· Città del Vaticano ·

Famiglie interreligiose: una realtà diffusa nella società indonesiana

Le differenze
non sono barriere

 Le differenze  non sono barriere   QUO-200
05 settembre 2024

La vita in dialogo è la cifra dei cattolici indonesiani: lo è per i preti, i religiosi, le consacrate, i fedeli laici che si ritrovano immersi in contesti tra loro molto differenti nell’arcipelago delle diciassettemila isole, accomunati dalla chiamata a seguire Cristo nel paese della Pancasila, la “Carta dei cinque principi” alla base della Costituzione. In primis, nota Antonio Razzoli, missionario francescano emiliano nel Borneo indonesiano, da cinquant’anni nel paese, bisogna notare che «la religione non è affatto estranea al popolo indonesiano», e infatti tra i cinque principi che costituirono le fondamenta per l’unità nazionale — al tempo dell’indipendenza dalla potenza coloniale olandese, nel 1947 — il primo è proprio la fede nell’unico Dio. Seguono l’umanità, l’unità, la democrazia, la giustizia sociale.

In questo quadro vive la comunità cattolica, circa 10,5 milioni di anime disseminate nelle 34 province, tra oltre 230 milioni di fedeli musulmani, in un Paese segnato dal pluralismo interno: la situazione varia molto, da isola a isola, per geografia fisica, contesto sociale, culturale, linguistico e religioso. Anche nella presenza della Chiesa si notano radicali differenze: sull’isola di Flores, nella provincia di Nusa Tenggara orientale, la maggior parte della popolazione è cattolica; nella provincia di Sumatra occidentale, la percentuale si avvicina allo zero. In una situazione molto diversificata, allora, il criterio comune è «vivere e testimoniare la fede con semplicità e mitezza, godere di buoni rapporti e collaborare con tutto il resto della popolazione», rimarca il gesuita indonesiano Ignazio Ismartono, per anni responsabile della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale locale. I cattolici indonesiani, tuttavia, non si sentono affatto una minoranza soffocata né oppressa, perché «fin dall’inizio della storia nazionale sono pienamente integrati in una Nazione che, nell’architettura dello Stato accantonò con convinzione la tentazione teocratica in favore del riconoscimento dell’uguaglianza di tutte le fedi», il che ha creato un ambiente sociale favorevole alla convivenza, al dialogo, all’accoglienza e al rispetto della fede altrui.

Avviene così che Siprianus Hormat, vescovo di Ruteng, sull’isola di Flores, il “cuore cattolico” dell’Indonesia, racconti della partecipazione dei suoi parenti musulmani alla cerimonia di ordinazione episcopale. Le famiglie interreligiose rappresentano, infatti, una realtà diffusa nella società indonesiana, in cui si sperimenta l’attitudine ad accogliere l’esperienza spirituale dell’altro, qualunque essa sia: anche quando riguarda i figli, che possono scegliere una fede diversa da quella della propria famiglia. «Questo avviene anche per la scelta della vita sacerdotale e religiosa, che viene accolta come dono da genitori o familiari che professano l’islam o una fede diversa», rimarca il vescovo di Ruteng. «A prevalere sono i legami familiari e, a livello spirituale, c’è profondo rispetto per la fede dei parenti, nella consapevolezza che l’armonia è un dono prezioso da preservare», osserva.

Un caso esemplare riguarda sacerdoti nati da coppie in cui uno o entrambi i genitori non sono cattolici: «Ciò mostra che le differenze non sono barriere e che la vita spirituale è sempre una ricchezza. Una veste talare o e il velo non sono ostacoli all’armonia ma indicatori di fratellanza», ha detto il vescovo, raccontando all’agenzia Fides, tra le altre, la storia del religioso verbita padre Robertus Belarminus Asiyanto. Sua madre, Siti Asiyah, musulmana, ha dato la sua benedizione e pieno sostegno al figlio. Accanto a lui in abiti islamici nella messa di ordinazione sacerdotale, la donna ha detto con commozione di essere davvero felice di vedere suo figlio divenuto sacerdote cattolico. E quando, da adolescente in procinto di entrare nel Seminario dei Verbiti, il giovane ha chiesto la benedizione di sua madre, lei ha detto con amore: «Segui il tuo cuore».

Il dialogo per alimentarsi ed essere fecondo ha bisogno dell’atteggiamento di apertura dell’interlocutore, e l’islam indonesiano fa la sua parte con coraggio e convinzione. Nella vasta attenzione sviluppatasi nella società e nella cultura indonesiana verso il Papa (tante le pubblicazioni edite in lingua indonesiana, il bahasha) emerge un chiaro esempio: il testo dal titolo Salve, peregrinans spei, compilato interamente da studiosi e capi religiosi musulmani che apprezzano le parole e il messaggio di Papa Francesco presentandolo come un alleato nel promuovere rispetto, tolleranza, pace, armonia tra popoli e religioni nel mondo.

di Paolo Affatato