La Papua Nuova Guinea è un Paese con una popolazione a maggioranza cristiana che non ha bisogno di far diventare il cristianesimo religione di Stato. Nella nazione che oggi ha accolto Papa Francesco, è la Chiesa cattolica locale a esprimere questo auspicio offrendo il suo contributo al dibattito sul possibile cambiamento della Carta costituzionale.
Alcuni emendamenti, presentati in Parlamento e destinati a essere calendarizzati e votati dall’assise, intendono inserire espliciti riferimenti per piegare la Carta in senso confessionale. Il 95% dei papuani professa la fede cristiana: i fedeli sono al 64% protestanti (in maggioranza luterani), i cattolici sono circa il 27%, accanto a una percentuale più bassa di altre denominazioni.
Forzare la laicità dello stato risulterebbe dirompente, ha affermato la Conferenza episcopale in una lettera indirizzata al Comitato parlamentare per le riforme costituzionali. La Chiesa cattolica non condivide le variazioni suggerite da un gruppo di rappresentanti di denominazioni protestanti evangelicali che vorrebbero rinominare il Paese “Stato indipendente e cristiano della Papua Nuova Guinea”, imponendo il «rispetto, l’osservanza e la promozione dei principi cristiani».
La società si compone di un mosaico variegato di confessioni e, inoltre, registra un rapporto complesso con le tradizioni e culture originarie della Melanesia. Un’affermazione identitaria cristiana, si nota, verrebbe ad alterare l’identità melanesiana primordiale, «invece di riconoscerla, celebrarla e perfezionarla attraverso il Vangelo di Cristo» rileva la lettera dei presuli.
I fedeli della Papua si sentono, invece, «orgogliosi di essere etnicamente e culturalmente dei melanesiani che hanno liberamente abbracciato il Vangelo di Cristo e lo hanno fatto proprio» si afferma nella nota.
In un contesto che, anche nelle ultime settimane, è stato turbato da scontri tribali, c’è sicuramente bisogno di riflettere su «coesione sociale e identità nazionale, in un periodo di cambiamenti drammatici e di incertezza sul futuro»; ma la soluzione per promuovere coesione, si rileva, non sta nel fondamentalismo religioso o nel «nazionalismo cristiano» bensì «in un processo di educazione e discernimento, in armonia e unità nazionale» lontano da ogni settarismo.
Rappresentanti, intellettuali e giuristi cattolici fanno notare, tra l’altro, che un riferimento a Dio è già presente nel Preambolo della Costituzione e questo è sufficiente. L’emendamento proposto «è anti-costituzionale, dato che la libertà religiosa è un diritto fondamentale, sancito dall’articolo 45 della Carta» che tutela «il diritto alla libertà di coscienza, pensiero e religione» ha notato l’avvocato Nemo Yalo, ex giudice della Corte Suprema.
«Siamo un Paese laico con ampia libertà di culto e di azione sociale per i credenti. La maggior parte delle scuole e delle opere di welfare nella Papua Nuova Guinea appartiene alle Chiese cristiane delle varie denominazioni. Abbiamo il pieno riconoscimento dello stato. È questo l’equilibrio da preservare, per il bene di tutti» ha aggiunto all’agenzia Fides padre Victor Roche, missionario indiano della Società del Verbo Divino, da oltre 40 anni nel Paese dell’Oceania.
Facendosi portavoce degli oltre duemila, tra sacerdoti e consacrati, presenti in Papua Nuova Guinea, membri di congregazioni maschili e femminili, che il Papa incontrerà a Vanimo, il verbita conclude: «La nazione, più che cambiamenti giuridici o formali, ha bisogno di una testimonianza di pace e giustizia».
di Paolo Affatato