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Il 45° viaggio apostolico di Papa Francesco - Indonesia

Dove si venera Maria
“madre di tutte le etnie”

 Dove si venera  Maria “madre di tutte le etnie”  QUO-199
04 settembre 2024

Il grande display posto nei locali della cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione a Jakarta dopo l’annuncio della visita, e che contava i giorni che separavano dall’arrivo di Papa Francesco, è fermo a ieri, giorno di arrivo del Pontefice. L’attesa è finita. Nel pomeriggio di mercoledì il Pontefice ha varcato la soglia di questo tempio per il primo incontro con la Chiesa locale, quello con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i seminaristi e i catechisti indonesiani.

Su una popolazione di circa 279 milioni di abitanti in maggioranza musulmani, i cattolici nel Paese sono una minoranza, 8 milioni. E mentre all’interno della cattedrale venivano recitate preghiere in attesa del Papa, è stato suggestivo ascoltare sul sagrato la voce del muezzin che invitava alla preghiera dagli altoparlanti dei minareti della grande moschea di Istiqlal, che sorge dall’altro lato della strada. Una peculiarità di questo luogo.

Aver scelto la cattedrale di Jakarta per questo incontro ha poi un significato particolare, perché è un luogo molto caro a tutti i fedeli indonesiani, non solo a quelli della capitale. All’interno, alla sinistra dell’altare maggiore, è infatti venerata la statua di “Maria, madre di tutte le etnie”, realizzata nel 2015 con l’intento di donare alla Vergine fattezze più vicine alla popolazione locale. La Madonna indossa infatti un costume tradizionale javanese sul quale spicca il “Garuda Pancasila”, l’uccello simbolo dell’Indonesia, il capo è coperto da un velo bianco e rosso, i colori della bandiera, che rappresentano la santità e il coraggio, mentre sulla corona è raffigurata una mappa del Paese. La sacra immagine è stata adottata dal cardinale arcivescovo di Jakarta, Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo, come simbolo dell’unità nazionale.

Al suo arrivo sul sagrato della cattedrale, con la suggestiva facciata in stile neogotico su cui svettano due torri in un misto di pietra e metallo che guarda da vicino la grande moschea Istiqlal, appena sceso dall’auto Papa Francesco in carrozzina ha salutato, uno a uno, tutti i bambini che lo hanno accolto con entusiasmo, alcuni suonando uno strumento tradizionale, altri sventolando bandierine vaticane e indonesiane. Ed è passato anche vicino alle transenne e ai cancelli per salutare la piccola folla che si era radunata all’esterno per poterlo vedere.

All’ingresso della cattedrale Francesco è stato accolto da due bambini che gli hanno consegnato un omaggio floreale e un quadro raffigurante la cattedrale e la moschea, dal cardinale Suharyo Hardjoatmodjo, dal presidente della Conferenza episcopale e vescovo di Bandung, Antonius Franciskus Subianto Bunjamin, e dal parroco, che gli ha porto la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione. Il Papa ha quindi attraversato la navata centrale per raggiungere l’altare, salutato da un canto di benvenuto e dal caloroso saluto dei presenti.

L’incontro è stato aperto da monsignor Subianto, che ha ringraziato il Pontefice per aver affrontato un lungo e faticoso viaggio per testimoniare la sua vicinanza, e presentato brevemente la realtà della comunità cattolica indonesiana, composta da circa 1.300 etnie, che fanno capo a 37 diocesi. Una realtà variegata, dunque, con problemi e potenzialità, di cui hanno parlato più in dettaglio il sacerdote, la religiosa e i due catechisti — una donna e un uomo — che hanno offerto al Papa le loro testimonianze. Don Maxi Un Bria, presidente della Federazione indonesiana dei sacerdoti diocesani, ha sottolineato come in un «Paese pluralista, la Chiesa cattolica ha sempre cercato di promuovere il bene comune». Suor Rina Rosalina, delle Missionarie clarisse del Santissimo Sacramento, che ha parlato in italiano, ha evidenziato la difficoltà, a causa dei tempi di traduzione nella lingua madre “bahasa Indonesia”, di leggere e studiare i testi del magistero, e quindi di essere più in armonia con la Chiesa universale. La religiosa ha poi rivolto un saluto in spagnolo al Papa, che alla fine ha esclamato sorridendo: «Questa sa comandare». Nikolas Wijaya, insegnante di religione e membro della commissione catechistica della diocesi di Bogor, ha ringraziato l’ospite per l’uso frequente della parola “ponte” per descrivere la presenza della Chiesa nella società ed ha auspicato che tutti i catechisti possano essere costruttori di ponti di dialogo tra le persone. Agnes Natalia, insegnante e catechista presso la parrocchia di santa Maria Vergine Regina di Jakarta, ha invece ringraziato il Pontefice per la sua preoccupazione per i poveri, per le persone con disabilità e per i richiami alla tutela della natura, paragonandolo a san Francesco. «È coraggiosa», ha chiosato il Papa, aggiungendo con un sorriso ironico: «Io somiglio di più al lupo».

