Il 45° viaggio apostolico di Papa Francesco - Papua Nuova Guinea
Bambini poveri, emarginati, quelli che sopravvivono lungo le strade, quelli che fanno i conti con una disabilità motoria, o affetti da sordità o da cecità: è con loro che la Chiesa della Papua Nuova Guinea si fa comunità accogliente, vicina, solidale, mostrando il suo volto più bello, dando testimonianza concreta, oggi, di quel Vangelo qui portato dai missionari. Una testimonianza che pesa e molto in un Paese in cui la povertà colpisce oltre un terzo della popolazione. E sono stati questi bambini, con quanti si prendono cura di loro, i protagonisti del primo dei due appuntamenti del Papa nel pomeriggio di sabato 7 a Port Moresby.
Francesco ha infatti incontrato gli assistiti da “Street Ministry”, l’ufficio della Pastorale di strada attivo dal 2010, che ha dato speranza a tutti quei minori che vagano per le strade della città, fornendo loro aiuto, istruzione e beni di prima necessità, e dai “Callan Services”, fondati dalla congregazione dei Fratelli cristiani, che forniscono servizi per bambini e adulti con disabilità in tutta la Papua Nuova Guinea.
Un incontro gioioso, e non poteva essere altrimenti, con i colori degli abiti e i suoni delle tradizioni locali a renderlo ancora più gioioso, che si è svolto presso la Caritas Technical Secondary, una scuola femminile fondata dalle Suore della Carità di Gesù nel 1995, con il mandato di insegnare i valori cristiani e di preparare le giovani donne a un futuro impiego o consentire loro di avviare una piccola attività. E a dare il primo saluto al Papa all’ingresso dell’istituto, con i bambini, c’erano anche le studentesse, con le loro divise: diverse centinaia di giovanissimi che gli hanno dato un caloroso e festoso benvenuto, anche con delle danze, dopo averlo atteso, urlando, cantando e ballando per due ore.
Francesco è stato accolto dal cardinale arcivescovo Ribat, dalla superiora della comunità delle religiose, dalla direttrice della Scuola e da tre bambini in abito tradizionale, due di nome Maia e Jeffrey Matthew, che gli hanno offerto un omaggio floreale, ricambiato con una carezza e caramelle.
Accompagnato da un brano cantato da tutti i bambini e gli studenti presenti nella grande palestra, un migliaio, Francesco ha poi percorso il corridoio centrale, salutando i piccoli accalcati lungo l’itinerario. Dal palco ha ascoltato il saluto del cardinale Ribat, il quale ha sottolineato l’importanza di «un’esperienza unica nella vita per la maggior parte di noi», oltre che occasione per «conoscere meglio chi e cosa siamo, ad amare ciò che conosciamo e quindi a servire ciò che amiamo».
Due piccoli assistiti dei Callan Services e di Street Ministry, uno con disabilità e l’altra una bambina di strada, hanno rivolto all’ospite due domande: «Perché dobbiamo soffrire per la nostra disabilità? Perché non sono come gli altri? Perché questa sofferenza? C’è speranza per noi?» ha chiesto il primo. «Perché non abbiamo opportunità come gli altri ragazzi e come possiamo renderci utili per rendere il nostro mondo più bello e felice, anche se viviamo nell’abbandono e nella povertà?» la seconda.
Interrogativi profondi ai quali Francesco — dopo essersi complimentato con due gruppi che avevano danzato e cantato tra i due interventi — ha risposto usando il linguaggio semplice di quando incontra i giovanissimi. In particolare, alla domanda «perché non sono come gli altri» ha detto di avere una sola risposta: «Perché nessuno di noi è come gli altri: perché siamo tutti unici davanti a Dio!». Inoltre, ha aggiunto, «ciascuno di noi, nel mondo, ha un ruolo e una missione che nessun altro può svolgere e che questo, anche se comporta delle fatiche, dona allo stesso tempo un mare di gioia, in modo diverso per ogni persona. La pace e la gioia è per tutti». E alla bimba che chiedeva come poter essere utile, nonostante la sua condizione, il Papa ha risposto, sottolineando che «nessuno di noi è di peso», ma «tutti siamo doni bellissimi di Dio, un tesoro gli uni per gli altri!».
