jesus Briceño, venezuelano, che con i giovani delle tribù usa il “sistema Abreu” ideato dal suo connazionale che gli ha dato il nome: offrire, cioè, attraverso la musica un’opportunità di riscatto a ragazzi altrimenti in situazioni di disagio. «Iniziano a studiare e fanno cose belle» racconta. Da cinque anni Jesus è a Vanimo e ora guida un gruppo di circa 120 ragazzi.
La tappa successiva di Francesco, dopo una sosta su un palchetto con le immagini della Madonna di Luján, patrona dell’Argentina, è stata con padre Martin e gli altri missionari (due preti di vita attiva e due monaci) che portano avanti una non facile evangelizzazione in luoghi dove si vive un cristianesimo delle origini.
Curano le varie “cappelle” e fanno lunghi viaggi in posti isolati dove restano per giorni insieme alle comunità: «Lavoriamo alla inculturazione». Questo servizio lo hanno raccontato al Papa, insieme anche a una delegazione di suore dalle Isole Salomone. «Abbiamo parlato della missione e ci ha dato consigli e suggerimenti» spiega padre Miguel de La Calle. «Abbiamo parlato dell’Argentina, dell’Istituto, ma sapeva già tutto. Siamo molto contenti che è venuto». «Siamo contenti», lo dice pure padre Martin: «Non possiamo credere che il Papa è stato qui con noi. Una cosa bellissima. Un corazón muy grande quello del Santo Padre di venire qua».
da Vanimo
Salvatore Cernuzio