Tante, dunque, le suggestioni proposte dalle testimonianze, riprese e ampliate dal Pontefice, che prima di iniziare la lettura del discorso preparato ha voluto sottolineare in particolare il ruolo dei catechisti. Sono loro che portano avanti la Chiesa, poi vengono le suore, i preti e i vescovi. «I catechisti — ha spiegato — sono al fronte, sono la forza della Chiesa».

Quindi nel suo discorso – letto in italiano e tradotto in indonesiano da monsignor Marcus Solo Kewuta, officiale del Dicastero per il Dialogo interreligioso — Francesco si è soffermato sul senso delle tre parole scelte come motto della visita in Indonesia: fede, fraternità, compassione.

Incoraggiando i presenti a continuare la loro missione «forti nella fede, aperti a tutti nella fraternità e vicini a ciascuno nella compassione», Francesco ha esortato a un impegno nella continuità per la comunità cattolica indonesiana, piccola numericamente ma dinamica. Presente nell’arcipelago dal xvi secolo grazie alla predicazione di alcuni missionari al seguito dei portoghesi, tra cui san Francesco Saverio, la Chiesa è cresciuta in modo costante a partire dal xix secolo grazie alla sua capacità di inculturare il Vangelo. Ma se da un lato i fedeli laici indonesiani godono di spazio significativo nella pastorale, partecipando attivamente anche alla vita sociale, dall’altro l’ultimo decennio ha visto un preoccupante calo delle vocazioni religiose sia maschili sia femminili. Anche per questo i vescovi hanno promosso il rilancio del cammino pastorale e missionario, focalizzando l’attenzione in particolare sui giovani.

Al termine dell’incontro, al quale erano presenti anche vescovi di altri Paesi asiatici, il Papa ha raggiunto l’adiacente Casa della Gioventù “Grha Pemuda” per incontrare i giovani di Scholas Occurentes, accompagnato dagli iniziatori del movimento educativo José Mária del Corral ed Enrique Palmeyro. E il luogo scelto per questo momento è particolarmente significativo per gli indonesiani. Costruita nel 1914 su iniziativa del gesuita Johanes van Rijckervorsel per le attività della Katholieke Sosial Bond e benedetta la Domenica delle Palme del 1918, la Casa ospitò il primo dei tre congressi della gioventù indonesiana che si svolsero nel 1928 (gli altri due si tennero in altri luoghi). Furono gli appuntamenti in cui i giovani indonesiani si riunirono, esprimendo il loro sogno di nazione e dimostrando il loro impegno a lottare per l’unità del Paese, elaborando quell’impegno per «un Paese, una nazione, una lingua», che ancora oggi viene celebrato nell’arcipelago. “Grha Pemuda” è utilizzata oggi per la formazione dei giovani in vari ambiti.

Qui, in ritardo sul programma, il Papa ha incontrato i partecipanti al progetto “Scholas Aldeas”. E come aveva fatto a Cascais, in Portogallo nel 2023 in occasione della Gmg, quando aveva dato l’ultima pennellata al più grande murale mai realizzato, ha aggiunto un oggetto personale — un suo pensiero scritto su un foglio portogli da due ragazze — a una nuova opera d’arte collettiva, il “Poliedro del Cuore”. L’opera mira a creare una scultura che rappresenti il motto nazionale dell'Indonesia, “Bhinneka tunggal ika” (“Uniti nella diversità”), in cui ogni faccia racconta le storie dei suoi partecipanti, combinando educazione, arte e tecnologia. Ad essa contribuiranno 1.500 persone impegnate in progetti di Scholas, tra cui i partecipanti al programma educativo a Jakarta e ai laboratori a Bali, Lombok e Labuan Bajo, nonché detenuti di tre strutture carcerarie. La scultura, fatta con materiali naturali e riciclati, incorpora oggetti personali dei suoi contributori, creando una sorta di spazio sacro che conserva ricordi di una comunità condivisa.

Subito dopo il Papa ha ascoltato le testimonianze di una giovane musulmana commossa fino alle lacrime e di un ragazzo che hanno parlato della loro esperienza in Scholas Occurrentes, sottolineando che è una scuola di tolleranza, in grado di offrire l’opportunità di condividere storie e speranze, ma anche problemi e sfide. Lo hanno fatto parlando delle loro esperienze personali, offrendo sollecitazioni e ponendo talvolta domande al Papa. Il quale di volta in volta ha offerto spunti di riflessione. Come quando ha parlato dei principi che bisogna seguire per fare la pace: la realtà è superiore all’idea; l’unità è superiore al conflitto; il tutto è superiore alla parte. Aggiungendo che bisogna parlare col cuore, vivere la vita senza aver paura delle differenze e praticare il dialogo, per evitare i conflitti.

Infine, dopo la consegna di alcuni doni, il Papa ha concluso l’incontro impartendo la benedizione a tutti presenti.

dal nostro inviato
Gaetano Vallini