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Simul currebant - Giochi di pace

Alle Paralimpiadi invocando
la pace per la Siria

 Alle Paralimpiadi  invocando la pace per la Siria  QUO-202
07 settembre 2024

Ibrahim Al-Hussein ha perso la gamba nel vortice della guerra


La protesi che sostituisce la gamba destra di Ibrahim Al-Hussein è testimonianza di dolore che diventa tenace richiesta di pace per la sua Siria. La tregua olimpica (e paralimpica) — sostenuta anche da Papa Francesco — è rimasta inascoltata. Scadrà domenica 15 settembre, sette giorni dopo la conclusione delle Paralimpiadi parigine (domani sera cerimonia di chiusura allo Stade de France).

Gli echi sanguinosi delle guerre sono riecheggiati a Parigi: nelle gare olimpiche e paralimpiche si è sentito il peso di morte delle violenze in Ucraina, in Terra Santa e in tutti i luoghi (anche dimenticati, lontani dai riflettori ) dove guerre e ingiustizie devastano le vite delle persone.

Con la sua partecipazione ai Giochi di Parigi, nel Team paralimpico dei rifugiati, Ibrahim ha raccontato il dramma della Siria: nel grande palconoscenico sportivo (e non solo) di Parigi ha fatto in modo che non venga dimenticato, che non ci siano alibi per dire “non sapevo”. «Sono qui per essere un messaggio di speranza, in particolare per tutti i rifugiati» dichiara.

È arrivato sesto nel triathlon (specialità che prevede nuoto, ciclismo e corsa), a 3’ dal podio. A questo tipo di prova Ibrahim si è avvicinato di recente: alla World triathlon para cup, a La Coruña nel 2023, è arrivato quarto («avrei potuto arrivare secondo, ma ho sbagliato strada»).

A Parigi ha vissuto la sua terza Paralimpiade, dopo Rio de Janeiro e Tokyo (in gara nel nuoto). «Tre volte ai Giochi: impensabile per un uomo con la mia storia!» dice.

Ibrahim racconta così la sua vita: «Stavo scappando verso un domani migliore — sono nato nel 1988 a Deir el-Zor — quando un cecchino ha colpito un mio amico. Era a terra e gridava aiuto. Sapevo che se fossi andato ad aiutarlo avrei potuto essere colpito anche io. Ma poi non mi sarei mai perdonato di averlo lasciato in mezzo alla strada. Pochi secondi e una bomba è esplosa proprio accanto a me. Ho perso la parte inferiore della gamba destra e ho avuto danni anche alla sinistra. Mi ha soccorso un dentista».

«A quel tempo, era il 2012, ero un ottimo nuotatore» ricorda. «Mio padre aveva vinto in vasca due medaglie d’argento ai Campionati asiatici e mi aveva trasmesso la passione per lo sport e per il nuoto in particolare. Proprio la tenacia che serve per i lunghi allenamenti mi ha aiutato a non rassegnarmi. In qualche modo ho raggiunto Istanbul e lì ho trovato persone generose che mi hanno procurato una protesi precaria, ma meglio di nulla: dovevo ripararla ogni 300 metri».

«Poi la notte del 27 febbraio 2014 — che è la data di inizio della mia “seconda vita” — ho attraversato il mare Egeo su un gommone fino all’isola di Samos, in Grecia. Paura? In realtà non avevo niente da perdere. Lì ho trovato altre persone generose che mi hanno accompagnato ad Atene».

Ed ecco la svolta per Ibrahim: «Un medico, Angelos Chronopoulos, mi ha donato una vera protesi. Non avevo un soldo. Con la protesi ho trovato lavoro: pulivo i bagni alla stazione dei bus. E ho ripreso anche a fare sport, anzitutto come sfogo, per ritrovare quelle sensazioni umane che pensavo di aver perso e stare meglio con me stesso». Ma non finisce qui. «Nell’ottobre del 2015 ho iniziato ad allenarmi addirittura nella piscina dei Giochi di Atene 2004. La mia abilità di nuotatore è tornata, più o meno rapidamente, a galla ed ecco le prime vittorie. E, soprattutto, l’incredibile invito a partecipare, come rifugiato, alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro del 2016. Non immaginavo neppure lontanamente che fosse possibile!».

Lo sport ha consentito ad Ibrahim di riprendere in mano la sua vita: «Ho iniziato a lavorare ad Atene come artigiano di souvenir. Ma c’è una cosa che tengo a dire più di ogni altra. In Siria abbiamo un detto: “Fai del bene e gettalo nell’oceano... un giorno ti tornerà indietro”. Quell’amico ferito che ho aiutato per strada non solo è sopravvissuto, ma ora ha tre figli. E se per aiutarlo ho perso la gamba... la vita mi ha restituito tanto in generosità da persone che neppure conoscevo». E sì, lo sport è stato il tramite, il linguaggio comune che ha reso possibile la “seconda vita” di Ibrahim Al Hussein.

di Giampaolo Mattei