Prima di lasciare l’impianto, il Papa si è fermato a scattare una “enorme” foto di gruppo, quasi sommerso dall’entusiasmo dei presenti, e a salutare i bambini malati.
Il secondo incontro — con i vescovi della Conferenza episcopale della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le religiose, i seminaristi e i catechisti — si è svolto nel santuario di Maria Ausiliatrice, costruito sulla proprietà salesiana che ospita anche il Don Bosco Technological Institute, a East Boroko, e consacrato nel 2008.
Le opere che lo adornano, a partire dalle grandi finestre, raccontano le vite di santi, beati, missionari e laici evangelizzatori di queste terre. Ci sono poi illustrazioni pittoriche bibliche dell’attraversamento del Mar Rosso e di una serie di personaggi dell’Antico Testamento e altre immagini di santi. Le conchiglie Kina, simboli melanesiani di ricchezza, adornano invece le pareti dietro l’altare. Particolari iconografici, questi, ai quali ha fatto riferimento il Pontefice nel suo discorso.
Il Papa è arrivato percorrendo il chilometro che separa le due strutture, salutato lungo il percorso, da moltissime persone radunatesi sul ciglio della strada. Ad accoglierlo, al suo arrivo al cancello del comprensorio, il cardinale Ribat, il vescovo Otto Separy, presidente della Conferenza episcopale, e il rettore del santuario, il quale, dopo un omaggio floreale da parte di due bambini, ha porto al Pontefice la croce per il tradizionale bacio e l’acqua benedetta per l’aspersione.
A dare il benvenuto a Francesco a nome dei presenti — 276 preti, 800 consacrati e 20 vescovi, tra cui il cardinale Soane Patita Paini Mafi, vescovo di Tonga — è stato monsignor Separy, il quale ha sottolineato come la visita papale contribuisca a riaffermare e ravvivare l’impegno della Chiesa locale. Un impegno brevemente raccontato da alcune testimonianze. Come quella di suor Lorena Jenal, che opera nella Casa della Speranza, nella diocesi di Mendi, e offre rifugio e a persone in difficoltà perché accusate di stregoneria, in particolare donne. Degli ostacoli incontrati durante la sua formazione in seminario ha invece parlato don Emmanuel Moku, 64 anni, dell’arcidiocesi Port Moresby. Ostacoli postigli dal suo clan e dalle norme culturali, e superati solo con l’ordinazione sacerdotale che lo ha liberato dall’accusa di essere un uomo improduttivo. Per i catechisti la testimonianza di James Etariva ha evidenziato le difficoltà di dover raggiungere comunità lontane e di non riuscire talvolta a sostenersi economicamente. L’ultimo intervento è stato di Grace Wrakia, una laica che ha partecipato in Vaticano ai lavori del Sinodo sulla sinodalità e che ha sottolineato l’importanza di riuscire a riprodurre nella Chiesa locale lo stile sinodale. Da parte sua Francesco ha preso spunto da alcune immagini presenti nel santuario, testimoni di una storia che può ispirare ancora oggi il cammino cristiano e missionario. Un cammino — iniziato alla metà del xix secolo — al quale il Pontefice ha fatto riferimento, ricordando come i primi passi non siano stati facili. Come non sempre lo sono tuttora: molti missionari ancora si muovono su piccole imbarcazioni a motore e canoe per raggiungere le località più remote, i villaggi più isolati. Alcuni viaggi possono durare anche diversi giorni. Non a caso il dono della Chiesa locale al Papa è stato, come era già avvenuto in mattinata ma da parte delle tribù, un modellino di lakatoi, l’imbarcazione tradizionale usata anche da sacerdoti e catechisti per muoversi tra le isole. Per raggiungere ancora e in futuro in particolare, come ha raccomandato il Pontefice, le periferie di questo Paese, quelle di quanti vivono nelle zone più remote e quelle del disagio delle popolazioni urbane.
Al termine dell’incontro Francesco si è fermato su una terrazza per salutare i numerosi fedeli radunatisi nel cortile antistante la chiesa. E inglese ha assicurato le sue preghiere, chiedendo loro di pregare per lui e impartendo a tutti la benedizione. (gaetano vallini)
dal nostro inviato Gaetano Vallini